Sovrappopolazione. Conteniamo le nascite oppure sfidiamo l’apocalisse?

Nel 1800 la Terra era abitata da circa 1 miliardo di persone, traguardo faticosamente raggiunto dopo millenni.  Un secolo dopo, nel 1900, eravamo  già 1.650 milioni (+ 65%).  Nel 2000 abbiamo superato  i  6 miliardi  (+ 263%) con questa progressione: 2 miliardi nel 1930, 3 miliardi nel 1960, 4 miliardi nel 1974, 5 miliardi nel 1987, 6 miliardi nel 1999,
7 miliardi nel 2011. Ora, nel 2018, la popolazione mondiale è di circa 7,7 miliardi di persone. Le proiezioni ci portano a cifre stratosferiche: ogni anno il pianeta deve accogliere quasi 80 milioni di nuovi abitanti. Dove li mettiamo? 

IL PROBLEMA

Riuscirà, comunque, a sopravvivere la razza umana? Il dubbio è legittimo, ma ci sono cose da chiarire: il problema è quello delle risorse necessarie a sostenere la nostra permanenza sul pianeta. E parliamo di risorse in senso lato, cibo, acqua, clima, aria, ambiente, ma anche protezione contro fenomeni che stiamo scoprendo solo ora e che costituiscono gravi minacce, come il buco nell’ozono, i rifiuti da eliminare e tanto altro ancora. 
Per sapere quanti esseri umani il nostro pianeta riesce a sopportare sulla sua superficie c’è un indice cui si può fare riferimento: è  l’”hearth overshoot day”, cioè la misura di quanto consumiamo delle risorse del pianeta in rapporto alla capacità di rigenerarle. Un esempio: se consumiamo in un anno 1 milione di tonnellate di legna ma la Terra in un anno ne genera solo 800.000 vuol dire che abbiamo deforestato il Brasile (o qualcos’altro) attingendo a risorse che non saranno più disponibili.  Il calcolo viene effettuato da importanti  associazioni  no profit e il curioso nome dell’indice (hearth overshoot day = giorno del  superamento della terra) dipende dal fatto che viene espresso indicando un giorno dell’anno (nel 2018 è stato l’1 agosto) che è quello in cui esauriamo le risorse rinnovabili che la Terra produce e produrrà entro il 31 dicembre  e cominciamo a consumare quelle non rinnovabili (in altre parole, “consumiamo il pianeta”).
Ce lo possiamo permettere?  No!  Potremmo, in effetti, resistere ancora per qualche tempo se fossimo certi di trovare nuove risorse adeguate alle nostre necessità magari su qualche altro pianeta, ma la fantascienza ha chiuso i battenti col secolo scorso.
Se già oggi consumiamo in 7 mesi quello che la Terra impiega 12 mesi a rigenerare, che succederà quando saremo in molti e molti di più?

QUALCHE PRECISAZIONE 

L’ONU, sulla base di calcoli complessi che tengono conto di tante variabili, ci dice che le cose andranno un po’ meglio.  Saremo 9,7 miliardi nel 2050 e solo 11,2 miliardi nel 2100. Una bella notizia rispetto al tragico trend in cui sembriamo invischiati, non tanto perché si tratta di numeri che possiamo sopportare (non è affatto così) quanto perché il rallentamento della crescita dimostra che qualcosa gioca a nostro favore, non c’è che da capire meglio cosa e come  e agire di conseguenza.
Quando diciamo che in un anno la popolazione è cresciuta  di 80 milioni intendiamo ovviamente al netto di coloro che invece ci hanno lasciato. I morti per anno sono circa 50 milioni, più o meno il 40% dei nati. 
Che fare allora?  Cominciamo col notare che il tasso di crescita non è omogeneo, tant’è che noi italiani risultiamo essere addirittura in netta decrescita. Da cosa dipende?
La principale variabile che distingue aree e Paesi del mondo è il grado di sviluppo inteso nel senso più lato (economico, culturale ecc.) che dipende in buona misura dalla collocazione del Paese e dalla sua storia.  Nei Paesi sviluppati il benessere è maggiore, si vive più a lungo e si fanno meno figli. Nei Paesi cosiddetti “in via di sviluppo” vale il contrario. 
Benessere e durata della vita come effetti del maggiore o minore sviluppo sono comprensibili, il fatto invece che nei Paesi meno sviluppati si facciano molti figli senza disporre del necessario per rendere degna la loro esistenza ci lascia a volte un poco perplessi.  Ma le ragioni non mancano, dalla legge dell’evoluzione che pretende da noi ogni sforzo per la  sopravvivenza della nostra specie su questa terra  (l’equivalente del nostro “crescete e moltiplicatevi!”), ai matrimoni non voluti e gravidanze precoci, all’impossibilità per le donne di ricorrere a servizi sanitari o a moderni metodi di contraccezione ecc. 
La scoperte scientifiche e la loro diffusione, la “globalizzazione” che ha portato lavoro in altri Paesi del mondo, in sostanza un benessere appena meglio distribuito, hanno calmierato il tasso di crescita nel Paesi in via di sviluppo. Ma non basta, non c’è soluzione: o si nasce di meno o si muore di più. Il più grande neurochirurgo della sua epoca, lo svedese Olivecrona, fu udito dire: “La domanda è: se un ricercatore scoprisse la formula dell’immortalità avrebbe il coraggio di distruggerla? O per un peccato d’orgoglio condannerebbe l’intero genere umano?”. Vale la pena di esaminare due casi emblematici.

L’AFRICA E LA CINA

L’Africa (quella sub sahariana) è il continente decisamente più critico, non solo perché già oggi conta circa 1,3 miliardi di abitanti che non sono pochi, ma soprattutto perché il suo tasso di natalità è assolutamente elevato ed è previsto che continui a dare nei prossimi anni il maggior contributo alla sovrappopolazione del pianeta. D’altra parte la situazione climatica difficile e le risorse alimentari scarse non hanno mai favorito lo sviluppo come nei paesi dell’area del mediterraneo.  La colonizzazione subita dai paesi europei è stata nella maggior parte dei casi condotta in modo a dir poco infame finchè ai governi colonialisti europei  sono subentrati  despoti  locali che hanno perseguito solo il loro interesse.  La drammatica situazione delle popolazioni africane, senza loro colpa, spiega il ritardo con cui potrà innestarsi il processo di sviluppo con conseguente contenimento della natalità.

La Cina è, al contrario, un esempio di tentativo piuttosto riuscito di risolvere il problema con una legge del 1979 che imponeva il limite di un solo figlio per donna/famiglia. La situazione di partenza era difficile perché nel ’79 la Cina, paese fondamentalmente agricolo, aveva quasi il 25% della popolazione mondiale (970 milioni) con un tasso di natalità elevatissimo, e solo il 7% delle superfici coltivabili. La legge subì molte modifiche nel tempo per adeguarla alle necessità e fu accompagnata da una pianificazione attenta, controlli e assistenza sul territorio. Oggi, dopo 40 anni, la Cina ha una popolazione di 1.350 milioni, con una crescita quindi  contenuta ma con un elevato invecchiamento della vita attiva che comporta problemi pensionistici oltre che di produttività (questi ultimi peraltro ampiamente compensati dalla specializzazione e dalla robotica che hanno fatto della Cina  “la fabbrica del mondo” ).  C’è convergenza tra gli esperti di settore che questa politica abbia evitato circa 400 milioni di nascite.  
Nel 2013 la politica del figlio unico è decaduta (ora sono concessi 2 figli).  Le accuse che nel tempo hanno accompagnato questi provvedimenti hanno dimostrato tutto sommato una debole consistenza (ad esempio non è squilibrato il rapporto tra i generi maschile/femminile)

Spiaggia affollata in Cina


IN CONCLUSIONE

Non è semplice tirare delle conclusioni di qualche utilità da tutto questo.  L’ hearth overshoot daygià oggi ci dice che la situazione è insostenibile, anche se non precisa per quanto ancora potremo contare sulle risorse non rinnovabili del pianeta.  Tra ciò che si potrebbe fare emergono queste alternative:

1) prendete sul serio i movimenti ecologisti selezionando i più affidabili ma in ogni caso battendovi contro coloro che li irridono senza aver approfondito i problemi.
2) scegliete voi di fare o non fare figli, pochi o molti, come desiderate e come potete permettervi. Vedetevela con la vostra coscienza.

Preso atto del fatto che i Paesi con il maggiore scarto tra chi nasce e chi muore, i Paesi quindi direttamente responsabili della crescita della popolazione, sono di massima i più poveri, meno evoluti e spesso soggetti a regimi autoritari, potreste decidere di chiudere le vostre frontiere, all’insegna di un principio consolidato e di per sé sano: “Ciascuno si prenda le sue responsabilità!”.  Noi non siamo del tutto d’accordo, non solo per ragioni di giustizia (poteva toccare a noi nascere là) ma soprattutto perché nella disperazione anche i più umili potrebbero arrivare a terribili mosse che oggi possono essere supportate da tecnologie non così difficilmente accessibili. Perciò quello che vi consigliamo è:
3) sostenete le iniziative che cercano di portare soccorso ai poveri nel mondo, in termini economici e culturali. Se avranno un minimo di benessere da difendere non penseranno più che avere molti figli è il solo modo per rendere più probabile che almeno uno sopravviva. 
Nulla ci garantisce di riuscire così ad evitare l’Apocalisse, ma almeno ci avremo provato.
                                                             

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