Quando si assiste ad uno show di Roger Waters non si può rimanere impassibili: musica, luci e una scenografia da lasciare senza fiato ma non solo. Per l’ex leader dei Pink Floyd ogni suo concerto è un viaggio all’interno dell’umanità, dei problemi e delle contraddizioni del mondo ma anche della sua bellezza data, soprattutto, dall’amore. Quell’amore incondizionato che i fan italiani stanno dimostrando per Waters in ogni concerto del bassista come quello di domenica sera alla Unipol Arena di Bologna. Sei show al chiuso (due a Milano e quattro, tutti sold out a Bologna) e due all’aperto a luglio, Lucca e Roma, segno di un affetto particolare per il nostro paese.
Resist
Veniamo allo show, come detto un viaggio nel mondo e nel pensiero di Roger Waters. Alle 21 circa dal grande schermo alle spalle del palco la visione di una spiaggia e una ragazza seduta che guarda l’orizzonte che, dopo 15 minuti di effetti sonori, diventa rosso come per un’esplosione nucleare che anticipa il vero e proprio inizio sulle note di Speak To Me e Breathe. La vita umana che comincia dal battito del cuore e dal respiro, già sul grande schermo le prime immagini della terra che introducono One of these days in cui il basso di Waters padroneggia. Un grande classico floydiano interpretato da una band in forma, coesa e costituita da eccelsi musicisti tra cui spiccano Jon Carin, già collaboratore di Waters ma soprattutto dei Pink Floyd, e Dave Kilminster a cui spetta il ruolo di replicare gli assoli di chitarra di David Gilmour. E proprio la scaletta dello show a colpire gli amanti della band britannica: l’80% delle canzoni arrivano (dritte al cuore) dal repertorio floydiano prendendo dai a piene mani dai grandi concept album della band, a cominciare da Dark Side of The Moon. E proprio dopo “la sigla di Dribbling” due grandi classici ad introdurre il tema del tempo e della morte: Time e The Great Gig in The Sky commuovono e appassionano introducendo ad uno dei momenti più intensi dello show. Partono le pulsazioni elettroniche di Welcome To the machine, tratta dall’album Wish You Were Here. Emozionante la musica, taglienti le parole e il video, una denuncia della società umana oppressa da un governo tirannico e del bisogno di libertà dell’uomo. Uno dei climax dello show che introduce tre brani tratti dall’ultima fatica di Waters, l’album “Is this the life we really want?“. Anche le nuove canzoni riescono a coinvolgere il pubblico e introducono all’epilogo della prima parte dello show: Wish you were here e il coinvolgente trittico The happiest days of our lives/Another brick in the wall pt.2 e pt.3. Dopo aver viaggiato tra le contraddizioni della terra, Roger invita tutti a resistere e combattere le ingiustizie e i mali che affliggono soprattutto le società occidentali.
Restiamo Umani
Dopo venti minuti di intervallo si apre la seconda parte dello show, ricca di effetti speciali a cominciare dalla scenografica apparizione al centro del palazzetto della Battersea Power Station di Londra protagonista della copertina dell’album Animals del 1977 e che introduce due lunghe canzoni, Dogs e Pigs (Three Different Ones).
In Animals, prendendo spunto dal libro “La fattoria degli animali” di Orwell, Waters divideva l’umanità in cani, maiali e pecore analizzandone in modo crudo ogni singolo aspetto. E il bassista ha portato questa sua visione nel fantastico visual di questo show attaccando in Pigs il presidente americano Donald Trump definendolo, senza mezzi termini, un “maiale”. E proprio il “flying pig” è stato un altro dei momenti topici dello show svolazzando tra il pubblico proprio in Pigs: la banca della guerra, un duro attacco ai potenti del mondo che usano i soldi per finanziare le guerre.
E’ proprio questo il messaggio che Waters lancia con i video proiettati sul grande schermo durante Money in cui appaiono tutti i potenti della terra, Berlusconi compreso. Dai potenti agli ultimi in un crescendo di commozione durante l’esecuzione di Us And Them cantata a squarciagola da tutti i presenti. Noi e loro, dopo tutto siamo solo uomini ordinari divisi dalla guerra, il vero male dell’umanità. Dopo Smell The Roses, la seconda parte si conclude con altri due brani storici del repertorio floydiano, Brain Damage ed Eclipse da Dark Side of The Moon che coinvolgono e commuovono il pubblico anche grazie alla riproduzione con laser, luci e una gigantesca luna della copertina dell’album più famoso della band.
L’ovazione al termine di Eclipse è fragorosa e commuove Waters che introduce la band e saluta il pubblico. “Sono molto felice di essere qui”, le poche parole di Roger in italiano che, con un inglese molto chiaro, parla dell’amore e dell’empatia che si è creata tra tutte le persone presenti: non dobbiamo perdere questi valori, secondo il bassista, è l’unico modo che ha la razza umana di sopravvivere. E prendendo spunto dal titolo del libro di Vittorio Arrigoni su Gaza si rivolge a tutto il pubblico: “restiamo umani!“, scatenando l’ovazione che precede gli ultimi due brani in scaletta. Nelle precedenti dati italiane aveva cantato Mother (tratta da The Wall) mentre nella data del 22 viene proposta la piccola suite conclusiva di tre brani tratta dall’ultimo lavoro solista del musicista di Cambridge: Wait for Her/Oceans apart/A part of me died. Waters in questi evidenzia come in ognuno di noi ci sia una parte invidiosa, senza cuore, avida, predisposta al male. E questa parte dell’umanità è lì nel pulpito a spargere bugie (e ancora i riferimenti a Trump sono evidenti). Ma ecco all’improvviso che arriva la speranza; ancora una volta è l’amore a poter cambiare le cose. Quella parte negativa presente in ognuno di noi può essere sconfitta per non vivere una vita di rimpianti. L’ultimo brano in scaletta è la classica Comfortably Numb con un impeccabile Kilminster che si riproduce in un grande assolo di chitarra tra laser e coriandoli. Mentre finalmente nello schermo le due mani riescono finalmente ad unirsi…
Tre ore di musica per emozionarsi, riflettere, commuoversi: signore e signori, ecco Roger Waters!
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