Nella giornata di ieri un bombardamento ad al-Qahtania, nella provincia di Raqqa, nel nord della Siria vicino al confine turco, ha causato la morte di almeno 17 bambini. È stato reso noto da un video diffuso dagli attivisti, “Tanto per essere chiari in quella zona non ci sono jihadisti del fronte al-Nusra o altri gruppi di guerriglieri organizzati. Le vittime sono solo contadini”, ha detto Abdel Rahman dell’Osservatorio dei diritti umani.
Il bilancio della sola giornata di ieri è di 85 morti, e dall’inizio della rivolta contro il regime di Bashar al-Assad, nel marzo 2011, si contano 45mila morti accertati, la realtà potrebbe anche comprendere numeri molto più alti.
Secondo alcuni giornali arabi la Giordania sembra essere in allarme per la possibilità che Bashar al-Assad decida di ricorrere ad armi chimiche per sedare la rivolta. Il ricorso ad armi chimiche sembra non essere una novità, lo stesso capo della polizia militare, generale Abdulaziz al-Shalal, ha abbandonato l’esercito e si è unito ai ribelli accusando il presidente Bashar-al-Assad di avere usato armi chimiche in un attacco alla regione di Homs alla vigilia di Natale.
Il generale ha diffuso un video nel quale spiega le sue ragioni: “Dichiaro la mia defezione dall’esercito del regime perché ha abbandonato la sua missione fondamentale che è quella di proteggere il Paese e si è trasformato in una banda che semina morte, distrugge città e villaggi, e commette massacri ai danni del nostro popolo innocente che chiede liberta”. Prima di lui avevano disertato anche il generale di brigata Manaf Tlas, ufficiale della Guardia repubblicana, e l’ex premier Riad Hijab, lo scorso agosto.
La situazione per la popolazione stremata è durissima, Caterina Mecozzi, Project Manager di Un Ponte Per…che si trova ad Erbil, nord dell’Iraq, racconta sulle pagine di La Repubblica la lunghissima fila di controlli cui vengono sottoposti tutti coloro i quali decidono di fuggire: arrivati con una scorta fino al confine sborsano anche 25 dollari Usa per poter proseguire altri 5 chilometri a piedi fino ai primi controlli, “Da lì, con un taxi, che costa circa 15 dollari a persona, passano almeno tre check-point, e quindi altre lunghe attese, ancora controlli e violazioni degli effetti personali. Giunti a Domiz, il copione è lo stesso: prima ancora lunghe attese per la registrazione presso la security, poi finalmente una tenda (se disponibile) e di nuovo in coda presso gli uffici dell’UNHCR per ricevere la razione mensile di beni di prima necessità”.
di Redazione
foto: lettera43.it
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