Il capo dei capi non parla mai a caso. Non spreca voce, non fa allusioni se non per colpire direttamente qualcuno che, appositamente, era rimasto nell’ombra. La sua non è civetteria. Quando parla Totò Riina bisogna “appizzare” le orecchie perché difficilmente si ripeterà nei prossimi anni.
Le affermazioni dell’ex boss di Cosa Nostra, riportate in esclusiva dal quotidiano “La Repubblica” e rilasciate segretamente ad una guardia carceraria, arrivano dritte al cuore dello Stato. E scuotono le coscienze perché indicative di un periodo storico fatto da più ombre che luci, ipotizzando una trattativa segreta tra lo Stato e la Mafia più che fluente. “Io non cercavo nessuno, erano loro che cercavano me – ha dichiarato Riina – Io sono stato latitante in campagna per 25 anni senza che nessuno mi cercasse. Com’è possibile che sono responsabile di tutte queste cose?”. E ancora: “La vera mafia sono i magistrati e i politici che si sono coperti tra di loro. Loro scaricano ogni responsabilità sui mafiosi. La mafia quando inizia una cosa la porta a termine. Io sto bene. Mi sento carico e riesco a vedere oltre queste mura”.
Dichiarazioni scioccanti che mettono in discussione anche altre dinamiche, come quelle per esempio che hanno sempre indicato lui e Giovanni Brusca tra i principali ed unici mandanti ed esecutori degli attentati a Falcone e Borsellino: “Brusca non ha fatto tutto da solo – precisa Riina – c’è la mano dei servizi segreti. La stessa cosa vale anche per l’agenda rossa. Ha visto cosa hanno fatto? Perchè non vanno da quello che aveva in mano la borsa e si fanno consegnare l’agenda. In via D’Amelio c’erano i servizi”. Riina si riferisce esplicitamente alla vicenda del carabiniere Giovanni Arcangioli, indagato e poi prosciolto dall’accusa di furto della valigia del giudice Borsellino.
Ma la trattativa Stato – Mafia e le ombre sulle azioni dei servizi segreti non sono le uniche tematiche affrontate da Riina in questa sorta di confessione – intervista shock. Il capo dei capi lancia anche un avvertimento chiaro a Bernardo Provenzano, colui che fu il suo amico fraterno e che invece ora viene indicato come complice per il suo’arresto nel 1993: “Mi hanno fatto arrestare Provenzano e Ciancimino, non come dicono i carabinieri”.
di Francesco Curreri
foto: Il Mattino
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