Salvatore Riina ha perso

totoriinaSalvatore Riina ha perso la sua personalissima battaglia contro se stesso. Una delle principali notizie di cronaca di questi ultimi giorni è il fatto che Salvatore Riina parla. Il mio primo istinto dopo avere appreso questa notizia è stato quello di aprire il mio vocabolario di italiano e di sfogliarlo, fino a ricercare il verbo “parlare”; questa è la definizione corrispondete: “Articolare suoni, manifestare con la voce la facoltà del linguaggio”.

Ora, se decidessi di aprire un ipotetico vocabolario mafioso dell’organizzazione criminale mafiosa Cosa nostra, sono sicuro che al suo interno non troverei, registrato in esso, il verbo “parlare. Tale mancanza non sarebbe da imputare ad una dimenticanza di questo ipotetico compilatore, quanto proprio al fatto che all’interno di questa organizzazione mafiosa, uno dei dogmi principali è il fatto concreto che non si “parla”, o meglio non si parla secondo la definizione che è stata sopra riportata. In Cosa nostra si parla con i mitra, si parla con le bombe, si parla con i soldi, si parla con le intimidazioni, ma non si parla con le parole. I “chiacchieroni”  non sono piaciuti mai a questa organizzazione, non solo chi ne faceva direttamente parte, chi era o meglio è affiliato, ma anche  chi ne sta fuori, ma “parla” di Cosa nostra, “parla” di mafia, si interessa di cose non sue.

Salvatore Riina ha trascorso gli ultimi quarant’anni della propria vita a costruirsi un’immagine: il boss dei boss. Dopo un lungo faticare, dopo aver ucciso di mano propria, fatto uccidere, fatto piazzare bombe, usato “Palermo”, usato “la Sicilia”, rovinato la vita di qualche migliaio di persone  era riuscito a diventare il più grande boss mafioso di tutti i tempi. Lo poteva eguagliare nell’immaginario comune Marlon Brando nel suo inimitabile Padrino. Dopo il 1993, dopo essere stato arrestato e sottoposto al carcere duro, al 41 bis, Salvatore Riina non ha perso questa aurea di cattiveria, mantenendo all’interno dell’organizzazione mafiosa il ruolo di Presidente onorario; ovviamente non più quello effettivo in quanto, a causa del carcere duro, non poteva più imporre il proprio volere, ruolo che è stato ed è ricoperto tutt’ora da Matteo Messina Denaro.

Ricordo un’intervista di Gianni Minà all’ex Sostituto Procuratore capo di Palermo Antonino Caponnetto il quale affermò che mai un boss del calibro di Salvatore Riina avrebbe parlato, si sarebbe pentito e avrebbe confessato. Tutto vero. Eppure Riina parla. Dopo trent’anni di anonimato il “curtu” come veniva gentilmente soprannominato dagli amici, parla e parla tanto. Riina racconta fatti, eventi situazioni, soprattutto si vanta di tutte le gesta eroiche da lui compiute. Perché? Il motivo sembra essere molto banale, alla portata di un bambino.

In questo ultimo periodo l’immagine di più cattivo di tutti i cattivi sembra essere molto cambiata, a questa si sta sostituendo la figura di una persona cattiva che è stata “usata” da persone – forse più cattive di lui, ma meno sanguinarie – e quando non serviva più venduto dai suoi stessi amici allo Stato. Questo il “curtu” lo sa benissimo e una persona come lui che ha sempre fatto “il bello e il brutto tempo”, che ha sempre ordinato e mai consigliato tutto questo rode. Ci sono due modi per Riina di rivalutarsi: che qualcuno fuori esegua gli ordini che lui lancia dall’interno, in questo modo tornerebbe il capo effettivo di Cosa nostra, oppure ricordare tutte le sue gloriose gesta di cattivo. Dato che la prima ipotesi non è stata messo in atta, e speriamo che continui ad essere così, Riini si è buttato a capofitto sulla seconda e allora come non ricordare la strage di Capaci, come fregò Borsellino piazzando la bomba nel citofono, come uccise Chinnici, come fece uccidere Cassarà e Montana.

Il prezzo che Riina deve pagare a se stesso per questi racconti è altissimo, vuol dire andare contro se stesso, non solo contro il proprio stile di vita, ma contro il suo stesso modo di pensare di vivere. Per un uomo che ha fatto delle stragi e del sistema di terrore e di omertà un motivo di vanto trovarsi ora a parlare vuol dire perdere. Capire che i tempi sono cambiati, che la società non è più omertosa, che cittadini onesti scendono in piazza a difendere chi lotta in prima linea vuol dire perdere. Sapere che la fuori i suoi ordini non vengono eseguiti vuol dire perdere. Sapere che il suo racconto verrà utilizzato dai magistrati vuol dire perdere. Sapere di vivere di ricordi che non sono più propri, ma vengono esternati vuol dire perdere.

Sapere di non essere più il più forte è la sconfitta più grande. Come non ricordare una vecchia affermazione di Giulio Andreotti “il potere logora chi non ce l’ha.”

di  Roberto Rossetti

foto: palermo.ogginotizie.it

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