Piazza Syntagma, ovvero la lezione della storia

Piazza SyntagmaDicono che la storia si ripete. Vero, con le dovute eccezioni e precisazioni. Ciò che invece non si dice quasi mai è che la storia si dimentica. Oppure, che non si conosce affatto.

La storia della Grecia che tutti conosciamo dai tempi della scuola si limita al periodo classico, quando il Mediterraneo e il Mar Nero erano disseminati di colonie greche, quando grazie alla scrittura, alle scienze e alla filosofia Atene era il centro del mondo. Fino a diventare, nel 508 a.C. come città-stato, la prima democrazia del pianeta. Poi ci furono la decadenza, le lotte interne, l’influenza dell’impero persiano, la dominazione romana, quella bizantina, quella ottomana.

Un vero rinascimento e un vero risorgimento i Greci non li hanno avuti. Dopo la guerra di indipendenza e di liberazione dall’impero Ottomano, il popolo greco non riuscì a instaurare, subito e pienamente, la propria sovranità. Nel 1828 fu eletto primo presidente un nobile di origini italiane, certo conte Giovanni Capodistria, il quale nel tentativo di risollevare il paese dalla sua secolare arretratezza decise misure di ammodernamento tanto drastiche quanto impopolari. Ciò gli alienò le simpatie di molti gruppi politici. Nonostante Capodistria avesse donato il suo intero patrimonio allo stato e rinunciato per amor di patria persino allo stipendio da presidente, egli reagì ai suoi oppositori con decisioni autocratiche che generarono grande malcontento e che alla fine provocarono il suo assassinio nel 1831.

Le grandi potenze europee, che con le loro flotte avevano aiutato il popolo greco a liberarsi dagli ottomani, non si fecero sfuggire l’occasione di mettere le proprie mani (e i propri piedi) sulla Grecia. Nel 1832 con la Convenzione di Londra istituirono il Regno di Grecia a capo del quale fu posto, come primo monarca, il bavarese Ottone di Wittelsbach, poi chiamato semplicemente Ottone di Grecia. Dopo anni di dominazione straniera ora la Grecia aveva un suo regno, ancorché retto da uno straniero. A parte una pausa tra le due guerre mondiali, il regno durò fino al 1967 quando fu rimpiazzato dalla dittatura militare cosiddetta “dei colonnelli” a cui sarebbe seguita, nel 1974, l’attuale repubblica.

Atene oggi. Piazza Syntagma è la piazza antistante la sede del parlamento greco. Il suo nome significa “piazza della costituzione”. La costituzione, massima espressione della sovranità di un popolo. Da alcuni giorni piazza Syntagma è divenuta il centro del mondo. La piazza si chiama così perché fu qui che Ottone di Grecia concesse al popolo greco la sua prima costituzione. La concessione non fu un atto di benevolenza, ma una decisione necessaria a salvaguardare il proprio prestigio di monarca in Grecia e in Europa. Egli avrebbe voluto mostrarsi un ferreo monarca assoluto, ma poi, quando le truppe tedesche vennero espulse dal regno, dovette cedere a un tentativo di colpo di stato.

A modo suo il referendum indetto da Alexis Tsipras è un colpo di stato nei confronti dell’Europa e in primis della Germania. Essendo il paese che più si è avvantaggiato dall’introduzione dell’euro, la Germania è infatti il paese europeo che ha più da perdere dalla eventuale uscita della Grecia dall’euro e dall’UE. Qualcuno l’ha chiamata banalmente Grexit.

Dopo essere stata culla di civiltà la Grecia ha per millenni vissuto alla mercé di dominazioni straniere. Dopo una breve vita repubblicana e dopo l’ingresso in Europa ha poi cominciato ad annaspare. Certo, a causa delle proprie deficienze interne. Ma anche a causa degli errori di progetto della casa europea. Errori non imputabili a lei. Tra pagare i debiti e fare le riforme, la Grecia di Tsipras ha scelto una terza via: si è messa a fare braccio di ferro con l’Europa. Il topolino e l’elefante. Un elefante che però una costituzione vera ancora non ce l’ha. Ne tantomeno una sovranità.

Chi vincerà il braccio di ferro? La posta in gioco è alta. Per la Grecia significherà eventualmente l’uscita dall’euro e dall’Unione Europea. Per l’Europa potrebbe significare l’inizio della fine. Della sua fine.

Elisabetta a Bergen-BelsenAlcuni giorni fa l’ultima grande regnante d’Europa, la regina Elisabetta, è stata per la quinta volta in visita in Germania. In un ex campo di concentramento non c’era ancora mai stata. Ma questa volta l’ha fatto. Ha varcato la soglia di Bergen-Belsen, un luogo dove tra il 1943 e il 1945 morirono 50.000 persone. Tra loro anche Anna Frank. È stato certamente il momento più denso di significato dei quattro giorni della sua visita, terminata il 26 giugno scorso.

70 anni fa, l’Europa stremata dalla guerra e dalla follia nazifascista, Elisabetta II d’Inghilterra aveva solo 19 anni. Pochi anni dopo, nel 1952 succedette a suo padre, il re Giorgio VI. In oltre 60 anni di regno la regina è stata protagonista e testimone di un’epoca che ha visto la trasformazione del vecchio continente. Un’epoca iniziata con le macerie e nella paura di un nuovo conflitto globale, attanagliata dalla guerra fredda e dalla presenza dei muri visibili e invisibili della cortina di ferro. Un’epoca in cui la parola libertà è stata a lungo per molti europei soltanto un’idea, un concetto vago, al più un’ispirazione.

Concludendo il suo discorso in presenza delle massime autorità tedesche, Elisabetta ha pronunciato queste parole: “Nella nostra vita abbiamo conosciuto il peggio, ma anche il meglio del nostro continente. Abbiamo visto quanto velocemente le cose possono cambiare in meglio. Ma sappiamo anche che dobbiamo sforzarci seriamente per mantenere i cambiamenti positivi raggiunti dopo la guerra. Sappiamo che la divisione in Europa è pericolosa e che l’unione va difesa tanto a est quanto a ovest. Questa deve essere la nostra comune aspirazione”. Parole di una regina che ha visto e ha fatto la storia. Dio salvi la regina.

Parole sagge che oggi rappresentano un monito per tutti, tanto per i greci, quanto per tutti gli altri cittadini europei. Un monito, in primis, per coloro che fanno di mestiere i politici e che con le loro scelte cambiano la vita delle persone che li hanno votati.

Che siano all’altezza del compito affidatogli e consapevoli della lezione della storia.

di Pasquale Episcopo

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