L’abbattimento dell’aereo russo da combattimento, effettuato nei giorni scorsi dalla Turchia è solo l’ultima delle contraddizioni che presenta la guerra allo Stato islamico dell’ISIS, in Medio Oriente. L’esame dello scenario diplomatico, infatti, evidenzia un formicaio di ambiguità e di doppi giochi tra le parti in causa che, in confronto, i famosi “giri di valzer” dell’Italia di cento anni fa, tra un contendente e l’altro, in vista dell’entrata in guerra nel primo conflitto mondiale, sembrano tappezzeria.
Le potenze occidentali, infatti, non sono ancora riuscite a far capire al mondo musulmano che il loro intervento deve intendersi a difesa dei valori laici e democratici, minacciati dal terrore proclamato dallo stato teocratico islamico e non una guerra tra cristianesimo e islamismo, o alcune parti di esso. Questo perché, sino a oggi, il loro atteggiamento nei confronti delle monarchie islamiche ha sempre evitato ogni riferimento alla palese violazione dei diritti umani operata da quest’ultime. Non chiarendo ciò, Europa ed USA si sono necessariamente infilate nelle diatribe religiose tra musulmani (Sunniti, Sciiti e loro sotto divisioni) o tra questi e i cristiani del Medio-oriente e, per tale motivo, hanno iniziato e poi scatenato la fiera del doppiogiochismo diplomatico.
La “madre di tutte le ambiguità” è stata il comportamento dell’Occidente, nei confronti dell’Arabia Saudita e degli Emirati arabi, per lo sfruttamento dei loro enormi giacimenti petroliferi e l’approvvigionamento energetico. Per ottenere ciò, i governi occidentali hanno fatto finta di non vedere che, ideologicamente, i loro partners commerciali fossero quanto di più distante potesse esserci dai valori di libertà e dalla democrazia, forse ancor più del fascismo e del comunismo. In Arabia, infatti, esiste già da sempre un califfato che si sorregge su un libro sacro (il Corano) e due luoghi santi (la Mecca e Medina), dove la tutela dei diritti umani è inesistente, la donna è sottomessa al padre o al marito, senza alcun diritto, non esiste libertà di culto e una legge religiosa, assolutamente intransigente, è sanguinosamente applicata con le uccisioni, i massacri, le lapidazioni e il taglio delle mani.
Ai tempi del conflitto arabo-israeliano, le monarchie assolute si sono astenute dall’intervenire a fianco dei palestinesi, pur di mantenere un rapporto preferenziale con gli Stati Uniti e l’Europa ma nessuno statista occidentale ha mai avuto il coraggio di dire apertamente che lo Stato d’Israele rappresenta l’unica presenza democratica nella regione e, come tale, l’Occidente non può non tenerne conto. Tale legame tra l’Occidente e le monarchie del Golfo si è stretto ancor più con l’avvento del Khomeinismo in Iran e di Al Qaeda, tanto che quei regimi medioevali sono stati addirittura descritti sulla stampa occidentale come “moderati”.
Dopo l’11 settembre, gli Stati Uniti (e gli altri occidentali) hanno armato l’Arabia per finanziare la guerra di quest’ultima in Yemen contro Al Qaeda ma sono stati costretti a un altro doppio gioco. In Iraq, infatti, gli USA hanno dato il potere agli Sciiti – che i sauditi, di confessione sunnita, vedono come il fumo negli occhi – e l’autonomia ai Curdi che, pur essendo musulmani, non sono arabi e, se si costituissero in Stato sovrano, occuperebbero una parte, sia pur piccola, della “Grande Arabia” promessa cento anni fa ai sauditi dal colonnello Lawrence.
L’espandersi dell’ISIS e l’arroganza dei paesi del Golfo nella gestione del prezzo del petrolio hanno costretto gli USA a un nuovo “giro di valzer”: l’accordo con il regime sciita dell’Iran sulla progressiva abolizione dell’embargo commerciale dell’Occidente nei suoi confronti.
Ma non sono solo gli USA i doppiogiochisti. L’Arabia Saudita, infatti, fa parte della coalizione anti IS ma, in realtà, come abbiamo detto, ne condivide l’ideologia. L’unica differenza è che IS (sunnita) non riconosce la dinastia saudita come depositaria della verità ma non è detto che ciò sia poi così dirimente, in futuro.
L’Iran sciita, a sua volta acerrimo nemico dell’Arabia, per motivi petroliferi, oltre che confessionali, ufficialmente non fa parte della coalizione ma è la potenza islamica che combatte maggiormente IS, supportando militarmente l’Iraq sciita, i Curdi (nemici dei Turchi) e la Siria di Assad.
Il dittatore siriano Assad, pur essendo nemico dell’ISIS è anche nemico degli Stati Uniti che, allo scoppio delle “primavere arabe”, in nome – per la prima volta – di una solidarietà democratica contro il dittatore siriano, si sono messi ad appoggiare i guerriglieri anti-Assad. Così ha fatto la Turchia, alleata dell’occidente, in quanto membro della NATO. Quest’ultima, facendo anch’essa parte della coalizione anti ISIS, avrebbe dovuto supportare anche i guerriglieri curdi, nemici dell’ISIS e armati dagli Stati Uniti che gli hanno concesso l’autonomia nell’Iraq settentrionale. Invece, sembra che il suo intento sia solo quello di combattere i Curdi, entro e fuori i propri confini.
In questa fiera del doppiogiochismo si è inserita la Russia che si dichiara anti ISIS ma solo in funzione pro-Assad e, pertanto, combatte anche i guerriglieri non-ISIS ma anti Assad in Siria. Tanto è vero che l’aereo russo, pur ammettendo che non sia sconfinato in territorio turco, è caduto nel territorio controllato dai guerriglieri anti-Assad e, di conseguenza, si presume che si trovasse lì per bombardarli.
In tutto ciò l’unico atteggiamento un minimo coerente sembra essere quello di Barak Obama nei confronti di Assad: il Presidente siriano è un dittatore e, pertanto, qualunque soluzione della crisi deve passare per una sua uscita di scena. Ci si chiede sino a quanto possa durare questa presunta coerenza, ma già qualcuno maligna che tale politica favorevole all’instaurazione di un regime democratico in Siria miri, invece, all’uscita di scena della Russia dal Medio Oriente, sinora consentita dal solo Assad. E, proprio per tale motivo che la Russia, in Siria, ci si è intromessa ancora di più.
Nella foto, Recep Erdoğan e Vladimir Putin: fonte: tpi.it
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