“Venite a mangiare” (Gv 21,12). Questo è l’invito che, espresso nella seconda parte del Vangelo di questa domenica, è rivolto ai discepoli dal Signore Risorto; e Gesù porge lo stesso invito a ciascuno di noi perché tutti insieme, ogni domenica, possiamo mangiare di Lui, seduti attorno all’altare. Saremo immagine dei discepoli che seduti a mangiare con il Maestro lo rivedono vivo dopo la sua crocifissione e morte. Dalle narrazioni dell’evangelista Giovanni possiamo risalire alle vicende degli Apostoli seguite al giorno della risurrezione: egli narra che dopo la grande paura del Venerdì Santo, gli Undici erano scappati via da Gerusalemme, ritornando a pescare sul lago di Tiberiade (foto).
I discepoli pensavano che l’esperienza della crocifissione rese il Maestro un fallito: ogni speranza di riscatto, infatti, svanì e per reagire a tale disagio, essi ritornarono a svolgere il loro antico mestiere, non considerando abbastanza che Gesù dopo la sua risurrezione si mostrò vivo ai loro occhi; essi, quindi, non curandosi del fatto che nel giorno di Pasqua il Signore risorto offrì loro la pace e il perdono, ritornarono a gettare le reti per la pesca. Carissimi, quanto è duro il cammino della fede, soprattutto dinanzi ai fallimenti della vita e in preda allo scoraggiamento. Tuttavia, Dio conosce bene il cuore dell’uomo, le sue aspirazioni, i sogni, le angosce, le delusioni, le frustrazioni e ancora una volta, come nel giorno di Pasqua, è Lui a fare il primo passo per colmare la nostra precarietà e per alleviare ogni sofferenza. Infatti, “Quando era già l’alba, Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù” (Gv 21, 4).
Il Maestro conosceva molto bene quanto i suoi lo avessero amato e quanto fossero amareggiati per le tristi vicende di quel Venerdì Santo; i poveri discepoli – proviamo a metterci nei loro panni – scapparono via impauriti, smarrendo l’unico riferimento della loro vita. Gesù, che per loro rappresentava la luce a cui guardare nei momenti di buio, non era più. Nel frattempo i discepoli – penso – provarono tanta nostalgia di Gesù e considerare “chiuso” questo capitolo della loro vita rappresentò una forte tentazione a cui però non vollero mai cedere. Ecco perché i pescatori di uomini ritornarono a pescare, convinti che una piccola speranza poteva ritornare a brillare e rifiorire laddove tre anni prima era iniziata l’indimenticabile storia d’amore tra Gesù e Pietro, tra Gesù e Andrea, tra il Maestro e gli altri discepoli. Quel luogo per gli Apostoli rappresenta una sorta di “richiamo interiore”. E Gesù non li delude!
Dopo gli eventi della Risurrezione, il Maestro sceglie ancora il lago, quel nido d’amore, per far crescere nel loro cuore il senso della missione che ancora oggi giunge fino a noi forte e chiaro. Ma ritorniamo all’episodio del Vangelo, sulle rive di quel lago: Gesù si presenta ai suoi come un viandante, seduto, stanco, in cerca di cibo, irriconoscibile ai loro occhi; li vede sfiniti, delusi perché sono tornati a riva con le barche vuote. Un’immagine questa, che si era riproposta qualche tempo prima. Anche noi, quante volte ci sentiamo soli, avvertendo la sensazione di ritornare con le mani vuote presso le rive della nostra vita; quante volte anche noi affidiamo la vita a “calcoli umani”, avvertendo il più delle volte l’amarezza delle nostre scelte. Non temiamo, non disperiamo, Gesù invita anche noi: “Venite a mangiare”.
Come gli Apostoli, non facciamo domande circa la sua identità; sappiamo bene, infatti, che Egli, il Vivente, la sola ragione della nostra vita, sta dinanzi a noi. Sedendo a mensa, Gesù instaura con noi un dialogo, proprio come avvenne con Pietro: Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? Battute che lasciano stupiti, quasi senza fiato perché Dio in persona parla con l’uomo. Meditando questa inaspettata irruzione di Gesù nel cuore di Pietro si rimane senza parole. Come vorremmo che questo dialogo potesse avvenire anche tra noi e Lui! Ed è possibile, carissimi, basta avere solo un po’ della fede di Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita”. Ma Pietro rappresenta anche colui che in preda alla paura scappa e giura persino di non conoscere Gesù. E il Vangelo, riportando quel momento drammatico della vita di Pietro, afferma che egli “Pianse amaramente”. La fede dell’apostolo, nonostante la debolezza, è vera, sincera, grande, profonda ed egli rappresenta il vero testimone della fragilità umana.
Capiamo perché Gesù gli domanda per ben tre volte: “Mi ami?”. Un interrogativo questo, che a volte, in seno alle difficoltà e alle debolezze, mette in imbarazzo anche noi. La domanda che tre volte è posta a Pietro vuole redimere e riscattare le tre false risposte che l’apostolo stesso proferisce in preda alla paura in quella triste notte del Giovedì Santo, prima del canto del gallo. Beato Apostolo che ha avuto la possibilità di riconquistare la fiducia del Maestro, non rinnegandolo più per tre volte ma esprimendogli per altre tre volte l’affetto e l’amore che egli nutre nei confronti di Gesù. “Mi ami tu?” E se ora Gesù ci ponesse questa domanda, cosa gli risponderemmo? Saremmo pronti a rispondere? Ma non ci scoraggiamo se tocchiamo con mano le nostre miserie: in compagnia di Gesù Risorto scompare ogni paura! Perciò, rispondiamogli generosamente e con prontezza. Egli, il Risorto, mai ci abbandonerà.
di Fra’ Frisina
foto: it.wikipedia.org
Scrivi