Vestita del manto collinare della Toscana e avvolta dal profumo dei girasoli, sorge Siena, città di torri, campane, contrade e antiche tradizioni.
Un unico cruccio turbò, fin dagli albori e per molti secoli, l’amenità del paesaggio e le menti dei senesi: l’acqua!
I grossi corsi erano troppo distanti dal centro abitato e i fiumiciattoli non riuscivano a provvedere da soli alle esigenze cittadine; sempre più botteghe artigiane erano costrette ad abbandonare le mura rendendo chiara l’urgenza di proposte risolutive.
Così i senesi cominciarono a costruire parecchi pozzi fino a quando notarono che la roccia di arenaria del sottosuolo riusciva a trattenere un buon quantitativo d’acqua; nel medioevo (XIII-XV sec.) decisero dunque di scavare una fitta rete di gallerie sotterranee, passate alla storia come “bottini”, che, nel tempo, formarono un acquedotto che ancora oggi corre per 25 km sotto la città.
Nei tunnel poteva lavorare solo un uomo per volta utilizzando mezzi grossolani come picconi e pale; l’aria era malsana, l’ambiente così buio e tetro da alimentare paure di creature sotterranee, simili a demoni, capaci di avvelenare e accecare gli operai.
Eppure il progetto ingegneristico fu eccellente: i bottini furono l’unica risorsa idrica di Siena sino al 1914, poco dopo fu ultimato l’acquedotto moderno che oggi porta l’acqua dal Monte Amiata alle case cittadine.
L’affannosa ricerca dell’acqua fu una costante nella storia senese tanto da generare una curiosa leggenda, tramandata nei secoli, che diede nuova spinta alla costruzione della “città sommersa”: il fiume fantasma, la Diana.
Si narra che, col silenzio della notte, si riesca a udire il rincorrersi delle acque di un fiume sotterraneo; lo scroscio si percepirebbe meglio nelle due zone centrali di Pian d’Ovile e Pian dei Mantellini.
Si credeva che la Diana entrasse nella città in prossimità di Porta Ovile per uscire verso Porta San Marco, nelle cui vicinanze si trova oggi una via intitolata al misterioso fiume.
I racconti sussurrati divennero presto un’opportunità, tutto andava verificato pur di sopperire alla mancanza idrica; lo stesso Comune deliberò imponenti e lunghe ricerche.
Il ritrovamento di un bacino idrico avrebbe permesso alla città un’adeguata risposta ai fabbisogni quotidiani e alimentari, una crescita delle prospettive economiche e un’affermazione militare sui rivali confinanti: l’assenza di un’appropriata quantità d’acqua avrebbe, a lungo andare, decretato la morte di Siena.
Nel 1176 i frati del Convento del Carmine, a Pian dei Mantellini, scoprirono proprio nel nucleo più arcaico di Siena, Castelvecchio, una rilevante venatura d’acqua che sembrò confermare le speranze degli abitanti.
Le indagini si fecero per lungo tempo più serrate, fu speso molto denaro pubblico, furono addirittura consultati astrologi e indovini; il mito della Diana divenne così famoso da varcare i confini senesi tanto da essere citato dal fiorentino Dante nella sua Divina Commedia “Tu li vedrai tra quelle gente vana / che spera in Talamone, e perderagli / più di speranza ch’a trovar la Diana; / ma più vi perderanno li ammiragli” .
Con queste parole la nobildonna Sapia, nel XIII canto del Purgatorio 151 ss., inveiva contro la presunzione dei suoi concittadini che, con l’acquisto trecentesco del castello di Talamone, avevano cercato di garantirsi uno sbocco sul mare per competere con le Repubbliche Marinare; evidente la derisione del Sommo Poeta che, paragonando le ricerche del fiume fantasma al Talamone, ironizzava sulla vanità e l’ossessione idrica dei rivali.
Molte risorse furono impiegate eppure della Diana non si trovò mai traccia.
Con il passare del tempo le ricerche ufficiali furono abbandonate ma non il suo ricordo tant’è che il tempo scandito dai tamburi durante la Passeggiata storica, il corteo che anticipa la corsa del Palio, prende il nome di “Passo della Diana” in onore del leggendario fiume.
Oggi della Diana rimane traccia negli scritti e nelle opere civili; vive nei racconti degli anziani che giurano di averne udito il sospiro notturno, si nutre della fede di chi vuol vedere nell’insolita umidità delle cantine una prova della sua esistenza.
Chissà, forse il fiume giace ancora lì sotto, nascosto, testimone silenzioso del passare dei secoli, vestigia di tempi leggendari; forse bisogna solo aspettare che la città si addormenti, la notte, lasciarsi cullare dai segreti che il sottosuolo ancora custodisce e tendere l’orecchio al fiume che rimane in attesa, la Diana.
di Arianna Di Pace
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