Il governo di unità nazionale libico, sorto a Tunisi sotto l’egida delle Nazioni Unite, è giunto il 29 marzo, a Tripoli per assumere “di fatto” i propri poteri. Lo sbarco è avvenuto via mare da una nave militare battente bandiera libica, dopo che i precedenti tentativi di effettuare l’operazione per via aerea si sono rivelati di difficile attuazione.
La composizione del governo, con a capo Fayez Serraj, ha avuto una lunga gestazione. Alla fine, il 15 febbraio scorso, le due parti negoziali riconosciute dalle Nazioni Unite e cioè il governo titolare del seggio libico all’ONU, con sede a Tobruk, e il governo parallelo di Tripoli guidato da Khalifa al-Gwell (fratelli musulmani) erano riusciti a raggiungere un compromesso accettato anche dalle tribù islamiche del sud, dai soggetti che controllano autonomamente la città di Misurata e dintorni e, per interposta persona, anche dal comandante dell’esercito di Tobruk, Khalifa Haftar, che è riuscito a imporre due ministri in rappresentanza, nominalmente, del territorio della città di Brega.
Completamente estranea alle trattative è rimasta l’ISIS, le cui milizie controllano ancora vasta area intorno alla città di Sirte, bloccando il passaggio sulla strada costiera per circa 200 chilometri.
Gli ostacoli logistici frapposti per la presa di possesso della Capitale, tuttavia, certificano le difficoltà del nuovo governo a far rispettare gli accordi firmati e a svolgere pienamente la propria azione. I due ministri nominati in rappresentanza di Brega, infatti, non sono giunti a Tripoli, essendosi subito autosospesi per protestare contro il mancato accoglimento di un terzo nominativo filo Haftar nell’esecutivo.
Contemporaneamente, Tobruk ha fatto sapere di ritenere imprescindibile il voto favorevole del proprio Parlamento perché il nuovo governo possa assumere giuridicamente i pieni poteri e, oltre a ciò, lo sbarco dell’esecutivo, nella capitale, è stato accolto dalla ripresa di focolai di combattimenti per le strade.
Fayez Serraj, tuttavia, ha anche riscosso alcuni punti a suo favore. In primis, l’appoggio delle milizie di Misurata, che rappresentano uno degli eserciti più organizzati sul difficile palcoscenico della nostra ex-colonia. Sembra che siano stati costoro a prendere il controllo con le armi della tv al-Nabaa, vicina a Khalifa al-Gwell, che si era espressa contro il nuovo esecutivo, al momento del suo sbarco sul suolo libico. Poi, la dichiarazione favorevole del governo egiziano, sponsor del generale Khalifa Haftar ma ostile ai “fratelli musulmani” di Tripoli. E, ciò, non potrà che rendere molto più trattabile il comandante dell’esercito di Tobruk.
Infine, il via libera degli Stati Uniti allo stanziamento di 330 milioni di dollari, per aiuti umanitari e di un analogo sostegno economico da parte dell’Unione Europea. L’EU, inoltre, ha decretato il congelamento dei beni e il divieto di viaggio, nei confronti dei tre esponenti libici che ancora ostacolano il governo di unità e cioè per Khalifa al-Gwell, premier uscente di Tripoli, per Nouri Abu Sahmain presidente del Parlamento tripolino dominato dai “fratelli musulmani” e di Aguila Saleh, presidente del Parlamento di Tobruk,.
La situazione, comunque, resta tesa. Un intervento comune per sconfiggere l’ISIS sembra, allo stato, di là da venire, tenuto anche conto che gli Stati Uniti hanno diplomaticamente fatto intendere che il problema deve essere risolto dalle nazioni europee; in particolare: Italia, Francia e Regno Unito. Queste ultime hanno, allora, blandito l’Italia, richiedendole di guidare un intervento militare sul posto ma il Presidente del Consiglio Renzi, come è noto, ha risposto picche.
Di fronte a ciò, le compagnie petrolifere (l’italiana Eni, la francese Total, la spagnola Repsol, la tedesca Wintershall e l’americana Occidental) continuano indisturbate a estrarre dai pozzi del deserto libico. Sembra che il 70% della produzione libica attuale sia ancora appannaggio dell’ENI, nonostante la Guerra civile che ha messo a ferro e fuoco il paese, dal 2011 in poi. Il dato in questione, giustifica ampiamente le cautele del nostro premier.
di Federico Bardanzellu
Fonte foto: geopolitica.info
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