Sud: una ventata di libertà

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L’Italia ha bisogno di respirare di nuovo, di liberare energie: morali, politiche economiche. Italia futura si è assunta il compito di promuovere un processo di rinnovamento secondo uno itinerario riformatore e innovativo pur nel rispetto della storia del nostro paese. In questo orizzonte è necessario ripensare la questione del Mezzogiorno fuori dalla vecchia contrapposizione statalismo/antistatalismo.

Lo slogan: «lasciate il Sud al suo destino e vedrete che, messo alle strette, si riprenderà» è stato l’ultimo espediente retorico per dissimulare il più rozzo leghismo, colpevole del declino del paese, al Sud come al Nord. Un travestimento caricaturale del pensiero liberale.

La sfida consiste nel potersi definire liberali e liberisti. Fu, questa, la posizione di Giustino Fortunato, primo, grande, sofferto e, forse, più autentico meridionalista italiano. Deciso fautore del libero mercato ma certamente favorevole all’intervento dello Stato per la risoluzione della cosiddetta questione meridionale. Un ossimoro? Una contraddizione? No. La contraddizione nasce quando il liberismo si oppone allo statalismo inteso come intervento diretto dello Stato nell’economia. Si scioglie quando si pensa all’intervento dello Stato, diremmo oggi, nella complessità della vita culturale, politica, economica e, forse, antropologica di un paese. In questo senso si può essere liberali e liberisti insieme: meno Stato dove si può, più Stato dove si deve.

La creazione di una no tax area, la riforma degli ammortizzatori sociali, il via libera dei sindacati al rafforzamento della contrattazione decentrata sul modello tedesco, potrebbero essere alcune proposte forti per ripensare oggi la questione. Proposte che possono e debbono essere discusse nel merito. Ma certamente aprono un orizzonte, rispetto al nulla che in questi ultimi anni si è predicato. Ma perché possano acquistare più forza e senso, è necessario inquadrarle in un più ampio discorso sul Mezzogiorno. È difficile, infatti, pensare che una qualunque politica economica possa aver successo se non tiene conto di alcuni fattori nei quali l’intervento del pubblico è, per certi aspetti, necessario. L’infrastrutturazione, il costo dell’energia e del denaro, ad esempio, sono questioni da affrontare anche dai governi, dallo Stato in senso ampio. Senza risolverle le imprese e i lavoratori del Sud non hanno, come direbbero i liberali classici, uguali opportunità di partenza, uguali chances.

La creatività del Sud, tanto spesso chiamata retoricamente in causa, si avvilisce e muore, o si inabissa nel sommerso, quando su di essa pesa il macigno di regole non condivise, estranee alla cultura, avvertite come imposizioni arbitrarie. Qualsiasi politica per il Sud non può prescindere da un’analisi seria e laica, per così dire, delle specificità di questi territori, delle loro condizioni reali, delle loro vocazioni, dei loro limiti come delle loro risorse.

Va ripensato, dopo la sbornia leghista, il sistema del decentramento. Centralismo e autonomismo non devono rappresentare dei feticci ma devono, piuttosto, funzionare in un reciproco rapporto in riferimento alle particolari contingenze. Bisogna, innanzitutto, accelerare sull’abolizione delle Province, tutte in modo da evitare inutili quando dolorose lotte capitalistiche. Le Regioni possono essere una risorsa oppure costituire un ostacolo, allo sviluppo come alla democrazia del paese. Va amaramente riconosciuto che nel Mezzogiorno pochi rimpiangerebbero la loro soppressione. E non è detto che, dopo l’esperienza leghista, anche al Nord possa insinuarsi un’identica aspirazione. Per non parlare dei Comuni-città-Stato che oggi, dopo un’iniziale prova positiva, sono drammaticamente degenerati. Insomma, ogni stagione ha bisogno della propria politica.

Ancora, resta da affrontare il tema, drammatico, della classe politica, da sempre mediocre al Sud e da qualche tempo mediocre anche al Nord. Questione quasi impossibile da affrontare se non in termini completamente nuovi.

Bisogna andare oltre, purtroppo, i partiti attuali, e forse anche superare la concezione e l’organizzazione della democrazia così come è stata sperimentata fino a oggi nel nostro paese.

Ernesto Paolozzi – Istituto Universitario “Suor Orsola Benincasa” di Napoli

Fonte: italiafutura.it 

Foto: partitodemocratico.it

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