«Nei primi anni Sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e soprattutto in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua […] sono cominciate a sparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più». Comincia così uno degli articoli più violentemente polemici di Pier Paolo Pasolini: con il parlare della scomparsa delle lucciole. Un peccato, verrebbe da dire. Ma per l’autore il vero dramma è che insieme alle lucciole sono scomparsi anche i valori della civiltà preindustriale. Questi, per quanto ormai svuotati di senso, erano sempre più accettabili del mostro omologatore della società consumistica.
L’articolo delle lucciole prima di entrare a far parte degli Scritti corsari (1975), viene pubblicato sul Corriere della sera con il titolo Il vuoto di potere in Italia. Si capisce bene dunque che l’aspra critica alla politica italiana del tempo, dominata dalla Democrazia cristiana, è certamente presente nello scritto. Ma ancora più rilevante è lo sguardo lucido e impietoso che Pasolini — che pure ha amato profondamente «questa gente italiana» — impiega nell’analizzare la corruzione interna al «popolo degenerato» partorito dalla nuova epoca della storia umana: l’epoca «dopo la scomparsa delle lucciole», appunto.
La società consumistica e il conformismo
Siamo nel periodo del boom economico. Nel giro di pochi anni l’Italia da paese agricolo è diventato un paese fortemente industrializzato. Il benessere non è più solo roba da ricchi. Lavatrici e televisioni iniziano a popolare anche le case dei meno abbienti e il sistema di vita del ceto medio si estende anche alle classi subalterne. Ormai tutti hanno assunto la stessa mentalità, gli stessi modi di fare. Molti parlano di “miracolo” economico, ma per un intellettuale che ha fatto della diversità la sua bandiera la massificazione consumistica è un danno sociale immane. Questo soprattutto perché il conformismo non si limita a stravolgere i comportamenti, ma penetra fino alle coscienze come non accadeva nemmeno ai tempi del fascismo.
Scrive Pasolini: «Ho visto dunque “coi miei sensi” il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiano, fino a una irreversibile degradazione. Cosa che non era accaduta durante il fascismo fascista, periodo in cui il comportamento era completamente dissociato dalla coscienza. Vanamente il potere “totalitario” iterava e reiterava le sue imposizioni comportamentistiche: la coscienza non ne era implicata. I “modelli” fascisti non erano che maschere, da mettere levare. Quando il fascismo fascista è caduto tutto è tornato come prima».
La scomparsa delle lucciole e l’abbandono del romanzo
L’avvento della società consumistica agli occhi di Pasolini è una vera e propria «mutazione antropologica» che, simboleggiata dalla scomparsa delle lucciole, ha spazzato via senza misericordia il mondo autentico dei contadini di Casarsa e non ha niente a che fare nemmeno con quello degradato ma estremamente vitale delle borgate descritto in Ragazzi di vita e Una vita violenta. Nel vuoto di valori e di vita che si è creato, perfino il romanziere impegnato ha smarrito la sua funzione.
È per questo che a un certo punto Pasolini sostituisce alla penna la cinepresa. Il cinema: un nuovo linguaggio per un nuovo contesto storico. L’autore afferma in un’intervista: «sono passato ai film, ho abbandonato in parte la letteratura, o perlomeno ho abbandonato il romanzo […] per dedicarmi quasi esclusivamente al cinema. Questo accaduto negli anni Sessanta […] perché sono gli anni di una profonda crisi della cultura italiana». E aggiunge: «L’ultimo mio film è Uccellacci e uccellini in cui in maniera favolosa, […] racconto la crisi dell’ideologia dell’impegno degli anni ’50 e l’avvento di un nuovo orizzonte ideologico intorno a noi, nella società italiana. Per il futuro chi vivrà vedrà».
Foto di Alexander Antropov da Pixabay
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