Al Teatro 1 di Cinecittà, a Roma, una mostra fotografica consigliabile. Sono 150 scatti di profughi,esuli, immagini rubate o cercate di donne, ragazzi e bambini che scappano dai paesi di guerra.
Foto profonde, scatti rubati, scatti voluti. Uomini, donne. Occhi intensi , sguardi muti, emozioni silenziose che parlano delle sofferenze dei giovani profughi e non. Esuli che cercano un futuro, una possibilità.
Infanzie spezzate, bambini costretti alla vita degli adulti quando il loro unico desiderio sarebbe quello di giocare spensierati. Occhi dei bambini che hanno visto morte e distruzione, armi nelle loro mani.
L’uso del colore o del bianco e nero rendono molto intense le foto che rappresentano giovani vite scappate alle persecuzioni ed alle guerre, con i segni nei loro volti o nei corpi di cicatrici indelebili.
Umanità lontane da noi, gioco di contrasti opposti di luce e colori, resi veritieri e terribilmente concreti in questi magnifici scatti, come nelle donne afghane o nelle donne con il burqa, dove la severità e la durezza dell’abbigliamento si scontrano con la modernità di un giorno normale di spesa, tra i banchi di un mercato, oppure dalle ragazze del ristorante etiope, in cui realtà opposte e spesso “differenti” si incontrano in uno scatto, si fermano nel fotogramma preciso dell’immagine.
Vite normali eppure vite lontane da noi, spesso incomprensibili che questa mostra rende così vicine a noi. Spesso per capire, spesso per condividere.
“In guerra, la verità è la prima vittima” (Eschilo)
di Alessandra Paparelli
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