Certamente non fu facile per i Dodici comprendere ed accogliere l’annuncio della Passione di Cristo. Motivazione più che valida questa, per cui Gesù, nel corso del suo viaggio verso Gerusalemme, rivela loro questo mistero per ben tre volte (cf. Mc 8,31-32; 9,30-32; 10,32-34). Oggi il Vangelo ci propone il secondo annuncio della Passione: “Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà”. E Gesù, quindi, che ha affidato completamente la sua vita a Dio, ora si consegna liberamente nelle mani degli uomini, per essere l’immagine di quel giusto sofferente “messo alla prova dai peccatori con insulti e tormenti” (cf. Sap 2,19) e il “Servo del Signore consegnato in riscatto dei nostri peccati” (cf. Is 53,10-11). L’essere “consegnato” fa sì che Gesù sia equiparato a tutti i profeti dell’A.T. e a Giovanni Battista che fu consegnato ad Erode (cf. Mc 1,14).
Similmente, nel Vangelo di Marco, Gesù prima è consegnato da Giuda ai sommi sacerdoti (cf. Mc 14,10); costoro, successivamente lo consegneranno a Ponzio Pilato (cf. 15,1.10) che, infine, lo darà in mano ai soldati (cf. Mc 15,15). Una sorte infelice quella di Gesù, simile a quella dello schiavo, trattato come un qualunque oggetto utile soltanto per soddisfare i desideri del padrone. Di fronte ad un annuncio di morte così esplicito, annota l’evangelista, “I discepoli non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni”. È il silenzio dei discepoli, fatto di paure e di timori, ad accogliere questa triste rivelazione del Maestro. Per Gesù, una prova molto dura questa, che ci indica come dinanzi al mistero della sua tragica morte Egli sia rimasto da solo, incompreso anche dai suoi amici più cari che, purtroppo, in questo momento, sono inermi e incapaci di abbandonarsi totalmente ai misteriosi disegni che Dio spesso riserva per i suoi figli.
Quante volte anche noi non accettiamo che “Dio scriva dritto sulle righe storte della nostra vita”? Nonostante tutto, il Maestro non si chiude affatto al dialogo con i suoi amici, anzi fa di tutto perché pian piano possa orientare sempre più il loro pensiero e il loro agire sulla strada di Dio. Giunto in casa a Cafarnao, chiede ai Dodici: “Di che cosa stavate discutendo lungo la via?”. Ancora una volta, il silenzio timoroso ed inquieto impietrisce i discepoli. “Per la via, infatti, – annota l’evangelista Marco – avevano discusso tra loro chi fosse il più grande”. Rimasti in pochi alla sequela del Maestro, i discepoli non sanno fare altro che discutere su chi sia il più grande. Questa immagine dell’umanità debole dei discepoli rischia di comparire anche nelle realtà delle nostre comunità cristiane, soprattutto quando non comprendendo la logica pasquale di Gesù, fatta di croce, di sacrificio, di sottomissione, di penitenza e alimentiamo sempre più le ottuse mentalità della competizione e delle sciocche rivalità.
Sì, la storia si ripete! Anche in questo tempo, tra i discepoli del Signore regna l’ignoranza e ancor più l’infedeltà. Gesù, quindi, oggi come allora, con infinita pazienza, torna nuovamente ad istruire i Dodici; li raduna attorno a sé, e rivolgendo loro parole di lapidaria chiarezza, afferma: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”. Parole queste, che sconvolgono ancora una volta il loro modo di pensare ed agire, ancora troppo invischiato di umanità e di egoismo.
Carissimi, se desideriamo un cristianesimo rinnovato, sgombro da tutto ciò che penalizza la nostra autentica testimonianza cristiana, i primi posti nelle chiese spettano solo a chi si fa servo dei fratelli! È Gesù stesso a ribadirlo un po’ più avanti: “Chi vuole essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo, infatti, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per tutti” (Mc 10,44-45). L’esempio di Cristo se da un lato è umanamente incomprensibile e misterioso, dall’altro rimane la motivazione decisiva, anzi, la sola realmente essenziale per ogni battezzato. A questo punto, Gesù “preso un bambino, lo pose in mezzo, abbracciandolo”. Beato quel bambino che ha potuto sperimentare la bontà e la dolcezza dell’amore del cuore di Gesù!
Il bambino rappresenta ogni povero della terra, gli indifesi, gli abbandonati. È questo, dunque, il segno di chi veramente serve la comunità ecclesiale: è servo di tutti colui che accoglie chi non conta nulla, colui che abbraccia chi sa prendere anche il posto degli ultimi. Gesù, infatti, si è identificato proprio con questi piccoli del regno, e lo dimostrano le parole con le quali lui stesso commenta quel suo tenerissimo gesto: “Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”.
E in un altro passo del Vangelo aggiunge: “Ogni volta che avete servito uno solo di questi miei fratelli più piccoli, avete servito me” (cf. Mt 25,40). Carissimi, all’interno delle nostre realtà ecclesiali il primo posto spetta solo a chi decide di seguire fedelmente il Signore Gesù; Egli, infatti, discendendo dal cielo in terra, ha sempre cercato l’ultimo posto, quello che mai nessuno avrebbe potuto sottrargli (cf Fil 2,5-11). La Vergine Maria ci venga in aiuto e ci indichi la strada dell’umiltà. Prendendoci per mano ci conduca sui sentieri della santità che Lei ha saputo percorrere prima di noi ascoltando e mettendo in pratica la Parola del suo Figlio e Signore Gesù Cristo.
Fra’ Frisina
Nella foto interno chiesa Sant’Antonio, Atessa (Ch): it.wikipedia.org
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