Con il 2019 si è chiuso il trentennio che è succeduto al “secolo breve”. Con questa dizione lo storico britannico Eric Hobsbawn ha definito il XX secolo, restringendolo al periodo 1914-1989. In un precedente articolo abbiamo tentato di fare un bilancio di quanto è accaduto successivamente, relativamente al nord del pianeta. Per ragioni di spazio, infatti, ci siamo limitati all’occidente euro-americano, alla Russia, alla Cina e al mondo islamico.
A rigore, non abbiamo citato né il Giappone, né la Corea del Sud, né l’Australia, ma li possiamo comunque assimilare all’occidente capitalistico. Abbiamo trascurato, invece, proprio quella fetta di mondo che è maggiormente mutato. Il sud del pianeta o “Terzo mondo”. Estendiamo i nostri ragionamenti, quindi, all’Asia sudorientale e all’India.
Asia sud-orientale, punta di diamante della crescita del Terzo mondo
Iniziamo il nostro viaggio ideale da Hong Kong. Ex colonia britannica, forse non ha mai fatto parte del Terzo mondo. Nel 1997, è stata riconsegnata alla Cina, con l’intesa che per 60 anni avrebbe mantenuto il sistema capitalistico e multipartitico. In realtà Hong Kong è stata d’esempio alla Cina per trasformare se stessa. Dal 15 marzo 2019 sono in corso delle manifestazioni di protesta contro il trasferimento “di fatto” di alcune competenze giurisdizionali ai tribunali controllati dal Partito Comunista cinese. Ben presto la protesta è sfociata nella richiesta di completa indipendenza dalla Cina, fomentata dagli Stati Uniti. Al momento mancano elementi per poter formulare previsioni sugli esiti di tale rivolta.
Nell’Asia sudorientale, troviamo una serie di economie in pieno decollo. Oltre al Vietnam, di cui abbiamo già parlato, incrementi del pil a livello cino-giapponese si stanno riscontrando in Thailandia, in Indonesia e soprattutto in Malesia. Quest’ultimo paese sta vivendo un vero e proprio boom collegato all’estrazione del petrolio. La compagnia statale Petronas è ormai una delle più importanti aziende mondiali del segmento gas-petrolifero.
Nell’area, tuttavia, resta centrale la posizione dell’Indonesia. Stiamo parlando del quarto Stato al mondo per popolazione (270 mln di abitanti) ed uno dei più estesi (2 mln kmq). Dispone anch’essa di notevoli giacimenti di petrolio, della prima miniera d’oro e della seconda miniera di rame del pianeta. L’economia dell’Indonesia sta crescendo annualmente tra i 4 e il 6%. Tuttavia ancora il 10% della popolazione vive al di sotto della soglia della povertà (meno di 2 dollari al giorno). Non tantissimo, per il Terzo mondo.
In Italia la si calcola in base al parametro 1051 euro/mese per una famiglia di 2 persone. Si stima che comprenda circa l’8% dei presenti sul territorio, con punte superiori al 10 nel sud e nelle periferie metropolitane. In compenso, la disoccupazione, in Indonesia, è solo al 4,5%, contro il 10% dell’Italia. E’ facile prevedere, a breve, l’ingresso dell’Indonesia nel gruppo delle economia “emergenti”.
La “via della seta”, minaccia la leadership indiana
Singapore è una città Stato indipendente, economicamente e finanziariamente paragonabile a Hong Kong. Con in meno il fiato sul collo del gigante cinese. La presenza cinese è comunque insistente in tutta l’area, con la Belt and Road Initiative (Nuova Via della Seta). Il progetto coinvolge Cambogia, Myanmar e Thailandia in grandi progetti infrastrutturali. Nell’Oceano Indiano, sta coinvolgendo Sri Lanka e Pakistan, dove ha in corso di realizzazione il porto di Gwadar.
Nel Mar Rosso, la Cina ha allestito la sua prima base militare estera, a Gibuti e, con l’Egitto, si è accordata per realizzare un secondo, più grande, Canale di Suez. E’ evidente che l’espansione economica cinese nell’area dia fastidio soprattutto all’India. Ancorché poco più di un terzo per estensione, l’India contende alla Cina la palma di paese più popoloso al mondo. Entrambi contano 1300 mln di abitanti. Complessivamente, un terzo della popolazione mondiale. Inoltre, come ha dimostrato il caso dei marò italiani, Nuova Delhi avrebbe mire egemoniche sull’Oceano Indiano.
Pensare che, nell’ultimo trentennio, l’India abbia potuto risolvere il secolare problema della fame, è una pura illusione. La percentuale di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà è però scesa dal 60% del 1981, al 42% del 2005, al 25% circa del 2018. Va detto che, per soglia di povertà, le statistiche locali intendono meno di 1,25 dollari al giorno a testa. Sicuramente, però, l’industrializzazione del paese ha fatto passi da gigante.
Alcune imprese indiane sono diventate protagoniste nei mercati o nelle borse valori di tutto il mondo. Tra esse, le aziende automobilistiche Tata e Force India. Quest’ultima presente in Formula Uno. Notevolmente dimensionate sono l’industria del cemento Birla e il gruppo finanziario Sahara India Pariwar. In campo geo-politico, non dimentichiamo che l’India (come il vicino Pakistan) fa parte del ristretto club di Stati in possesso della bomba atomica.
Il prossimo articolo avrà ad oggetto l’Africa e l’America Latina.
Autore foto: Valerie Trillaud
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