Nel 1901, dopo circa tre anni di lavoro, Pellizza da Volpedo realizza”Il Quarto stato”, un dipinto che riflette l’impegno sociale ed umanitario dell’autore. Il titolo assegnato inizialmente all’opera, “Il cammino dei lavoratori” la dice lunga sul contenuto del dipinto, che viene a configurarsi come una sorta di elogio al difficoltoso cammino intrapreso dal proletariato per la proprio affermazione come classe sociale.
Pellizza da Volpedo vuole, attraverso l’arte, e quindi anche attraverso quest’opera, sensibilizzare la popolazione riguardo le vicissitudini sociali di quegli anni. Il proletariato, finalmente consapevole dei propri diritti rispetto alla classe borghese e alla società industriale, tenta, attraverso scioperi e proteste, di rivendicare i propri diritti e, con essi, la propria dignità.
Nella composizione del quadro ogni elemento contribuisce a sottolineare l’idea di unitarietà della classe sociale proletaria, così come il suo avanzare deciso e compatto indica il processo di ascesa sociale che verrà innescato attraverso le numerose lotte intraprese, fino alla conquista di una posizione egualitaria all’interno della società moderna; ecco perché la folla è stata rappresentata mentre emerge dallo sfondo cupo avanzando verso la luce che inonda le figure in primo piano.
Tornando a riflettere sulla prima titolazione dell’opera, risulta chiaro come l’autore abbia, in un primo momento, incentrato particolarmente l’attenzione sulle rivendicazioni inerenti al campo lavorativo; non a caso il bozzetto dell’opera venne effettuato nel 1898, ai tempi dei Moti di Milano, in seguito alle sanguinose repressioni effettuate in risposta agli scioperi organizzati dai lavoratori dei campi e dagli operai per la diffusa disoccupazione, i bassi salari e l’aumento del prezzo del grano.
Il popolo doveva e, soprattutto, pretendeva di poter lavorare in condizioni semplicemente più umane, per condurre una vita dignitosa, non più ai margini. L’autore di quest’opera, che venne subito adottata dai lavoratori e dalle loro associazioni come manifesto, non poteva immaginare per quanto a lungo, ancora, si sarebbero protratte le lotte per i diritti sul lavoro e che dopo tutte le manifestazioni, le morti, e le apparenti ed effettive conquiste, si sarebbe arrivati, oggi, a vivere una situazione di crisi economica e lavorativa così profonda da privare, di nuovo, l’uomo di ciò che lo nobilita: il lavoro.
Quel lavoro che manca, che non viene concesso, del quale, troppo spesso, si viene privati ma che, proprio ieri, è stato “festeggiato”. Ecco perché quest’opera risulta attuale: oggi più che mai il lavoro, ancor prima che come una necessità, dovrebbe essere percepito da ogni individuo come un diritto, e come tale dovrebbe essere, innanzitutto, garantito, poi rivendicato e difeso.
di Noemi Cinti
Scrivi