Callisto Grandi nacque in Toscana ad Incisa Valdarno nel 1849: aveva una sua strana configurazione corporea poiché era basso di statura, con il viso piatto, il naso grosso, le sopracciglia molto marcate ed una testa molto più grande del normale. Aveva un piede con sei dita e da ragazzo divenne calvo.
Questa strana fisicità fu subito notata dai suoi coetanei che lo cominciarono a prendere pesantemente in giro chiamandolo “Ventundita”, “Carlino il pelato”, “orango” ed altri soprannomi. Fu oggetto di bullismo, di pesanti scherzi dei quali sembrava non gliene importasse un gran che mentre, nella profondità della sua psiche, cominciò ad odiare quei ragazzi e meditare una vendetta atroce.
Il riparatore di carri
Di professione faceva il riparatore di carri ed aveva una piccola bottega in paese che spesso era visitata dai suoi persecutori che lo facevano oggetto di ogni tipo di crudeltà come defecare nella sua carbonaia, imbrattargli il viso di vernice blu, cori in strada al grido di “guercio e nano”. Callisto non li sopportava ed andò anche a lamentarsene col parroco e con i compaesani ma senza che qualcuno intervenisse.
Gli omicidi
La follia si manifestò in modo lucido e premeditato. Il primo a provare la vendetta del Grandi fu un bambino di nome Luigino Bonecchi. Venne attirato nella bottega del criminale con la promessa di alcuni dolci. Preso di spalle, Callisto lo colpì con una enorme ruota di un carro che lo uccise. Il suo corpo fu seppellito nella cantina del suo laboratorio e sopra l’assassino vi depose un mucchio di legna per non far notare la terra smossa.
Tra il 1873 e il 1875 altri tre ragazzi seguirono la stessa sorte e tutti vennero interrati in cantina. La vendetta era l’unica forza che spingeva Callisto ad uccidere, privo di morbosità da pedofilo o di altri scopi secondari, come lui stesso ammise quando venne processato.
Il sopravvissuto
Ma la sua quinta potenziale vittima, Amerigo Turchi di nove anni, riuscì a salvarsi perché i soccorritori intervennero prima dell’omicidio. Venne processato e non gli fu riconosciuta nessuna malattia mentale, nonostante intervenisse a favore di questa tesi il grande antropologo Cesare Lombroso che diagnosticò una sua infermità mentale per “cretinismo”.
La condanna
Fu condannato a venti anni di carcere per aver premeditato con lucidità gli omicidi. Scontata la sua pena, venne rinchiuso in un manicomio per altri atti di violenza incosciente, per decisione di un tribunale che invece riconobbe, invece, la sua incapacità di intendere e volere. Nel manicomio trascorse sedici anni e vi morì nel 1911.
Foto di Bruno/Germany da Pixabay
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