Nel giorno del ricordo della strage avvenuta il 18 aprile 2015 in cui 800 migranti hanno perso la vita nella traversata del Mar Mediterraneo (precisamente nel Canale di Sicilia), arriva la notizia che un’altra carretta del mare, con a bordo somali, eritrei ed etiopi, affonda facendo perdere la vita a 200 anime che volevano trovare un po’ di tranquillità nel nostro paese. Purtroppo però il contesto non risulta molto chiaro: né le autorità libiche né tanto meno quelle italiane sanno come sono andate precisamente le cose; infatti, secondo la Bbc in arabo e i media somali, sarebbero partiti dalle cose africane ben quattro barconi con a bordo 400 immigrati mentre le autorità egiziane sostengono di non avere notizie dell’accaduto.
Una strage, quindi, avvolta nel giallo approdata proprio nel momento in cui la condizione europea non è delle più accoglienti e chiare. Abbiamo visto sia l’erigere di un muro da parte dell’Austria sia il viaggio della speranza di Papa Francesco nell’isola di Lesbo per guardare in prima persona la situazione tragica di questo momento delicato. Abbiamo, inoltre, assistito alla proposta dell’Italia, sulla base dell’accordo fra Europa e Turchia: nasce il Migration compact, progetto tutto italiano che prevede la riduzione dei flussi lungo la rotta mediterranea, risolvendo le questioni irrisolte proprio nella terra natia dei migranti. Vediamo come prevede.
Progetti di investimento; cooperazione sul fronte della sicurezza; schema di reinsediamenti; Ue-Africa bonds; cooperazioni su rimpatri-riammissioni; applicazioni di sistemi di asilo nazionali; lotta comune ai trafficanti; opportunità di migrazione legale; gestione dei flussi dei rifugiati; controllo confini e riduzioni dei flussi: questi 10 punti sono il tema centrale della proposta italiana, ma non a tutti i capi d’Europa approvano. Nonostante quest’ultima e il Presidente Juncker lodano l’iniziativa del bel Paese, la Germania della Merkel blocca il punto secondo il quale bisogna finanziare i paesi terzi con l’emissione di eurobond per frenare la continua trasmigrazione.
Anche il premier di Ankara, Ahmet Davutoglu, gioca la sua partita con l’Europa; Juncker sta lavorando per la liberazione dei visti per i cittadini turchi e il premier Davutoglu aspetta il mese di giugno prossimo per mantenere le promesse fatte a Bruxelles.
Insomma, il vecchio continente ancora non sa come gestire la questione migranti; vengono fatte promesse in base a un accordo relativo, si attendono risposte e modi per gestire il problema. Si ha paura di mettere in pericolo l’incolumità dei cittadini nel caso ipotetico in cui nei barconi, infiltrati, vi possano essere le teste bollenti dell’Isis e al contempo non si può dire «no» a esseri umani che scappano da eterne guerre.
Ma mentre si aspetta, comunque, quante altre persone devono perdere la vita in quelle acque gelide per scappare da una morte certa?
di Ilaria Cordì
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