Il rebus della situazione mediorientale è tale solo se si continua a porre l’ISIS al centro dell’ analisi geopolitica, come è stato fatto sinora da parte dei mass-media euro-americani e gli osservatori più superficiali. A parole, infatti, ognuna delle parti in gioco si dichiara anti-ISIS ma, se così fosse, non si comprendono tutte le ambiguità e l’apparente doppio-giochismo a cui stiamo assistendo dalla proclamazione del califfato di Al-Baghdadi ad oggi.
Appare ambiguo il comportamento degli stati islamici sunniti, che hanno costituito una coalizione militare anti-ISIS uscendo da quella euro-americana; quello della Turchia, che, invece di combattere il califfato, sembra battersi esclusivamente contro i curdi siriani, che del califfato sono nemici; quello della Russia che, pur combattendo in parte contro Daesh, rivolge le sue “attenzioni” anche nei confronti dell’opposizione anti governativa siriana. Difficilmente è spiegabile, inoltre, di fronte l’opinione pubblica occidentale, il comportamento degli Stati Uniti e dei suoi alleati europei che, dopo i proclami di fuoco contro il terrorismo islamico su scala mondiale, si limitano ad effettuare raid aerei poco efficaci, evitando l’impiego di truppe terrestri.
Per capirne qualcosa, occorre effettuare una “rivoluzione copernicana” e porre al centro dell’analisi il dittatore siriano Bashar Al-Assad. Una volta fatta la cernita dei suoi amici e dei suoi nemici, ecco che, come per miracolo, tutto diventa più chiaro: gli schieramenti sullo scacchiere medio-orientale si definiscono e il rebus sembra risolto.
Da una parte, infatti, ci sono gli amici di Assad: Iran, Russia, Hezbollah libanesi e, con una considerazione che faremo più tardi, anche i Curdi. Dall’altra, i nemici di Assad: ISIS, Al Qaeda, Sauditi ed Emirati, Turchia, Israele (toh!), ribelli filo-occidentali e – udite, udite – gli Stati Uniti e i suoi alleati.
Ecco perché, sinora, Daesh è prosperato. Perché era utile agli Stati Uniti e al resto dello schieramento anti Assad, per liberarsi finalmente del dittatore siriano. Ecco perché l’unica potenza regionale a rimanere estranea al terrorismo islamico dell’ISIS è stata Israele. E, infine, le illazioni di parte della stampa, sui finanziamenti e il rifornimento di armi ad ISIS da parte degli USA (almeno inizialmente, ma poi proseguito tramite la Turchia), sembrano trovar fondamento.
Da tutto ciò emerge chiaramente l’errore politico effettuato dagli Stati Uniti nell’area medio-orientale, a partire dagli anni della caduta del comunismo: sbarazzarsi dei dittatori (ieri Saddam Hussein, oggi Assad), in nome di una presunta battaglia per i diritti umani ma, in realtà, spinti dagli interessi dei loro alleati sauditi e dagli emiri del Golfo. Purtroppo per gli USA, la lotta per i diritti umani non sembra aver mai fatto presa nell’Islam.
Tutto ciò, tuttavia, non poteva durare a lungo, indipendentemente dalla contraddizione degli USA di combattere per la democrazia in ogni dove ma non nella penisola arabica, sede dei suoi alleati produttori di petrolio. Le condizioni del mercato energetico, hanno finito per riavvicinare gli Stati Uniti e l’Occidente verso l’Iran sciita, nemico giurato dell’Arabia Saudita e degli Emirati (oltre che della Turchia e di Israele), tutti di confessione sunnita.
Tale riavvicinamento è la chiave di svolta del conflitto, anche se non a breve o brevissimo termine e solo in chiave regionale (Siria e Iraq settentrionale). Troppo forti, infatti, sono ancora gli interessi dell’occidente con i sauditi e gli emiri. Tuttavia, se esaminiamo nuovamente la questione in un’ottica centrata su Assad, possiamo formulare previsioni abbastanza attendibili.
La conferenza di Ginevra, attualmente sospesa sino al 25 febbraio, si riaprirà con la posizione del dittatore siriano indubbiamente rafforzata, dopo l’accordo economico tra l’occidente e Teheran. Inoltre, è ormai evidente che Assad, grazie all’appoggio militare di Putin, è l’unico – insieme ai curdi – con le carte in regola per sconfiggere ISIS, visto che USA e occidente non possono peggiorare ulteriormente i loro rapporti con sauditi ed Emirati. E’ evidente, inoltre, che i ribelli anti-Assad sono ormai allo stremo e che gli USA sembrano convinti che non valga più la pena appoggiarli; anche perché tra essi ha trovato spazio il gruppo filo Al-Qaeda e ciò non appare “politicamente corretto” agli osservatori occidentali. Non a caso, già nell’ottobre scorso, Obama ha deciso di annullare un programma di 500 milioni di dollari per l’addestramento militare dei ribelli “filo-occidentali”, preferendo usare quei fondi per armare direttamente i guerriglieri curdi in funzione anti-Isis.
Alla recente conferenza di Monaco, avente ad oggetto esclusivamente gli aiuti umanitari, è stato già proposto un cessate il fuoco tra i ribelli e i governativi siriani. A nostro parere potrà essere attuato solo se i ribelli accetteranno di isolare i Qaedisti e di essere disarmati; ma, alla lunga, non potranno fare diversamente. Ciò favorirà il ritorno di Assad nei territori ribelli, previa formale offerta di riconciliazione e perdono ai suoi oppositori, compresi i profughi fuggiti in occidente. Sì perché questi milioni di rifugiati sono tutti oppositori di Assad. Ecco perché la Merkel – dietro “suggerimento” di Obama – aveva cominciato ad accoglierli, almeno temporaneamente, tramite l’avallo di Tsipras che non ha potuto negare di far da “traghettatore”.
Una volta “normalizzata” la situazione con i ribelli ex filo-occidentali, Assad, tramite i russi, potrà proseguire contro l’ISIS la sua “guerra di liberazione” ma ad un patto: di concedere autonomia ai curdi siriani, così come hanno già ottenuto i curdi iraqeni. Perché i curdi siriani, gli saranno utili nella guerra contro l’ISIS e perché, armati dall’Iran e – stavolta più seriamente – anche dall’occidente, sono quelli a cui è affidata la guerra contro lo stato islamico sul fronte iraqeno. Non è un caso che Papa Francesco si sia già incontrato con il presidente iraniano Hassan Rouhani e con il patriarca moscovita Cirillo, molto influente su Putin, a sua volta “tutore” di Assad: per negoziare sul futuro dei cristiani della regione.
di Federico Bardanzellu
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