Chiavari, Genova, Carrara… Ogni giorno un’allerta meteo: piove, certo in maniera differente, con le “bombe d’acqua”, aumentando il panico, si perché l’acqua fa paura, la natura torna prepotente e si riprende il suo spazio.
Quando la pioggia scende copiosa ed inarrestabile, ci si rende conto dell’inadeguatezza delle nostre città, o meglio di chi le governa, gente forse che nella vita doveva fare altro. Amministrare la “res pubblica” la cosa pubblica, non è facile, bisogna essere competenti, ma soprattutto umili ed instancabili, ed a volte non si riesce comunque ad evitare disastri con danni milionari e a trovare una soluzione per tutti i problemi.
Invece ormai si può solo constatare un distacco per il bene comune. Chi governa, sindaco, ministro, prefetto o politico di turno, è spesso pieno di inutile e sgradevole arroganza.
Le allerta meteo si trasformano di conseguenza in bollettini di guerra, dove si contano ingenti danni e la morte di cittadini innocenti; siamo in guerra contro una natura che spesso abbiamo maltrattato e mal gestito.
Certo la natura ha i suoi momenti drammatici, le alluvioni, i terremoti sono fenomeni imprevedibili spesso, ma fino a pochi anni fa si riusciva a convivere tranquillamente, riducendo questi rischi, perché si lavorava mantenendo puliti i boschi, i canali, le strade producendo anche ricchezza per il Paese, cosa che ormai non avviene più.
Perché non avviene? Le risposte sono diverse, prima di tutto abbiamo perso l’attitudine per il lavoro manuale e faticoso, dove i risultati non sono immediati; siamo la società del tutto e subito.
Una seconda risposta è l’ambientalismo malato, che caratterizza il nostro Paese dove si interpreta la tutela del patrimonio naturalistico con il “chiudiamo tutto, lasciamo tutto così com’è, l’uomo non deve fare nulla, né sfruttare né mantenere, al massimo sorvegliare”. Quello che bisogna fare, a mio avviso, è l’esatto contrario: mantenere, pulire, tagliare gli alberi e ripiantarli. Così si mantiene l’equilibrio tra uomo e natura.
Terzo: si è edificato selvaggiamente, disinteressandosi completamente del territorio, chiudendo falde, deviando fiumi, abbandonando all’incuria i canali, senza mettere mano ad opere di consolidamento di argini.
Se necessario si crea un nuovo Ente, con una nuova sigla, spesso con competenze di “coordinamento”, tra le decine di enti statali, regionali, provinciali comunali, che si suddividono il territorio. Prima che queste nuove strutture entrino a “regime” il tempo passa, vanno riallocati i fondi, ristabilite le competenze con perdite di tempo, mentre i rischi aumentano.
Laddove occorra intervenire con progetti mirati, e il caso di Genova è emblematico, tutto si blocca tra bandi di gara, reclami al TAR, cambi di Amministrazioni con conseguenti “modifiche progettuali” che finiscono per azzerare tutto quanto fatto prima.
Da tutti questi disastri, ciò che emerge è drammatico.
Lo Stato ha perso, dalla credibilità all’autorità. Ha delegittimato il suo ruolo perché, quando si vede come a Chiavari, il centro storico allagato (sembrava qualcosa di surreale), o a Genova, che non ci sono uomini dello Stato, come la Protezione Civile o l’esercito, che in passato veniva inviato immediatamente con mezzi e uomini, questa è la sconfitta dello Stato.
A intervenire, a spalare, e a sistemare è la gente comune, oggi ci sono i volontari chiamati “ Angeli del fango”, che rimboccandosi le maniche fanno da sé, dopo aver pagato migliaia di euro di tasse, finiti chissà dove, non certo per mettere il territorio in sicurezza.
Per le strade, dove rimangono tangibili i segni della battaglia, nessun membro del governo ha avuto il coraggio di presentarsi, e questo la dice lunga sul nostro sistema politico, sulla sua rappresentatività sul territorio.
Certo non per spalare, ma semplicemente a portare solidarietà a quelle persone che con le loro voci spezzate dalla disperazione che trattengono si sentono sole: molti non hanno più nulla.
di Giorgio Chiatti
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