Un piccolo volume in pergamena del quindicesimo secolo, con decine di illustrazioni di erbe e fiori sconosciuti, scritto in una lingua che non è stata ancora decifrata. Il manoscritto Voynich rappresenta uno dei più grandi misteri della filologia, il testo limite, il libro che nessuno può leggere.
La storia
Ritrovato nella biblioteca di un collegio gesuita nei pressi di Frascati, il manoscritto prende il nome dal suo scopritore, Wilfrid Voynich, un antiquario polacco collezionista di libri rari. L’esame al radiocarbonio ha collocato la stesura della pergamena tra il 1405 e il 1438, ma per ricostruirne la storia si può fare affidamento ad una lettera rinvenuta all’interno del libro e databile intorno al 1600. In essa, un certo Johannes Marcus Marci – medico di Rodolfo II di Boemia – racconta di aver ereditato il libro ma di non riuscire a decifrarlo. Con la stessa, Marci affida il misterioso volume all’amico Athanasius Kircher, affermando che nessun altro avrebbe potuto svelarne i segreti.
Kircher, famoso al tempo per la sua erudizione e il suo lavoro sui geroglifici, si trovava allora nei pressi di Roma. È proprio dalla biblioteca di questo studioso, che il manoscritto raggiungerà il collegio gesuita in cui Voynich lo rinvenne. Ma prima di Marcus Marci, il volume era appartenuto probabilmente allo stesso Rodolfo II, e prima ancora forse a quell’Jacobj à Tepenecz la cui firma si legge a stento sul primo folio. Questi è conosciuto anche come Jakob Horcicky, o come Sinapius, esperto dell’arte medica ed erboristica, nominato nobile sempre sotto Rodolfo II. Tuttavia, non sappiamo quale sia la storia del manoscritto Voynich prima del suo arrivo a Praga, e fra la data confermata dal radiocarbonio e il diciassettesimo secolo vi sono anni di oblio.
Il manoscritto
Poiché la scrittura del volume appartiene ad un sistema alfabetico non attestato altrove, e ancora non decifrato, tutto quello che sappiamo dal manoscritto lo ricaviamo dalle immagini. A partire da queste si può dividere il Voynich in cinque sezioni.
La prima sezione è definita botanica, perché contiene illustrazioni di piante. I disegni dell’autore sconosciuto si concentrano in particolare su semi, rizomi e radici, le parti più utilizzate delle erbe medicinali. Tuttavia, la maggior parte i esse non sono riconoscibili: alcune piante sembrano composte da foglie di una specie e fiori di un’altra, e questo rende ancora più complessa la comprensione del volume. La seconda sezione è invece caratterizzata da disegni di tipo astronomico. Molti studiosi che hanno tentato di decifrare il Voynich hanno creduto di poter fare affidamento proprio su questa parte del volume, spinti dalla speranza di decifrare il nome delle costellazioni che in essa sono rappresentate. Naturalmente, il tentativo è stato più difficile di quanto sperato.
Ma è la terza sezione quella che ha gettato maggiore sconcerto in chi ha analizzato il manoscritto. Definita “biologica”, in essa sono rappresentate delle figure femminili nude immerse in strane strutture di vasche. Il reticolato di piscine secondo alcuni corrisponderebbe a quello dei mikva’ot, bagni comuni costruiti dagli ebrei durante il Medioevo, destinati a ripristinare uno stato di purezza dopo il parto o le mestruazioni. Ciò spiegherebbe perché sono solo donne, quelle rappresentate. La quarta sezione è definita farmacologica perché presenta disegni di ampolle usate per la conservazione dei farmaci. Nell’ultima parte del volume c’è invece una sezione senza immagini, costituita da un testo continuo che è stata interpretato come un indice o un ricettario.
Decifrazione del manoscritto
Ma cosa c’è scritto in questo libro? Possibile che nessuno riesca a decifrarlo? Le prime interpretazioni del Voynich risalgono al Johannes Marcus Marci, il quale affermava che l’autore del manoscritto fosse Ruggero Bacone – forse anche per incuriosire Kircher e spingerlo alla traduzione. D’altronde, Bacone era ritenuto un grande filosofo naturalista e alchimista nel 1600. Fra le varie ipotesi successive, c’è anche chi ha attribuito la paternità del manoscritto a Leonardo da Vinci, poiché le illustrazioni presenti nel libro sono chiaramente state disegnate prima dell’aggiunta del testo scritto, secondo un metodo seguito da Leonardo. Naturalmente, tali ipotesi sono da scartare, perché non coincidono con la datazione al radiocarbonio.
Il primo vero tentativo di traslitterazione del Voynich è stato compiuto dal un gruppo di sedici esperti di crittologia dell’esercito americano, nel 1944. La squadra, fondata da William F. Friedman, pensò ad una lingua artificiale, organizzata in classi di parole. Negli anni ’70, Robert Brumbaugh, docente di storia medievale all’università di Yale, ipotizzò un codice in cui a ogni carattere corrispondesse un numero. Ma il primo vero passo in avanti nella ricerca sul manoscritto Voynich fu compiuto da William Bennett, che fu il primo a parlare di “bassa entropia” del testo. Pur non riuscendo a decodificare il codice, infatti, Bennett si rese conto della limitata quantità di combinazioni di lettere presente in esso. Parole apparentemente identiche vengono ripetute più volte anche sulla stessa riga di testo. Fu anche questo dettaglio, oltre alla totale assenza di errori di scrittura, a far pensare ad un falso. Tuttavia, è molto difficile che nel ‘400 si sprecasse così tanta pergamena, inchiostro e tempo per realizzare un falso di questo genere.
C’è chi ha pensato che fosse una versione abbreviata del latino medievale, o una strana trascrizione dell’alfabeto. Chi ha creduto di leggere un ucraino senza vocali, o un cataro scritto con un diverso alfabeto, una lingua segreta basata sul fiammingo, una lingua filosofico-alchimistica, o semplicemente il delirare di un pazzo. Nicholas Pelling, matematico e filosofo, parlò di maledizione, perché chiunque affermava di aver trovato la chiave del Voynich, poi non riusciva veramente a decifrarlo e perdeva parte della propria credibilità.
Il manoscritto indecifrabile
Quindi, cosa abbiamo fra le mani? Se non possiamo leggere il testo, né capire cosa rappresentano i più di 200 disegni del volume, se non possiamo ricostruirne la paternità né la provenienza, cos’è il Voynich? L’ipotesi più accreditata è che il manoscritto fosse il vademecum di un erborista-astrologo-medico, e che questi avrebbe deciso di nascondere le proprie scoperte utilizzando un codice segreto.
Secondo alcuni, il nostro erborista potrebbe provenire dall’Italia settentrionale, poiché una delle illustrazioni rappresenta un castello con merli ghibellini, tipico di quella zona. Questo riferimento “ghibellino” ha fatto anche pensare a una persona con rapporti con l’imperatore, e quindi con la Germania. Chi ravvisa nelle vasche della parte biologica una riproduzione dei mikva’ot, afferma che l’autore sconosciuto potrebbe essere un medico ebreo. Ipotesi che potrebbe essere avvalorata dall’assenza dell’iconografia cristiana in tutto il codice – fatto insolito per il XV secolo. Le teorie sono tante, ma il Voynich continua ad essere un enigma, il simbolo dell’incomprensibile. Il manoscritto Voynich ci lascia senza punti di orientamento, frastornati davanti al mistero, ma soggiogati dal fascino di qualcosa di inafferrabile. Perché in fondo, niente ci conquista come ciò che non si può conoscere.
Foto di Antonios Ntoumas da Pixabay
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