Era la fine del secolo scorso quando trascorsi in Irlanda una tra le più piacevoli vacanze della mia vita. Porto ancora nel cuore il ricordo di un periodo estivo straordinario, ricco di emozioni e passioni irrefrenabili, probabilmente dovute alla giovane età.
Dell’Irlanda fui colpito, in modo particolare, dall’ospitalità e dalla gioia di vivere di gran parte delle persone incontrate; dalle sue città caratteristiche e ricche di cultura; dalla maestosità delle Cliffs of Moher, scogliere alte oltre duecento metri a strapiombo sul mare; dal verde che ricopre l’isola in lungo e in largo e perché no, dalla musica degli U2 che accompagnava le nostre gite e le nostre serate nei pub di Dublino.
Insomma, un pezzo del mio cuore rimane legato all’Irlanda e alla sua gente, alla loro storia e alle loro lotte.
Ed è anche per questo motivo che oggi, con grande piacere, vorrei parlarvi di un libro che oltre ad avermi coinvolto emotivamente mi ha colpito per l’originalità della sua storia che scorre veloce tra realtà e fantasia, raccontata magistralmente da Amanda Melling nel suo ultimo lavoro: Il peso sul cuore.
L’autrice è nata a Londra il 6 aprile del 1977. Cresciuta tra le montagne del Piemonte e il mare della Liguria. Dice di amare il buon cibo, la fotografia, i corvi, il folklore e soprattutto i libri, da leggere e da scrivere. E’ direttore editoriale di Amaranta, la collana di Antonio Tombolini Editore dedicata alla letteratura femminile. L’abbiamo intervistata per InLibertà.it
Allora Amanda, come nasce la passione per l’Irlanda?
Mi sono trasferita in Irlanda nel 2013, acquistando un B&B nella contea di Clare, che ho chiamato Elements. Non ero mai stata in terre irlandesi prima di allora, e mi sono ritrovata a vivere accanto alle Cliffs of Moher e al piccolo villaggio di Doolin senza sapere nulla delle abitudini e del clima che mi attendeva. Ho imparato ad amare il vento, il cibo e il verde vibrante delle sue colline dal primo giorno che mi sono trasferita. Il mio compagno è irlandese, un legame con l’isola di smeraldo già esisteva anche quando vivevo in Italia, dove ci siamo conosciuti.
Come nasce l’idea del romanzo?
Dopo la nascita del mio terzo figlio, ho venduto l’attività e mi sono trasferita nel Mayo, vicino a Cong, il luogo che ha ispirato il mio romanzo. Era autunno e passeggiavo tra le vie del paese, osservando la statua dei protagonisti di “The Quiet Man”, gli scorci colorati e il parco centrale, umido e silenzioso. Per caso mi sono ritrovata davanti a una vecchia casa con le finestre bianche ricoperta dall’edera, a ridosso del fiume, e ho pensato che doveva assolutamente essere il luogo centrale di un romanzo. Nel libro si è trasformata in “The Fisherman’s Lodge”, il B&B gestito da uno dei protagonisti centrali della storia.
Qual è la storia del libro?
Erica è una ragazza che vive a Sanremo, ama le montagne della Valle Argentina e cucinare focacce per il suo negozio, gestito con la mamma e la nonna. Un giorno riceve una lettera, che contiene un invito. Un certo Finn, arrivato da un passato lontano, chiede alla sua famiglia di partecipare all’inaugurazione di un B&B nella contea di Mayo. Erica parte per l’isola di smeraldo cercando di far luce su un mistero che pesa sulla sua famiglia da troppo tempo, da qui il titolo del romanzo: Il peso sul cuore. Attraverso i racconti degli anziani del villaggio di Cong, la ragazza scoprirà che spesso la fantasia e la realtà non sono così inconciliabili, non in terre irlandesi. Un libro che affronta la paura della morte e dell’ignoto, stemperandole con il folklore di un popolo capace di credere ancora a sirene, forti fatati e isole magiche lontane dalle tribolazioni umane.
Come nasce il nesso tra società reale e Piccolo Popolo?
In Irlanda le persone hanno un mix di credenze che derivano dal folklore popolare e dagli antichi miti, un po’ come succede in Italia. Quello che li rende diversi è il fatto che per loro non c’è una grande distinzione tra realtà e fantasia. Gli anziani raccontano ai bambini che i forti fatati sono luoghi da cui stare alla larga, perché toccare le dimore delle fate porta solo disgrazie. Infatti questi esseri non sono visti come potremmo immaginare, come personaggi buffi da fiaba, spesso hanno invece dei connotati oscuri, rappresentando debolezze e crudeltà simili a quelle umane. Così esistono nelle loro leggende folletti che si ubriacano, che uccidono, che rubano, oppure, al contrario, che aiutano nei lavori domestici. L’esempio più conosciuto è nell’immaginario collettivo il piccolo essere che aiuta il ciabattino entrando in bottega nel cuore della notte. Il mito irlandese considera il mondo fatato alla stregua di un popolo semi-divino, i cui membri immortali parteciperebbero a eterni banchetti in luoghi fuori dallo spazio e dal tempo, collocati spesso in prossimità di pietre sacre, radure e luoghi d’acqua. Immaginare una credenza così radicata da parte di un popolo, è difficile senza sperimentare personalmente tutte le sfaccettature di un’isola che già di per sé è ricca di magia per la sua naturale bellezza selvaggia e incontaminata. Per questo, se si vuole veramente entrare in sintonia con la sua anima incantata, è necessario venire sull’isola di smeraldo, per tornare poi a casa con quello che molti definiscono “il mal d’Irlanda”.
Da dove le arriva la sua passione per la scrittura?
Ho iniziato a scrivere intorno al 2003 per partecipare ad alcuni concorsi letterari. Vincendo il secondo premio al concorso Fonopoli di Renato Zero, mi sono resa conto che forse valeva la pena coltivare questo nuovo interesse. Così sono nati i miei primi saggi, e in seguito mi sono avvicinata alla narrativa. Ora mi occupo di scouting curando la collana dedicata ai romanzi rosa Amaranta, che ho creato appositamente per Antonio Tombolini Editore. Ho intenzione di dare spazio esclusivamente alla narrativa di qualità, i miei titoli non parleranno necessariamente di storie d’amore, ma del mondo femminile nelle sue innumerevoli sfaccettature. Inaugurerò la collana proprio io, con un romanzo ambientato nell’alto Piemonte.
Qual è il suo pensiero sul fenomeno dell’emigrazione dei giovani italiani?
In Italia i giovani vivono un momento difficile, sia per quanto riguarda la realizzazione sul lavoro, sia in ambito puramente sociale, come ricerca soprattutto di punti di riferimento e valori a cui appoggiarsi e in cui credere. È senz’altro vero che trasferirsi all’estero è il modo più semplice di ritrovarsi finalmente in un clima di meritocrazia, dove la creatività viene più facilmente premiata. Bisogna però stare attenti a non mitizzare la ricerca di felicità “altrove”. Di italiani all’estero a cui manca l’Italia, la pizza vera, la famiglia, se ne trovano tanti. Insomma, lo scopo della vita è sempre vivere senza rimorsi e senza rimpianti, puntando dritto verso i propri traguardi. Ma, secondo il mio parere, si deve vivere in un luogo, con i suoi costumi, sapori e profumi, per amore, perché ci si sente a casa, ovunque ci si trovi e qualunque cosa voglia dire.
Vuole regalare ai lettori di InLibertà.it un breve estratto inedito del suo ultimo libro?
“L’anello di Claddagh Ring, composto da due mani che tengono un cuore sormontato da una corona, deve l’origine del suo nome ad un villaggio di pescatori sulla Baia di Galway. Il simbolismo dell’anello, sembra avere un’origine divina. Secondo la leggenda la mano destra dell’anello appartiene a Dagda, il padre degli dèi, mentre la sinistra sarebbe di Anu (dea conosciuta poi come Danu), madre universale dei Celti. La corona rappresenterebbe la vita intera sui cui regnerebbero le divinità, e il cuore il simbolo degli esseri viventi e dell’umanità.”
La ragazza, affascinata dalla storia, raccontò di aver visto diverse versioni di quell’anello in città, e di essere molto curiosa di conoscere altri dettagli di quel simbolo. «Le mani sono per l’amicizia, il cuore per l’amore, e la corona per la lealtà» continuò il vecchio. «I tre valori del vero amore». Ritirò il tomo, e tornò sedersi con lei. «Se lo indosserai, ricorda che la punta del cuore deve essere rivolta verso le dita, se sei libera, o verso il tuo polso, nel caso tu sia impegnata». Finn le strizzò l’occhio, con aria complice. Le storie d’amore dovevano essere per lui una faccenda divertente.
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