Viaggio nella meta di ogni straniero che vuole restare in Italia
Il nostro articolo di oggi è una via di mezzo tra la rubrica “Roma Scordata” e quella de “Le Eccellenze di Roma”, che da anni ci tengono compagnia sul nostro giornale.
Ci siamo recati in via Teofilo Patini 23, nella zona est della capitale, presso l’Ufficio Immigrazione della Questura di Roma, un fabbricato nuovo ed imponente che sorge quasi in campagna, ma servito da alcuni mezzi Atac che ne facilitano il suo raggiungimento da parte di chiunque.
Fuori di esso una massa imponente di stranieri, sia asiatici che africani, che si accalcano in una fila disordinata a stento regolarizzata dai funzionari della Questura o dai soldati ivi presenti. Molti di questi stranieri non hanno la mascherina o comunque non la tengono in maniera corretta sul proprio viso mentre il distanziamento sociale di un metro è una pura chimera. La fila comincia già verso le ore sette della mattina, ma il massimo si raggiunge alle 12 e con la canicola di questi giorni, sembra una vera bolgia dantesca.
Fuori della Questura non vi sono ripari ed il sole picchia forte sulle persone che pazientemente aspettano il proprio turno. Molti attendono per regolarizzare la propria presenza in Italia, come stranieri fuori dell’area Schengen, per ottenere il ricongiungimento del nucleo familiare, per avere il permesso di soggiorno o anche per ricevere la carta di soggiorno.
Cerchiamo di entrare negli uffici per vedere come è la situazione. Per far questo seguiamo un avvocato, la dottoressa Silvia Novelli, che aiuta chi si rivolge a lei per dipanare l’aggrovigliata matassa della documentazione che viene richiesta a seconda dell’obiettivo che si vuole ottenere.
Come in ogni ufficio pubblico ci controllano borsa, documenti e mascherina. Sia il soldato che il funzionario all’ingresso sono molto gentili. Dopo questo primo controllo nel cortile di ingesso ci ferma un’altra impiegata della Polizia: gli stranieri vengono smistati a seconda di cosa desiderano, contingentando gli ingressi: si entra solamente cinque alla volta. Gli uffici della “Sala Soggiorni” sono puliti, luminosi, con aria condizionata. Una sala di attesa molto accogliente. Vi sono una decina di sportelli operativi cui ci si avvicina con il numero che la funzionaria ci ha dato. Ci chiamano dopo dieci minuti.
La straniera al nostro seguito, deve effettuare una procedura di coesione, ovvero una richiesta di permesso di stare in Italia per un minimo di cinque anni a seguito di un matrimonio con un italiano, ai sensi e per gli effetti del D.Lgs 30/2007, in recepimento della direttiva comunitaria 2004/38/CE.
Il funzionario della questura è molto paziente e gentile ma soprattutto esaustivo verso le molte domande che pone la straniera. Viene proposto ai presenti un secondo appuntamento tra tre mesi per portare la documentazione richiesta. Un tempo di attesa davvero lungo ma comprensibile stante la situazione dettata dal Covid 19 che ha allungato di parecchio le attese. Usciamo quindi dopo appena 22 minuti dal nostro ingresso. Considerando la ben nota burocrazia italiana lo riteniamo un miracolo.
Resta, tuttavia, la perplessità sull’organizzazione dello spazio esterno: una eventuale copertura per la protezione dal sole o dalla pioggia e dei corridoi, tipo aeroporto, per canalizzare in maniera corretta le persone in coda sarebbero se non doverosi, sicuramente opportuni.
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