Lunedì 30 gennaio Romano Prodi, ex presidente della Commissione europea, è stato ospite dell’Istituto di cultura di Monaco di Baviera dove ha fatto il punto sullo stato di salute dell’Europa a 60 anni dalla firma dei trattati istitutivi della Comunità Europea. Prodi ha risposto alle domande della signora Carmen Romano, della Georg-von-Vollmar-Akademie, istituzione a carattere culturale e divulgativo attiva in Baviera.
Il professore ha parlato inizialmente della grande capacità di attrazione che l’Unione Europea ha avuto fino a 15 anni fa. L’idea fondamentale era che l’Europa portava contenuti nuovi nella scena politica mondiale. “Lo stato moderno, nato a Westfalia e fondato su esercito e moneta nazionali, veniva superato dalla moneta comune e si pensava anche a una unione militare”. Poi il grande salto indietro: la Costituzione così faticosamente preparata veniva bocciata da Francia e Olanda. Da allora sono stati fatti solo passi indietro. Il grande disegno dell’Unione è stato sempre più faticoso e l’aggravarsi della crisi economica ne ha messo in rilievo gli aspetti più problematici e pericolosi. “Negli ultimi anni abbiamo avuto una serie di tensioni mai viste prima, tensioni che sono il frutto della paura. La nuova Europa da dieci anni è l’Europa della paura”. Paura degli emigranti, paura della crisi economica, paura della rottura di regole e vincoli finanziari. “Brexit non è stato l’inizio di una rottura, ma il punto culminante di una serie di tensioni che si sono verificate in passato”. L’esempio più illustre, secondo Prodi, è stato il caso greco. Ma anche le tensioni tra Italia e Germania, o quelle tra sud e nord dell’Europa hanno drammaticamente contribuito arrivando a livelli che mai prima si erano avuti. “Da presidente della Commissione mi è stato rimproverato e ancora mi si rimprovera l’allargamento da 15 a 25 paesi, allargamento che io ho ritenuto indispensabile. Pensate cosa succederebbe oggi se la Polonia fosse nella stessa situazione dell’Ucraina. Per me la gestione della commissione a 15 paesi e a 25 paesi non faceva differenza, la vera differenza era sempre la Gran Bretagna perché aveva obiettivi diversi. Perché aveva una alternativa (quella di poter facilmente uscire dall’Unione privilegiando il legame con l’America, ndr) cosa che gli altri paesi non avevano”.
Un altro aspetto problematico, secondo il prof. Prodi, è che Brexit si è connessa all’arrivo, negli Stati Uniti, di Donald Trump. L’arrivo di Trump ha trasformato la diversità britannica in una rottura con l’Europa. “Ho trovato di enorme gravità l’attacco diretto che Trump ha fatto alla Germania. Non ha fatto un attacco all’Europa in genere, ha fatto un attacco all’Europa come schiava della Germania, in modo da dividere la struttura politica europea. Questo è l’aspetto interessante che dovremo seguire nelle prossime settimane perché non sappiamo a che punto potrà arrivare” Secondo Prodi gli Stati Uniti in passato hanno aiutato la crescita dell’Europa, poi col tempo questo rapporto si è raffreddato perché è emerso il timore che l’Europa diventasse troppo concorrente. Il desiderio degli ultimi presidenti americani è stato quello di avere dall’altra parte dell’Atlantico “un’Europa che nuotasse bene, ma che ogni tanto bevesse un po’ d’acqua”. Lo stesso Obama si è interessato dell’Europa solo negli ultimi sei mesi quando ha capito che le divisioni interne potevano diventare un problema per gli Stati Uniti. Con Trump lo slogan “America First” rende il timore una certezza. Con Trump, secondo Prodi, non ci sono più rapporti privilegiati, ma solo rapporti strumentali e questo caratterizzerà particolarmente i rapporti con Russia e Cina. Quanto all’Europa Trump farà in modo che il gap tra euro tedesco e euro degli altri paesi possa aumentare fino alla rottura. “Trump ha intuito, da uomo d’affari, qual è il punto debole della nostra situazione. La mossa di dividere l’Europa soprattutto dividendo la Germania dagli altri paesi è una mossa strumentalmente forte dal punto di vista politico. Scusate se sono esplicito, ma oggi sono venuto a parlare di politica e non di rose e fiori”.
Si è poi parlato dei confini dell’Europa. “La mia idea dei confini d’Europa comprendeva inizialmente i Balcani e anche la Turchia. Oggi la Turchia è diventata una potenza regionale la cui politica ambivalente è incompatibile con quella dell’Unione. Il disegno di 20 anni fa è oggi impensabile e tuttavia in linea teorica rimane importante per il raggiungimento della pace in un’area cruciale per l’Europa”. Romano Prodi ha rivelato a questo punto che l’amico Helmut Kohl un giorno gli disse: <<i tedeschi non vogliono l’Euro perché sono legati al marco, io l’Euro lo voglio perché mio fratello è morto in guerra>>. In ciò “Helmuth Kohl ha voluto sottolineare il senso politico dell’Euro prima di quello economico.” Ma tutte le decisioni economiche possono essere prese solo se c’è un profondo senso di solidarietà politica. “Questo significato di solidarietà politica oggi purtroppo non c’è più. La conseguenza è stata il passaggio di potere totale dalla Commissione, organo supernazionale, agli stati nazionali. Lo abbiamo visto in particolare durante la crisi greca. La trattativa è stata fatta non tra Bruxelles e Atene, ma tra Berlino e Atene”.
Infine il professore ha parlato delle radici culturali del vecchio continente. “Sono più profonde di quanto non pensiamo. Ho insegnato parecchi anni all’università di Bologna. Chi visita la vecchia sede dell’università trova gli stemmi degli studenti che da tutta l’Europa sono giunti in quella città fin dal ’400. Il vincolo culturale in Europa esiste e anche nel secolo scorso, segnato da grandi tragedie, c’è stato un elemento comune tra i paesi europei, quello di voler estendere la sicurezza sociale. Va detto che l’Unione Europea ha lavorato per promuovere lo sviluppo sociale e culturale. Esempio ne sono i tre o quattro milioni di studenti del programma Erasmus. Certo si potrà dire che l’Erasmus ha avuto come frutto più bambini che premi Nobel… ma tutto sommato il programma Erasmus ha contribuito a creare in una intera generazione la consapevolezza che i valori comuni sono più forti delle differenze. Nessun paese europeo potrà affrontare da solo le sfide della globalizzazione. Se non ci mettiamo insieme firmiamo la nostra fine e rischiamo una decadenza secolare”.
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