Il 14 novembre scorso, presso l’Auditorium comunale di Sutera, piccolo comune in provincia di Caltanissetta, si è tenuta la seconda edizione del premio di poesia “Lillo Zucchetto”, per ricordare il poliziotto della squadra mobile di Palermo, assassinato il 14 novembre 1982 per mano della mafia.
Il primo premio per la sezione C, composta dagli alunni della scuola secondaria di secondo grado, e’ andato a Milena Saia con la poesia “Tante stelle brillano nel cielo”. Per la sezione D, poeti italiani o stranieri, si è aggiudicato il premio Tonino Butticè, con la splendida composizione in dialetto siculo “A legalità”.
Ma chi era Lillo Zucchetto?
Zucchetto era uno dei più stretti collaboratori del poliziotto Ninni Cassarà e con lui aveva stilato il “rapporto Greco +161”, in cui si analizzava attentamente ogni aspetto della guerra di mafia iniziata nel 1981; si affrontava il tema dei nuovo assetto delle cosche e soprattutto l’ascesa del clan dei corleonesi, facente capo a Totò Riina.
Oggi purtroppo il suo nome è quasi caduto nel dimenticatoio e in pochi sanno che il giovane “eroe del quotidiano” ha sacrificato la sua vita per uno Stato da difendere ad ogni costo. Zucchetto ci ha provato coraggiosamente e con tutta l’incosciente passionalità dovuta all’età, peccato che la mafia sia stata più forte di lui.
Fra gli interventi della manifestazione, significativa è stata la testimonianza di Francesco Accordino, capo della sezione omicidi della squadra mobile di Palermo, adesso in pensione che ricorda: “La squadra mobile era il massimo organismo investigativo: trattava di delitti, estorsioni, rapine, insomma dei reati più gravi. Lillo collaborava con Ninni Cassarà ( il commissario di Palermo ucciso il 7 maggio 1985 ndr). Io all’epoca dirigevo la sezione omicidi, che contava oltre 1.000 casi, senza contare quelli per lupara bianca, ovvero omicidi senza il ritrovamento del cadavere. Calogero era un ragazzo effervescente, non voleva morire. Un giorno insieme a Ninni Cassarà comperò un vespone e disse al concessionario ” Avete delle vespe blindate?”.
Eravamo presenti in prima linea nella lotta alla mafia. Non esistevano né Polizia, né Questura, ma noi, che eravamo l’avamposto degli uomini perduti. Io sono l’unico superstite e soprattutto l’unico a non essere coinvolto nella morte di Marino (Salvatore, sospettato di avere ucciso Beppe Montana, morì a causa di torture nella questura di Palermo ndr). Eravamo orgogliosi di aiutare una città come Palermo! Oggi dico che la mafia si sconfigge con un esercito di insegnanti. Eppure a quei tempi non avevamo mezzi a sufficienza per lavorare.
Ricordo che una volta un questore disse a Ninni “uscite in bici, se non avete le macchine “. Non avevano neanche il pc: arrivò dopo la loro morte.
Noi cercavamo di esorcizzare la morte e quando andavamo al bar, passando davanti alla lapide con i nomi dei morti ammazzati, Ninni mi diceva “il tuo nome ci starebbe bene” e io rispondevo “ci starebbe meglio il tuo”.
Negli anni di fuoco non c’erano le manifestazioni e il sindaco di Palermo diceva “la mafia non esiste”. Ebbene, la mafia stava bene nei salotti di Palermo? Michele Greco, detto “il papa”, ospitava nelle sue tenute, prefetti, deputati ecc.
Non potevano pensare di avere solidarietà! Lavoravamo con amore e Zucchetto non guardava mai l’orologio.
Prima dell’attentato, Cassarà dormì per sei giorni in ufficio senza rientrare a casa neanche per cambiarsi, ma quando decise di farlo, qualcuno lo fece sapere. La moglie Laura lo aspettava affacciata al balcone con la bimba in braccio.
Gli spararono vigliaccamente alle spalle ! Mentre sparavano, la moglie scese le scale di corsa bussando a tutte le porte, perché voleva lasciare la figlia a qualche vicino. Nessuno aprì.
All’epoca era impensabile organizzare eventi come questo di Sutera. La mafia si negava o si restava indifferenti.
Noi abbiamo usato i pentiti, come Buscetta. Falcone ci chiedeva i resoconto in vista del maxi processo, insomma si lavorava sulle nostre indagini.
Una volta un boss mafioso mi disse ” il coraggio è un abitudine “. Io sono abituato a vivere così ho sempre vissuto sotto scorta, ma non serve: occorre non avere abitudini e non parlare mai delle intenzioni. Falcone non doveva scendere ogni venerdì a Palermo, perché ha dato modo di preparare il piano per la sua morte. Mai dire troppe cose! Massima impermeabilità. Questo ti permetteva di vivere.
Il nostro è un brutto lavoro, ma occorre che qualcuno lo faccia. Ti costringe a camminare nel fango, ma ti impone di mantenere le scarpe pulite. Mai superare il limite fra stato e mafia, legalità e illegalità, perché sprofondereste è non ne potreste uscire.
Ricordo ancora Paolo Borsellino con le sigarette sempre accese. Quando la moglie di un morto ammazzato andò da lui per chiedere un lavoro per il figlio , lui lo fece assumere presso un bar. Lei disse ” come facciamo, che stiamo al Brancaccio?”. Paolo tolse il motorino a suo figlio.”
Questo e’ il prezioso racconto di Accordino, che in conclusione alla domanda “se per assurdo Lillo fosse qui, cosa gli direbbe?”, ha risposto “la smetti di scherzare e vieni a lavorare?”.
La serata si è conclusa con la proiezione del cortometraggio di Carmelo Vitellaro “la questione immorale”.
Durante la serata conclusiva dedicata al poliziotto Lillo Zucchetto e alla presenza dei familiari delle vittime di Mafia, ha destato una certa polemica l’intervento del capo della commissione antimafia on. Nello Musumeci, che ha spaccato in due la platea.
Per l’onorevole, l’antimafia si vive nel dovere e nel silenzio, (senza urlarla, per intenderci) e onde evitare possibili accuse ha tenuto a sottolineare che le responsabilità del fallimento di certe politiche dipendono esclusivamente dagli elettori “Sono stato eletto all’unanimità” – ha declamato con enfasi, ribadendo che se gli elettori sbagliano da anni, non si possono fare ricadere le colpe a terzi. “Il ditino contro Nello Musumeci non lo può alzare nessuno”- Ha insistito -come se non conoscesse la realtà del cosiddetto voto di scambio.
Parlando poi di Calogero Zucchetto ha dichiarato “Lillo non voleva essere un eroe e tutto sommato non lo era. Era un suo dovere perché si sa, che quando si esce di casa siamo carne da macello”.
di Simona Mazza
Foto: seguonews.it
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