Lo scandalo dell’inchiesta mafia capitale, o “terra di mezzo” ha coinvolto tra gli altri Salvatore Buzzi il fondatore della “29 giugno” la famosa cooperativa che si occupa di emarginati ed ex carcerati.
Nei suoi confronti e’ iniziato quel processo mediatico, che gli inglesi definiscono “caracter assassination”, che inizia quando la stampa ti massacra a tal punto che anche se poi risulterai innocente la tua vita politica, e in molti casi anche familiare è finita. Non sarai mai risarcito, e nulla varrà a tentare di ricostruirti una immagine, tentare di spiegare che non era vero quello che è stato scritto o raccontato.
Come si sa i processi durano anni e quindi nessuno alla fine si ricorderà più nulla. In questi casi chiunque sia venuto a contatto con il soggetto preso di mira, inizia a fare i distinguo, a dire di non conoscerlo, di averlo frequentato solo in poche occasioni. Intorno si crea il vuoto spariscono tutti, sei solo. Tu ed il tuo avvocato. E’ questo è il caso di Salvatore Buzzi, viene descritto dalla stampa come un “mefistofele” della corruzione, un sodale con la criminalità organizzata, un “tangentaro” della peggiore specie.
Ma è proprio cosi? Buzzi opera in quell’area definita il “terzo settore” ovvero quel sistema di organizzazioni, ONLUS, associazioni cooperative che operano tra lo Stato (primo settore) ed il sistema economico (secondo settore), con compiti quindi di intervenire in quell’area sociale, non solo con la semplice assistenza, ma cercando di produrre in qualche modo reddito. Proprio per il tipo di intervento, è estremamente difficile renderle autonome economicamente quindi la stragrande maggioranza di queste associazioni vive di finanziamenti pubblici, che come si sa sono sempre a rischio.
Il mantenerle in piedi, riuscire a farle andare avanti secondo gli obiettivi stabiliti non è una cosa facile. Occorre avere mentalità manageriali, capacità di saper gestire i finanziamenti, trovare il personale adatto, pagare le spese sopportare i costi, insomma un lavoro complesso considerando che in molti casi si interviene su persone con problemi, sia fisici che mentali, con disagi sociali. Basti pensare al problema delle comunità per tossicodipendenti, quelle per persone abbandonate, ex detenuti, soggetti con malattie mentali, ed in questi ultimi anni con la grave crisi economica le ampie fasce della popolazione che ormai ricorre spesso per il semplice sostentamento all’aiuto di queste associazioni.
Come insegna l’esperienza anglosassone, il terzo settore è diventato una componente fondamentale dell’aiuto sociale, trasformandosi dalla semplice “carità” ad un sistema organizzato che copre quello che lo stato non può fare.
Il lavoro di Salvatore Buzzi rientra in questo. Fondatore di una cooperativa di ex detenuti, allargandosi poi verso altre realtà del disagio, cercando di dare non il “semplice piatto di minestra” ma puntando a dare una dignità, e perché no, anche la possibilità di rientrare nella società, a chi per varie ragioni ne è stato escluso.
Certo per fare questo bisogna sporcarsi le mani, andare a bussare alle porte del potere, in questo caso del Comune di Roma, fare accordi per ottenere dei lavori, cercare il funzionario competente che sblocchi, il finanziamento, o ancora peggio firmi la delibera di pagamento che ti spetta, ma che per strani motivi non viene liquidata.
Occorre mettersi in moto, fare quello che dicono gli anglosassoni il “lobbying”, ovvero creare e partecipare a quei sistemi che possano influenzare la politica, puntare su candidati che poi saranno riconoscenti, organizzare cene, lavorare perché a quel posto importante si sieda qualcuno che poi ti garantirà di poter continuare la tua opera sociale.
E’ inutile nascondersi dietro il famoso dito. Funziona cosi in tutte le parti del mondo, in tutti i settori della vita pubblica e privata. Quali sono le colpe di Buzzi? Cercare di ottenete un appalto per il diserbo di giardini, o fare le pulizie, o raccogliere il multi materiale nella raccolta differenziata, in modo tale da far lavorare qualcuno che poi abbia un misero stipendio? Il tutto pagando mazzette di poche decine di migliaia di euro al funzionario corrotto? E’ tutta qui l’attività della cupola mafiosa romana di cui Buzzi sembra essere il capo indiscusso, una specie di Totò Rina del sociale?
Come mai i solerti magistrati della Procura di Roma non hanno ancora trovato il bandolo della matassa della famosa doppia fatturazione ATAC, che ha portato l’azienda a perdere milioni di euro? E i costi della Metro C che lievitano continuamente, con cifre a sei zeri?
Vogliamo parlare della Nuvola di Fuskas o dell’Acquario all’Eur o delle centinaia di locali che aprono senza licenza, di cui è nota la presenza della n’drangheta o della camorra?
Forse che dietro questi fatti ci sono poteri, quelli veri, che non bisogna toccare?
Ci viene in mente una frase che Manzoni nei Promessi Sposi fa dire da un monatto a Renzo “Va’, va’, povero untorello, non sarai tu quello che spianti Milano”. Ecco se la cupola mafiosa a Roma è rappresentata da Salvatore Buzzi e le sue cooperative che operano nel sociale, mbè non ci siamo proprio.
di Gianfranco Marullo
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