Non sono solo i ghiacciai che si stanno ritirando, c’è anche la terra di mezzo del civile confronto, quella in cui non ci sono solo il bianco, il nero e i colori accesi, ma convivono pacificamente con tutte le sfumature.
Ogni giorno ne perdiamo un pezzo, sostituito dal deserto culturale ed intellettuale, ma la cosa, stranamente, non ci allarma: iniziamo tristemente ad abituarci.
Ad abituarci al Deputato portato fuori a braccia dai commessi perché non ha trovato parole diverse dagli insulti, per lo più sessisti, per replicare ad una sua collega che lo aveva contraddetto, al famoso saggista che insulta e zittisce la conduttrice radiofonica incalzante e le sbatte in faccia il telefono.
Cosa di male abbiamo fatto per privarci di un confronto pacato in cui lo scoprire di aver torto in una dotta conversazione invece di una sconfitta diventa arricchimento di sé?
Una saggezza antica dice che si dovrebbe aprire una discussione solo se si è nell’animo di accettare che il nostro interlocutore abbia le nostre stesse probabilità di avere ragione.
Ora è prassi corrente il contrario, in qualsiasi contesto: ci prepariamo alla discussione come ad una battaglia in cui ad ogni costo dobbiamo uscire vincitori.
E la terra di mezzo si assottiglia.
Verrebbe di farne area protetta, contornata da alte recinzioni, e su di un cartello, non dritto, ma storto, scrivere in belle lettere: «Qui dentro si ammette anche di aver torto».
Nella foto, l’on. Vittorio Sgarbi espulso dalla Camera dei deputati
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