Scuola Romana, quel cenacolo di artisti che riportò la Capitale sui libri di storia dell’arte

scuola romana di pittura

Scuola Romana di pittura. Il suo atto di nascita fu una mostra tenuta nel 1933 dai pittori Corrado CagliGiuseppe Capogrossi, Emanuele Cavalli ed Ezio Sclavi alla Galerie Bonjean di Parigi. Capogrossi e Cavalli, insieme a Fausto Pirandello si erano formati nella scuola d’arte aperta nel 1922 in Piazza Sallustio da Felice Carena. La definizione, felicemente coniata dal critico francese Georges Waldemar, sarà allargata ad altri artisti attivi nella Capitale nello stesso periodo. Ciò farà comprendere nella dizione “scuola romana”, anche pittori afferenti a stili e obiettivi assai diversi tra loro.

Tra i primi ad essere assorbiti, furono quelli della cosiddetta “Scuola di via Cavour“. A partire da Mario Mafai e sua moglie Antonietta Raphaël, Scipione e Marino Mazzacurati. Parimenti, la “scuola romana” finì per essere un riferimento anche per gli artisti che avevano il loro studio/abitazione in Villa Strohl Fern. Tra essi, Francesco Trombadori. Non è mai esistita, quindi, una “scuola romana” nel senso didattico del termine. Vi è stato invece un gruppo eterogeneo di pittori attivi a Roma nel novecento e in rapporto tra loro.

Il precursore della Scuola Romana, Francesco Trombadori

Tra i pittori di Villa Strohl Fern è centrale la figura di Francesco Trombadori. Nato a Siracusa nel 1886 si trasferisce a Roma nel 1907. Esprime una pittura sulla scia del divisionismo. Cioè caratterizzata dalla separazione dei colori in singoli punti o linee che interagiscono fra di loro in senso ottico. Nel 1914 espone alla II Mostra Internazionale della “Secessione Romana”. Anche con tale dizione non ci si riferisce ad una scuola o all’imposizione di uno stile unico. Ma a una raccolta di artisti provenienti da un percorso personale.

La “Secessione” rappresenta però un’avanguardia moderata, contrapposta a quella radicale del futurismo. La pittura di Trombadori è quindi ancora distaccata dalle conclusioni dei maggiori esponenti della Scuola Romana. Pur essendone uno dei precorritori. Negli anni trenta la sua arte esprime la ricerca di una purezza formale proponendo ritratti, nudi e nature morte. Suo figlio Antonello Trombadori, poeta e critico d’arte, fu comandante partigiano e futuro parlamentare. Francesco fu anche torturato dai nazisti per ottenerne informazioni. È scomparso nel 1961.

Scuola Romana propriamente detta, Capogrossi e Pirandello

Giuseppe Capogrossi (1900-1972) è il caposcuola del Primordialismo plastico“, i cui contenuti sono espressi in un “Manifesto” del 1933. Tali artisti definiscono la pittura come creazione di spazi, luce, volume e colore. La forma e il colore di ciò che rappresentano è concepito come un tutt’uno. In base a un ordine derivante dall’introspezione dell’autore e non dalla realtà oggettiva delle cose. È evidente che, con queste premesse, Capogrossi rinuncia ben presto al figurativo, per poi scivolare progressivamente e completamente nell’astrattismo.

A tali conclusioni giunge anche Corrado Cagli, pur partendo da diversi presupposti. Più complesso è invece il percorso di Fausto Pirandello, figlio del famoso scrittore, Pirandello si trasferisce ad Anticoli Corrado, dove hanno lo studio il suo maestro Carena e il pittore austriaco Kokoshka. Ha infatti soltanto una breve fase astratta verso la metà degli anni cinquanta. Per poi tornare nuovamente al figurativo. In sostanza, rimane fedele per tutta la vita ai canoni del simbolismo figurativo appreso alla scuola di Piazza Sallustio.

I primordiali ‘murales’ di Corrado Cagli

Il marchigiano Corrado Cagli (1910-1976) è a Roma dall’età di cinque anni. Può essere considerato un precursore dei “muralisti” contemporanei. Sin da subito, infatti, Cagli vuole superare il formalismo classicheggiante contrapponendogli l’arte primordiale. Pur continuando a dipingere molti temi della mitologia classica e del romanticismo risorgimentale. Nel 1937 è presente a Parigi all’“Exposition Internationale des Arts et des Techniques”. Espone una serie di grandi dipinti raffiguranti immagini monumentali di Roma e ritratti dei grandi italiani. Nel giugno del 1938 partecipa alla Biennale di Venezia con l’affresco su intonaco Orfeo che incanta le belve. Essendo ebreo, Cagli è costretto all’esilio negli Stati Uniti per la prima parte degli anni quaranta.

Le sue preferenze vanno quindi ai supporti non tradizionali. Nel dopoguerra decora le pareti del transatlantico Leonardo da Vinci con sei arazzi. All’inizio degli anni ’70 crea il graffito per il Museo al Deportato Politico e Razziale di Carpi. Raffigura il corpo senza vita di un deportato nudo accanto alla recinzione di un lager. Sotto al graffito pone il filo spinato originale del campo di sterminio. Nel 1976 crea forse il suo capolavoro reinterpretando il Narciso di Caravaggio.

Pittori di Via Cavour, Scipione e Mafai

Rappresentante della “Scuola di via Cavour” è Scipione, pseudonimo di Gino Bonichi. Nato a Macerata nel 1904, si trasferisce a Roma nel 1909. Malato già negli anni della giovinezza, trova l’ispirazione necessaria soggiornando tra le alture di Collepardo. Qui dipinge capolavori assoluti che sembrano precorrere le atmosfere dei film di Fellini. Il suo stile è un figurativo potente con elementi di simbolismo e di influenze metafisiche. Si ricorda il Ritratto del cardinale decano, il Ponte degli angeli (1930) e un Ritratto di Ungaretti, esposto alla Biennale di Venezia del 1931. Muore a soli 29 anni di tubercolosi.

Mario Mafai (1902-1965) è il compagno della scultrice Antonietta Raphaël nonché padre della futura parlamentare Miriam Mafai. Ebreo e perseguitato dal regime è testimone delle problematiche del suo tempo. Celebre il gruppo delle “Demolizioni”, che trae spunto dagli sventramenti del centro storico operati dal regime. Nel 1939 espone le prime “Fantasie”, dove si affollano grovigli di nudi in conflitto o grottesche mascherate. La loro concitata atmosfera di terrore sembra preannunciare la guerra. A partire dagli anni cinquanta evolve verso l’informale e le tessiture cromatiche. Come nelle quindici tele sul tema del “Mercato” esposte alla Biennale del 1958. Prosegue poi con l’astrattismo con le spoglie e drammatiche “Corde” del 1960-63.

Per almeno 35 anni (1930-1965), quindi, la Scuola Romana di pittura ha rivestito un ruolo centrale. Sia nel panorama artistico nazionale che estero. La qualità dei suoi pittori ne attesta l’importanza nella storia dell’arte italiana del ventesimo secolo. Grazie ad essi, Roma ha ritrovato quel fermento artistico che non vedeva da secoli, forse dall’età d’oro del suo Rinascimento.

Foto di djedj da Pixabay

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