Spesso è difficile piangere per degli sconosciuti, non mi è stato facile nemmeno nel 2001 con i grattacieli in fiamme, difficile persino col terremoto dell’Abruzzo, sgomento, rabbia che inumidisce gli occhi, nocche delle mani che diventano bianche, il loro modo di urlare “non è giusto!”, ma queste lacrime venivano soprattutto da lì, dalla testa.
Non vado quasi mai al lavoro con l’auto, stamattina sì e quando hanno dato la notizia ci ho messo un po’ a reagire:
“Un pullman che trasportava due scolaresche belghe (tornavano da una settimana bianca) si è schiantato alle 21,15 di martedì 13 marzo contro il muro di un tunnel nel canton Vallese, sull’autostrada A9, non lontano dal confine tra Italia e Svizzera. Delle 52 persone a bordo, 28 sono morte: 22 sono bambini di circa 12 anni di età. Altri 24 sono feriti, alcuni in maniera grave”
Poi mi è mancata l’aria, la freccia improvvisata, colpi di clacson ignorati, mani a coprire gli occhi e la consapevolezza che stavolta le lacrime non venivano tanto da lì, dalla testa.
Poi si può pensare, pensare che altri hanno fatto lo stesso ragionamento tempo prima, che se perdi tua madre sei orfano, se perdi un compagno sei vedova, ma che se perdi un figlio… non sei niente.
Non c è la parola, mille sinonimi per orfano ma nessun contrario! E lì, il contraccolpo logico, l’abominio senza nome, l’innaturale sopravviverti di chi ti ha preceduto.
Sarà stato il numero a due cifre, ventidue, l’assenza di ritmo nello schianto che non ti fa alzare le difese in tempo e boom ti travolge, la voce incrinata dello speaker e la tua che non esce, l’ennesima corsa alle cause, il fatto che fossero tutti bambini, sereni per definizione e con la somma di miliardi di cose che non faranno.
E’ troppo. E razionalmente non c’è verso di spiegarlo, quindi mi ritrovo a scusarmi per non aver pianto anche per altri morti… inutile. Inutile come raccontare troppi dettagli.
Qualche contorno sì, però: la prima cosa che hanno fatto gli svizzeri è stata mandare tutti i soccorritori disponibili e anche quelli che non lo erano, alcuni dei quali hanno estratto corpi e ricucito ferite tutta la notte. Ora vi è arrivata l’immagine di luci blu roteanti, corpetti catarifrangenti, pile, barelle, sì, c’è stato tutto questo.
Ma come pochi sanno, quando accade un evento di questa portata, arriva subito anche un’altra squadra, gli psicologi. Ammiro entrambi i gruppi e non invidio nessuno dei due, perché hanno trovato davanti a loro il fossato dell’ impossibile: possano le nostre lacrime colmarlo aiutandoli così a traghettare dall’altra parte la luce del loro aiuto in queste ore così buie.
Possa Dio avere pietà di tutti noi.
Luca Munaretto
Foto: dal diario online dei bambini
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