Ruoli di bambola

Ruoli bambola

In La figlia oscura, Elena Ferrante mette in scena la vicenda di una professoressa universitaria che narra se stessa attraverso l’esperienza di una vacanza al mare. Tutti gli eventi, le persone e gli oggetti sono filtrati dal suo sguardo. Lo sguardo ferito di quarantasettenne con una carriera non decollata del tutto, un matrimonio finito alle spalle e due figlie che le sono lontane nello spazio e nello spirito. Questa donna rivive la propria maternità come un coacervo di inettitudini e sensi di colpa, e lo fa attraverso un gioco di specchi e di simboli che finisce per far scivolare la sua vita in quella degli altri.

Il simbolo più significativo del romanzo è certamente la bambola Nani. Appartiene alla piccola Elena, figlia dell’affascinante Nina. Madre e figlia catturano l’attenzione della protagonista perché rispetto alla rozzezza violenta della loro compagnia — il marito, i cognati, alcuni amici — sembrano un mondo a parte. Viste da lontano queste figure rappresentano il massimo compimento dei ruoli della maternità. 

La doppia funzione di Nani

Il modo in cui Elena e Nina giocano con la bambola enfatizza l’armonia del loro rapporto: «la vestivano, la svestivano, fingevano di ungerla con crema solare, le facevano il bagno dentro un secchiello verde, l’asciugavano strofinandola per non farle prendere freddo, se la stringevano al seno come per allattarla o la rimpinzavano con pappe di sabbia, la tenevano al sole accanto a loro, sdraiata sul loro stesso telo.»

Inizialmente Nani sembra svolgere il ruolo di figlia, ma poi finisce per rappresentare anche e soprattutto quello di madre. La doppia funzione della bambola è già insita nel nome: Nani è l’anagramma di Nina e Nina è il diminutivo di Elena. Emblematico di questo doppio ruolo è il momento in cui sia Nina che Elena danno voce a Nani, unendo due personaggi in uno. «Una volta le davano le parole a turno, una volta insieme, accavallando il tono fintobambino dell’adulta a quello fintoadulto della bambina. Si immaginavano che fosse la stessa unica voce che parlava dalla stessa gola di cosa in realtà muta». 

Somiglianze

L’instabilità del ruolo della bambola turba la protagonista, addirittura le è insopportabile. Questo disagio pare rispondere al suo rifiuto nei confronti di quei tratti che la assimilano a sua madre (dal cui modello ha fatto di tutto per allontanarsi) e soprattutto alle sue figlie (che sente come delle estranee). Si pensi al passaggio del romanzo in cui la professoressa afferma: «amavo moltissimo delle mie figlie ciò che mi pareva estraneo […] tanto più mi sentivo vicino a loro quanto più mi pareva di non portare la responsabilità dei loro corpi». 

Tra la protagonista e le figlie infatti le somiglianze sono state per lo più origine di conflitti. Nani invece sembra simboleggiare la riuscita della continuità generazionale all’insegna dell’amore; di conseguenza, anche il fallimento di chi non ha saputo raggiungere quello stato d’armonia. «[La bambola] custodiva l’amore di Nina e di Elena, il loro vincolo, la loro reciproca passione. Era testimone lucente di una maternità serena». È per questo che a un certo punto la protagonista sente la necessità di rubarla.

Acqua, sabbia e veleno

Inaspettatamente, alla sparizione di Nani cala il sipario sull’idillio tra Nina e Elena. Senza la bambola la bambina non fa che piangere, diventa ingestibile e la madre diventa sempre più nervosa, sfibrata. «Tra poco si metterà a urlare, pensai, tra poco la schiaffeggerà, cercherà di spezzare il vincolo così. Invece il vincolo diventerà più ritorto, si irrobustirà nel rimorso, nell’umiliazione per essersi svelata in pubblico madre non affettuosa, non da chiesa né da rotocalco». 

La sottrazione dell’oggetto garante di serenità porta alla disarmonia, alla discordia, alla distanza. Rivela tutta la fragilità del rapporto tra madre e figlia, e l’illusorietà della perfezione di Nina, che vista da vicino è meno bella e meno felice di come sembrava. Spacca la superficie patinata di un legame splendido e porta alla luce il veleno che insidia ogni rapporto d’amore. Veleno che è perfettamente rappresentato dalla poltiglia di acqua e sabbia che esce a fiotti dalla bocca della bambola, e dal verme della battigia che la piccola Elena «ha inserito nella sua pancia per giocare a renderla pregna». 
Foto di karin smulders da Pixabay

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