ho visto un film sull’ultimo dito di una mano, stasera.
parlava di un’isola, e vite spezzate, da un volo caduto.
poi c’era una macchina che s’allontanava, sotto la pioggia, anche sotto la pioggia degli occhi.
lo avevo già visto, ma non ricordavo la fine, e allora speravo, speravo che qualcuno tornasse indietro. poi è arrivata la pubblicità, ed ho spento. mi sono detta che non voglio più vedere, ché la fine è una strada che percorro da troppo.
sono stanca, ma non ho sonno.
fumo una sigaretta che non è mia, ché comprarsele da soli a volte ci lascia estranei nella propria casa. pisolo e bigné si fanno compagnia, nella stessa cuccia. nella camera da letto non c’è allegria, ma ciò che è stato lasciato mi porterà lontano, anche domani.
sono nata in un giorno di pioggia. era settembre, e doveva piovere per forza, ché ho sentito poco stupore, nel venire. anche quest’anno arriverà il mese dei fichi, e i miei anni torneranno a pensare allo zucchero che manca, e a pesare, come gli schiaffi dati senza motivo, ai bambini.
all’improvviso sudo. sento la fronte farsi fredda, e penso, penso che potrebbe essere quell’età che non si accetta. e allora faccio di no con la testa, ché io voglio un bambino, almeno qui dentro, qui, dove partorisco le immagini che non esistono, e dove cerco di cancellare gli schiaffi, della.
avevamo anche le candeline, riciclate. si spengeva la luce, e poi arrivava babbo con quella corona di luci, e i miei occhi brillavano.
nella camera da pranzo il profumo dei mobili, misto a quello della naftalina dei tappeti, faceva compagnia alle mie narici umide. era la stanza, quella buona, quella che doveva restare intatta per gli ospiti, e noi bambine si poteva entrare solo per le grandi occasioni. quella stanza aveva un fascino particolare, con il soffitto e le sue pareti tinte di un blu indefinito, ché mio padre era un’artista. a me piaceva quel colore, mancavano solo le stelle. quel tavolo, all’angolo sinistro, dietro la porta a vetri, ricordava il nostro vero numero, senza andare all’anagrafe.
un lampadario col cappello di canapa gialla lo aggiornava, lasciando in penombra l’angolo destro, dove la libreria senza parete lasciava intravedere il divano di tessuto rosso, anch’esso indefinito, per gli anni che aveva trascorso, ma non era vecchio, non ai miei giovani occhi.
la mente sta perdendo elasticità, e si ferma, e si sofferma sul tavolino rettangolare del salotto. forse sono troppo presa dal profumo delle pipe che erano lì, ed è per questo che non riesco più a vedere se c’erano le poltrone. erano sei, le sue pipe, una per ogni giorno, e furono l’unica sua spesa folle. la settima arrivò nel “settantasette”. fu la mia, spesa folle, grazie ad uno dei miei primi stipendi. era di schiuma bianca, ma non ebbe il tempo di essere mai fumata. ricordo quando la portai in ospedale. era natale. la camera troppo anonima, per una festa così importante, e allora misi sul suo comodino un po’ di verde, con piccole sfere dorate e fili argentati, e sotto quell’alberello mettemmo i regali, oltre alle nostre preghiere.
aveva troppe cose sul volto, per poter parlare, ma quella lacrima che gli scese dall’occhio destro, ci disse tutto. forse c’era anche paura, la paura di lasciarci sole.
un figlio non dovrebbe sentire certe cose, almeno non così presto, e invece il presto a volte ha troppa fretta, e ti scioglie la vita, come fosse neve.
una macchina lo portò via, a novembre dell’anno successivo.
ci sono macchine che se ne vanno, nella mia vita.
ma io non le lascio andare, e non le lascio mai sole.
e quel film stasera, sotto la pioggia.
e a pioggia mi sono arrivati i ricordi, ma non riesco più a ricordarli tutti, ed ho paura.
ho paura di ricevere consigli nella mente, ché se lì li accetto non potrò più partorire figli.
e’ per questo che scrivo.
e’ anche per questo, che scrivo.
forse sono cose tristi. lo sono, forse, e forse lo sono anche io, non so, ma a volte ne ho bisogno, come se la tristezza si traducesse in coperta, o in una matita aperta. e allora disegno, e disegno parole.
e le disegno, anche per chi amo.
amare non è una perdita di tempo, e non è una sconfitta, anche se si cammina sulle sofferenze, anche quelle, delle proprie sconfitte.
so che ogni vita è un libro, fatto di voci e di silenzi, ed io ho degli arretrati da pubblicare, prima che la neve si sciolga tutta, ma nel se di un tempo, che reputo indefinito, so che arriverà il mio, e allora scriverò, anche di quanto sono stata amata oggi, io…
di simonetta bumbi
foto: stefano cracco
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