Quei bambini vittime involontarie di una violenza cieca

bambinodispalleAltri due bambini, questa volta di soli 6 e 7 anni, orfani di genitori litigiosi ma soprattutto vittime indirette di un padre violento. L’ennesima tragedia accaduta a Latina qualche giorno fa ci fa tornare alla mente tutti quei bambini ai quali oltre alla mamma, viene “uccisa” l’adolescenza, la vita.

Quei bambini la cui unica colpa è quella di essere figli di una coppia litigiosa, come tante, ma questa volta a differenza delle altre, da discussioni più o meno accese, anche con gesti di violenza, si è passati  ad un atto estremo, quello della furia cieca senza ritorno: l’omicidio.

Nei casi di violenza domestica, le sofferenze maggiori, oltre a quelle della vittima, sono quelle subite dai bambini coinvolti nel nucleo familiare della tragedia.

Perché se è vero che la vittima principale è quasi sempre la madre, e l’omicida, se non suicida esso stesso, passerà diversi lustri in carcere, è altrettanto fuori discussione che chi non avrà vita facile in futuro sono quei bambini che rimangono senza entrambi i genitori, uno al cimitero e l’altro in carcere.

Per i piccoli inizia a questo punto un complesso iter che partendo dalle loro testimonianze, se hanno assistito al tragico evento, passa dai Tribunali dei minori, ai Servizi Sociali. Sperando che vi sia poi un familiare che se ne faccia carico, s’intraprende comunque un doloroso percorso che li seguirà per tutta la vita.

Ma ammesso che le migliori condizioni che si possano offrire a questi bambini ormai orfani di entrambi i genitori siano non solo adeguate ma anche le più confortevoli possibili, non saranno mai quelle, pur umili, vissute all’interno del proprio nucleo familiare.

Pertanto bisogna affrontare a monte il problema, evitando che questo sorga. E come si fa?

E’ un dato di fatto che da che mondo è mondo gli uxoricidi sono costanti nel tempo e sembrano non fermarsi mai, e che nessuno di noi ha in tasca la soluzione per evitarli, ma crediamo che, soprattutto gli uomini, andrebbero educati alla non violenza nei confronti delle proprie compagne, già dalla scuola primaria.

Il bullismo adolescenziale è un segnale evidente che molti giovani non sono abbastanza educati ed aiutati a vivere la propria vita in libertà senza invadere quella altrui.

Sappiamo tutti che proprio nell’età dello sviluppo, quando i giovani si sentono adulti ma non lo sono affatto, compiono spesso gesti a dir poco inconsueti.

Per curiosità, per emulazione, per spavalderia, per dimostrare il “loro ingresso” nella società adulta sono a volte portati a confondere la disponibilità e l’educazione altrui in debolezza, rispondendo con aggressività e violenza.

E’ qua che deve essere usato “il bastone”, oltre alla “carota” delle cattive abitudini che spesso proprio noi genitori concediamo ai nostri figli per non essere disturbati o per non sentire le richieste e le lamentele continue.

Cedere sempre ad ogni loro richiesta non solo non li aiuta a crescere ma danneggia i ragazzi e li rende potenziali futuri aggressori, possibili artefici di violenze e vittime inconsapevoli di una vita confinata nella trappola della violenza.

Oltre alla famiglia però, è lo Stato a doversi far carico in modo più incisivo dell’educazione dei giovani.

La revisione della spesa pubblica, di cui tanto si parla, dovrebbe tagliare gli sprechi di denaro utilizzati per gli Enti statali inutili come le venti regioni nazionali (in Italia basterebbero tre macro regioni); per le consulenze, spesso fittizie, regalate ai perdenti della politica; per le maxi pensioni elargite, mensilmente da decenni, ai pochi eletti e non dovrebbe toccare in nessun modo la cultura scolastica.

Anzi, dovrebbe incentivare una attività di “counseling” e di assistenza per le giovani generazioni, con personale esperto continuamente presente, non burocratizzato a poche ore, in grado di comprendere il disagio, l’abbandono, la reazione emotiva a problemi spesso determinati dagli adulti.

Crescere le nuove generazioni coinvolgendole nella scelta del loro futuro, nel rispetto dei pari, valorizzando il sistema educativo e chi ci lavora.

di Enzo Di Stasio

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