Quattrocentomila morti, 11 milioni di profughi, economia al collasso, infrastrutture rase al suolo. Stiamo parlando di una guerra decennale che ha devastato la Siria e che oggi, paradossalmente, passa in secondo piano lasciando spazio alla minaccia del Covid-19.
Il nemico silenzioso ha fatto tacere le armi anche nella zona di Idlib, nel Nord Ovest confinante con la Turchia. Una tragedia nella tragedia, che, nonostante il buio, ha concesso un piccolo spiraglio di luce: una tregua che sembra reggere tra le varie fazioni e le nazioni.
Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), dal 2011 ad oggi oltre metà degli ospedali sono stati distrutti e quasi un milione di persone, solo negli ultimi mesi, sono sfollate a causa del conflitto.
Allo stato attuale i casi di coronavirus dichiarati ufficialmente in Siria sono di 42 persone, tra le quali 3 decedute e 6 guarite, anche se medici e testimoni parlano di molti più casi. Non è difficile figurarsi cosa accadrà qualora la pandemia dovesse propagarsi tra le zone critiche di guerra e nei campi profughi. Ogni misura di distanziamento sociale sarebbe impraticabile a causa dei sovraffollamenti.
Secondo l’organizzazione Physicians for human rights, solo la metà degli ospedali e delle strutture sanitarie sono funzionanti, mentre circa il 70% del personale medico e paramedico è morto o ha lasciato il paese. Le stime del New York Times parlano chiaro: i medici locali si aspettano oltre mezzo milione di contagi; tra 100.000 e 200.000 le vittime. Almeno 10.000 persone, necessiteranno di attrezzature per la respirazione artificiale, attualmente vi sono soltanto 157 ventilatori polmonari.
A seguito dei numerosi appelli di pace, come quello del Segretario generale dell’ONU, e alle parole di Papa Francesco “Taccia il frastuono delle armi e si ascolti il pianto dei piccoli”, il 5 Marzo è stata concordata una tregua. L’accordo stipulato tra le fazioni siriane ed i leader di Russia e Turchia, Putin ed Erdogan, è stato suddiviso in tre punti principali: cessare il fuoco nella zona sotto attacco, creare un corridoio umanitario e proseguire con pattugliamenti congiunti.
“Lavoreremo insieme per portare aiuto ai siriani che ne hanno bisogno- ha premesso Erdogan nelle dichiarazioni alla stampa, specificando però che nonostante la tregua- la Turchia manterrà il diritto di rispondere agli attacchi di Damasco”.
Putin risponde con maggior ottimismo: “Spero che queste intese costituiscano una buona base per la cessazione dell’attività militare nella zona di de-escalation a Idlib, mettendo fine alla sofferenza della popolazione e alla sempre più grave crisi umanitaria”.
Diventa quindi doveroso constatare che proprio la nuova tragedia del coronavirus abbia indotto le parti in lotta a cercare la pace e il dialogo. Lo evidenzia il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco.
“Da nove anni, dieci diciamo- precisa il diplomatico del Vaticano- ho seguito giorno per giorno questo doloroso, sanguinoso e interminabile conflitto… E’ triste e anche paradossale quello che sto per dire, ma forse ci voleva lo spauracchio, il grave spauracchio del coronavirus, per fare una buona volta cessare le ostilità e far tacere le armi.”
Facendo seguito alle esortazioni del Papa e in aggiunta al progetto delle associazioni cattoliche che hanno già avviato il progetto “Ospedali Aperti” per assistere i bisognosi, è stato istituito un Fondo Emergenza delle Chiese orientali. Grazie all’aiuto e alla collaborazione di agenzie e associazioni, come Caritas Internazionale ed AVSI, sono stati distribuiti ventilatori polmonari e attrezzature sanitarie per l’emergenza.
“Tanti bambini sono morti per freddo e malnutrizione – continua il cardinale – tra quel milione di persone sfollate, l’80% è costituito da donne e bambini. [Molti di questi sono rimasti orfani] Adesso il nemico da cui fuggire è il coronavirus, ed è un nemico che fa una paura enorme. Da una decina di giorni sono state chiuse scuole, università, moschee, anche le chiese non celebrano funzioni, hanno ridotto al 40% il pubblico impiego, limitato i trasporti, ci sono diverse disposizioni per evitare assembramenti, ad esempio nei mercati. La sera scatta il coprifuoco. È una cosa che fa pensare, il segno che si teme un disastro!”.
In Siria si sta facendo tutto il possibile per prepararsi alla nuova emergenza. Il paese corre al riparo in un lock-down tra case senza più mura e tendopoli piantate sopra le macerie.
Matteo Colombo, dell’Associate Research fellow Area Mena, ISPI, commenta: “In tale situazione un’epidemia potrebbe diffondersi con grande facilità, anche per le oggettive difficoltà di molti siriani ad auto-isolarsi. Si stima che circa un siriano su due abbia dovuto abbandonare la propria casa a causa del conflitto, e diversi cittadini di questo paese vivono in una situazione igienica molto precaria. A questi si aggiungono diverse persone che si trovano in campi profughi molto affollati ai confini della Siria”.
L’obiettivo internazionale è quello di tentare di fermare la diffusione del Covid-19. La tregua temporanea di una guerra che ha lacerato il paese è un chiaro esempio. Citando un antico proverbio arabo “Il frutto della pace è appeso all’albero del silenzio”, riflettiamo sull’impatto sociale di quel nemico silenzioso, sperando in una pace duratura per il popolo siriano, da anni inginocchiato nella pozza del proprio sangue.
Foto di Carabo Spain da Pixabay
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