Allo stato attuale Mosca ha assunto una posizione tale, sulla crisi in Ucraina, che potrebbe sfociare in un conflitto nucleare. Il ministro degli esteri ucraino Levghen Perebiinis, ha fatto sapere che i militari russi sarebbero pronti ad installare in Crimea dei sistemi di difesa aerea mentre Washington, dal canto suo non sembra dare segni di distensione e a nulla è valsa la seconda telefonata fra Obama e Putin.
Valentina Matvienko, presidente della camera alta del parlamento russo ha fatto sapere che sarà riconosciuto il referendum in Crimea del 16 marzo e che la Russia accetterà la Crimea se l’esito del referendum sarà per la secessione della penisola dall’Ucraina. La Matvienko ha puntualizzato che il voto è in linea con la prassi internazionale e i cittadini “Avranno gli stessi diritti di tutte le altre regioni russe”.
Anche il deputato Sergei Mironov del partito Russia Giusta si è espresso a riguardo, facendo sapere che la Duma russa adotterà la legge che faciliterà l’annessione di territori già il 21, se l’esito del 16 sarà favorevole. La scorsa settimana il deputato aveva definito il disegno di legge con cui si sancisce l’annessione di territori stranieri nella Federazione russa sulla base del risultato di un referendum o di una decisione votata dal Parlamento della regione interessata.
Utile ricordare che la delibera parlamentare russa ha dato al presidente Vladimir Putin il potere d’intervento militare a difesa dei connazionali maggioritari in Ucraina. Soprattutto bisogna precisare che in caso di conflitto, Mosca ha la possibilità di replicare con il taglio dei rifornimenti di energia all’Europa dell’Ovest e Putin ha ironizzato su ciò, sapendo che la mossa di Gazprom di chiedere indietro i soldi e cancellare lo sconto, pone l’Unione europea in condizioni ancora peggiori, rispetto all’impegno di salvare Kiev dalla deriva finanziaria.
Sul tema referendum, il vice segretario dell’Onu Jan Eliasson ha puntualizzato “ è uno sviluppo grave che complica la possibilità di arrivare a una soluzione politica della crisi”. Certo tale constatazione ha l’aria di una beffa dal momento che sono stati gli angloamericani infatti a finanziare e propagandar la sollevazione anti-governativa a Kiev.
Ecco tuttavia cosa succede nel Risiko internazionale in questo momento:
Il 7 marzo il cacciatorpediniere dell’Us Navy Truxtun, ha lasciato la Grecia, per salpare nei Dardanelli e partecipare così ad una manovra militare con le marine di Romania e Bulgaria. Inoltre anche due navi militari russe ed una ucraina hanno attraversato lo Stretto per rientrare nel Mar Nero, mentre la Turchia ha utilizzato sei jet F16 pronti ad intercettare un aereo di sorveglianza russo che si stava avvicinando troppo allo spazio aereo di Ankara.
Il vicepremier Rustam Temirgaliev ha ufficializzato la sentenza di “illegalità” dal parlamento della Repubblica di Crimea, a favore di un’adesione dello Stato russofono alla Federazione russa. In vista non si prospetta certo un orizzonte sereno, ma il contenzioso più temuto è quello che potrebbe coinvolgere la regione pro-russa di Donetsk, che rappresenta per l’Ucraina occidentale l’unico possibile residuale sbocco al Mar Nero (l’obiettivo militare strategico degli Usa, della Nato, dell’Occidente per attaccare meglio il fianco sud della Russia).
In tutto ciò Usa e i suoi alleati, ovvero Nato ed Europa, glissano su certe questioni e forniscono solo informazioni assai parziali. Perché Mosca sta sul piede di guerra? A seguire qualche risposta che potrebbe aiutarci a capire il “casus belli” con un’ottica diversa da quella che ci viene proposta quotidianamente. In primis non dimentichiamo che dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la Russia occidentale ha subito un pesante assedio politico, economico e finanziario, certamente non gradito.
Poi, come non ricordare le iniziative della Nato e dei partner occidentali che hanno prodotto come risultato: il collasso jugoslavo, la guerra alla Serbia e la partecipazione alle “guerre umanitarie” in Iraq, Libia, Siria. A ciò si sono aggiunte altre circostanze che hanno inasprito la Russia, vale a dire: il riconoscimento unilaterale del Kosovo Metohija (provincia serba), quale “stato indipendente” nei Balcani; l’insediamento Usa dello scudo missilistico al confine della Russia (Polonia, Romania, Turchia) e in ultima analisi, il pressing politico e finanziario dell’occidente nella politica interna dell’Ucraina.
di Simona Mazza
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