Da qualche mese negli ambienti politici dei due schieramenti si parla molto bene di due personaggi, giovani e preparati: il primo è il ministro Angelino Alfano, nato ad Agrigento il 31 ottobre 1970, fresco artefice della recente riforma sulla Giustizia, il quale secondo voci insistenti si appresterebbe nei prossimi mesi a rilevare addirittura la leadership del Partito delle Libertà oggi saldamente nelle mani di Silvio Berlusconi. Il secondo è Matteo Renzi, nato a Firenze l’11 gennaio 1975, attuale sindaco del capoluogo toscano e nuovo capo carismatico della base democratica ormai orfana di un vero leader. D’altronde si sa il tempo è inesorabile e tutti, prima o poi, dovrebbero farsi da parte. Scrivo al condizionale perché In Italia l’idea di farsi da parte non è così automatica come capita negli altri paesi occidentali dove, dopo aver governato, amministrato e gestito il potere pubblico gli uomini si ritirano e si dedicano agli affari propri, “scollandosi” velocemente la poltrona di dosso. Tuttavia anche “l’immortale” Silvio, volente o nolente, dovrà fare i conti con la severa legge del tempo, oltre che con quella giudiziaria, e lasciare lo scettro ad un suo successore. E in questo contesto nessuno meglio dell’ex coordinatore regionale di Forza Italia in Sicilia potrebbe ricoprire il ruolo del leader nel nuovo Pdl. Perché, e non è una novità, il presidente del Consiglio nutre tanta di quella stima nei confronti del ministro della Giustizia Angelino Alfano che gli altri potenziali candidati alla guida del Pdl si dice siano molto nervosi ogni qualvolta il grande capo chiami “ a rapporto” solo il “delfino siciliano”. Questo la dice lunga sulla veridicità delle indiscrezioni che arrivano dagli ambienti parlamentari. Per quanto riguarda Matteo Renzi la situazione è però diversa, egli sarebbe mal visto dalla dirigenza attuale perché sempre troppo critico nei confronti dei colleghi e dei leader del Partito Democratico e soprattutto, proprio per questo motivo, digerito a fatica dall’attuale segretario, Pierluigi Bersani. Quest’ultimo reo secondo Renzi di aver seguito una linea inconcepibile: quella di corteggiare prima Fini e poi Bossi pur di mandare a casa Berlusconi. Ma il giovane amministratore fiorentino, come dicevamo, ha dalla sua parte la base del partito e il buon lavoro fatto fino ad oggi a Firenze in qualità di sindaco. Ad onor del vero c’è però da dire che sia Alfano che Renzi sono entrambi politicamente molto giovani e con poca esperienza nella gestione di uomini e di “mezzi”. Questo l’unico handicap che porterebbe la vecchia nomenclatura partitica a spingere sul freno della candidatura per una eventuale sfida per il Governo del Paese. Anche perché i due, pur essendo preparati, amati dalle rispettive basi partitiche e capaci uomini politici, si troverebbero a dover gestire quella cosa pubblica, chiamata Stato, non facile da governare. Ma a volte l’onda emotiva popolare e la voglia di rinnovamento rende possibile ciò che la logica non consentirebbe. E per questo motivo, molto probabilmente, sarà questa la sfida che si avrà nelle nuove elezioni politiche e forse senza dover aspettare il 2013, anno di fine legislatura fisiologica.
Enzo Di Stasio
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