Sentenze “robotiche” per velocizzare la giustizia civile

Notoriamente e ormai da decenni, il problema dei processi-lumaca affligge il sistema giudiziario italiano, soprattutto nel settore della definizione dei diritti tra privati.

La compressione dei diritti civili non tutelati in concreto ne determina la progressiva rinuncia, con innegabile sconforto del cittadino nel veder perduta ogni possibilità di recupero economico e nonostante le ragioni a sostegno di pretese più che legittime e fondate.

Questa disfunzione cronica, da sempre elusa dalla politica, rende del tutto inaffidabile il sistema della tutela dei crediti, così determinando – come se i danni all’economia nazionale non bastassero – fughe progressive dal nostro paese anche da parte degli investitori esteri che, tra burocrazia farraginosa e lentezze generalizzate, non possono trovare motivazioni incoraggianti per lanciare qui in Italia le loro attività imprenditoriali.

Le cause?

Molteplici: carenza cronica del personale di cancelleria negli uffici giudiziari, sovraccarico di fascicoli per ogni singolo magistrato, domanda massiccia di giustizia da parte dei cittadini lesi vittime di inadempimenti, truffe contrattuali, liti condominiali, incidenti stradali, ricorsi continui in materia tributaria e di lavoro in un’orda disorganizzativa semplicemente spaventosa.

Né il processo telematico, in vigore dal 2014, ha contribuito a snellire le procedure, favorendo invece la perdita di controllo della situazione perché consente di depositare atti e documenti in stile “random” che sfuggono al controllo processuale e che sovraccaricano ulteriormente il fascicolo telematico, trasformandosi in zavorre aggiuntive in danno a litiganti e a maggior carico per i giudici, tenuti a provvedere ogni volta.

A completare il disastro, con le disposizioni post Covid, il sistema della “cartolarizzazione dei processi” (ovvero della progressiva eliminazione della presenza fisica degli avvocati e delle parti in udienza) è allo studio del Ministero della Giustizia e diverrà, con molta probabilità, la formula regolare.

Difatti, con la riduzione estrema delle udienze “dal vivo”, si ridurrà ulteriormente il sano contraddittorio che è l’anima del processo che si basa sul confronto verbale tra difensori per l’ottenimento delle ragioni a tutela dei propri clienti.

Tanto varrebbe, a questo punto, affidare tutto il processo civile alle intelligenze artificiali e far decidere la causa ad un robot.

Fatto è che in Estonia già funziona così: nel minuscolo stato baltico che conta un milione e trecentomila abitanti e ribattezzato “The Digital Republic”, da circa un anno e mezzo anche la giustizia è stata “robotizzata” per definire le cause fino al valore di € 7.000,00.

I dati rilevano che i tempi di ottenimento di giustizia sono già dimezzati rispetto a quelli della domanda.

Gli estoni hanno vinto la “paura dell’algoritmo”.

I loro esperti, leaders del digitale mondiale, hanno infatti superato i timori derivanti da: pericolo di attacchi informatici, rischi per la possibile violazione della privacy, paura di ledere i diritti umani, senza sentirsi minacciati dai temutissimi robots.

E’ anche molto facile attivare il processo dinanzi al giudice robot.

Le parti in causa, dallo studio dei rispettivi avvocati difensori (che magari nel frattempo avranno acquisito i robolawyers, ovvero collaboratori artificialmente intelligenti) caricheranno la documentazione in formato elettronico direttamente sul sito informatizzato della giustizia, indicando le loro rispettive rivendicazioni legali, entrando in regime di totale paperless.

Dopodiché il sistema analizzerà gli atti e i documenti in relazione alla normativa vigente ed ai casi analoghi più rilevanti già decisi in precedenza; ciò avverrà grazie alla preliminare sorta di “addestramento” costruito su cause già risolte, tramite l’aiuto di “allenatori” legalmente digitalizzati e quindi sempre più “competenti” in futuro a decidere la causa in via robotica.

La sentenza verrà infine emessa dal robot   tramite algoritmo che, dando ragione a una delle parti, stabilisce e valuta anche gli eventuali risarcimenti da liquidare alla parte vittoriosa. 

Dopodichè, in caso di impugnazione del provvedimento robotico in appello – che oltretutto sarà proponibile soltanto per particolari motivazioni – il giudice di secondo grado tornerà ad essere “umano”, così facendo rivivere il rischio di subire il successivo giudizio con modalità tradizionali, ovvero con tempi incerti definizione e col rischio di valutazioni contraddittorie.

Del resto, mentre l’automazione è già operativa da tempo in settori come la medicina e i trasporti (solo per citarne due), anche la giustizia potrebbe beneficiare dei sistemi di intelligenza artificiale in grado di svolgere la funzione di giudice.

Ma perché l’algoritmo spaventa ancora così tanto?

Esso non è altro che un procedimento volto alla risoluzione di specifici problemi mediante l’applicazione di una sequenza informatica di istruzioni semplici e chiare da seguire alla lettera; le poche ed elementari caratteristiche dell’algoritmo presuppongono infatti l’univocità dell’interpretazione diretta a chi le esegue, con un numero predefinito di passi, tramite correlazioni semplicemente nascoste ed invisibili all’occhio dell’uomo.

Per le cause civili, soprattutto di recupero crediti o risarcimento danni da incidente stradale, che si risolverebbero in modo più agevole rispetto alle sofisticazioni di altri tipi di processi, si procede dall’analisi di documenti e dalla predisposizione di atti, alla previsione dell’esito della causa con formulazione di giudizi (sempre salvo però il controllo umano).

La preoccupazione più consistente nell’avvio di questa modalità di erogazione della giustizia è da ravvisare nel timore che la tecnologia possa ledere i diritti umani o possa costituire una minaccia diventando un forte ostacolo allo sviluppo; ad ogni buon conto, già il 4 dicembre 2018, la Commissione Europea per l’Efficacia della Giustizia, aveva emanato la “Carta etica europea per l’uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi di giustizia penale e nei relativi ambienti”, enunciando una serie di principi generali che concernono il rispetto dei diritti fondamentali, della non discriminazione, della qualità e sicurezza, della trasparenza e della garanzia dell’intervento umano (quest’ultimo per garantire il maggior controllo possibile sui rischi dell’eccessivo automatismo).

Resta aperto il problema del trattamento dei dati personali che crea contrasti di non poco conto, se solo si consideri che l’art. 22 del GDPR (Regolamento generale sulla protezione dei dati) del 25 maggio 2018 prevede che l’interessato ha il diritto di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, salve le eccezioni in esso previste. 

In Italia, ove la terminologia tecnico-giuridica si esprime in termini di “giustizia predittiva”, sono avviati da tempo progetti e studi di questo tipo da parte delle Corti d’Appello di Brescia, Bari e Venezia, impegnati nel creare “banche dati” di provvedimenti giudiziali “lavorati” da cui poter estrarre gli orientamenti e i casi da far poi elaborare algoritmicamente dal giudice robot.

Come dire che l’incubo diventerà sogno, ovvero una giustizia civile finalmente veloce.

Perché si sa che se la giustizia è lenta, non è più giustizia. 

Fonte foto: altalex.com

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