A partire dalla fine degli anni Ottanta si è tanto parlato di “politically correct”. Nato negli Stati Uniti, il termine è divenuto un “dovere” che sta investendo praticamente ogni settore della comunicazione, a partire dalla revisione dei miti classici, della satira e delle fiabe storiche come Biancaneve e i sette nani, fino alle opere d’arte.
Ultima in ordine cronologico è appunto la revisione del film cult Disney. Il remake di Biancaneve, diretto da Marc Webb ha infatti ritoccato la storia per non urtare la sensibilità delle minoranze. Non ci saranno più i nani ma i “diversamente alti”. Per magia si trasformeranno in personaggi multietnici, così da non essere tacciati di razzismo. Con buona pace del contesto in cui si svolgeva originariamente la favola dei fratelli Grimm (presumibilmente in Baviera).
A cosa serve il politicamente corretto?
E’ davvero il modo migliore per progredire o forse è uno strumento di retrocessione culturale?
Come diceva un noto conduttore televisivo: la domanda sorge spontanea.
Se alla sua nascita, l’idea ispiratrice del politically correct intendeva operare una trasformazione culturale nel segno del rispetto di differenti sensibilità e punti di vista, oggi è paradossalmente divenuta uno strumento per silenziare ogni pensiero o dibattito antagonista. Rischi della correttezza politica.
Altra domanda che sorge spontanea è: a cosa potrebbe portare l’applicazione forzosa del politicamente corretto?
Verrebbe infatti da chiedersi se in un futuro non troppo lontano si potrebbe assistere al ritorno di una moderna Inquisizione, volta a “purgare” il lessico e le immagini della comunicazione pubblica e privata per non urtare la sensibilità di questa o quella minoranza.
Una follia sotto tutti i punti di vista
Basti pensare a una notizia apparsa nel 2021 sui principali giornali, secondo cui gli studenti della Columbia University, sentendosi turbati dalle Metamorfosi di Ovidio ne avrebbero chiesto la revisione.
A un’attenta analisi, dovremmo gettare al rogo il Decamerone, l’intera letteratura di Bukowsky o altri titoli di grandissimo rilievo culturale.
La satira poi andrebbe a farsi friggere. In nome del politicamente corretto dovremmo dire addio alle pungenti battute di alcuni comici o di disegnatori nostrani e internazionali. Come diceva un grande maestro della satira, Ro Marcenaro, “la satira non può avere limiti”. In effetti pensare a una satira bacchettona e moralista sarebbe un controsenso assurdo.
Il politicamente corretto è davvero una forma di progresso?
Decontestualizzare una storia è pura barbarie. Ogni epoca ha avuto le sue caratteristiche e le sue regole e, che ci piacciano o no, non vanno prese alla lettera o estrapolate dal contesto storico, anche e soprattutto per il loro valore antropologico. Sono una fotografia, uno spaccato delle abitudini e del grado di civiltà di chi le ha scritte. Il rischio dell’ideologia politically correct è che possa trasformarsi in uno strumento consapevole di un decadimento culturale senza precedenti, in nome di una presunta moralità super partes.
Le grandi narrazioni del passato non avevano bisogno di usare argomenti morali per imporsi! Non dividevano le narrazioni in “giuste” o “sbagliate”.
Di contro, il politically correct, sembrerebbe poggiare proprio su questi meccanismi bacchettoni, pretendendo di essere portatore dell’unica ‘giusta’ visione, in barba a ogni forma di pensiero critico.
Dunque, fatte le debite analisi, il politicamente corretto inizia ad apparire strumento di un’ideologia mediocre, medievale e regressiva. Una sorta di marchio politico attraverso cui promuovere un “radicalismo sociale” che in realtà non mette in discussione disuguaglianze e sfruttamento di sorta.
Ci attende quindi un mondo fatto di crociate e ipermoralità, in cui la damnatio memoriae sarà all’ordine del giorno per tutto ciò che non viene ritenuto corretto?
Foto di Gerd Altmann da Pixabay
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