Il Pm di Palermo Antonio Di Matteo ha riferito le parole pronunciate ieri dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, al termine della testimonianza resa in Quirinale, alla presenza della Corte d’Assise di Palermo.
Per il magistrato, la testimonianza è stata “utile per ricostruire il quadro dei fatti del 1992 e del 1993 soprattutto per ricostruire il clima e per cercare di capire quale fu la percezione a livello più alto delle istituzioni degli attentati del maggio e del luglio 1993”.
Durane le tre ore di interrogatorio ( c’è stata solo una pausa di 15 minuti) il Presidente ha negato che la parola “Trattativa” sia mai stata pronunciata, pur ammettendo che gli attentati mafiosi degli anni ’90 avevano lo scopo di far allentare la presa delle istituzioni. Si trattò dunque di un ricatto più che una Trattativa, secondo Napolitano.
Dopo aver declinato le sue generalità, Napolitano ha risposto a tutte le domande anche quelle che potevano essere aggirate dai paletti costituzionali previsti per l’esercizio delle sue funzioni istituzionali.
“Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza”. Questa la frase di rito dell’udienza blindatissima tenutasi nella sala Bronzino, all’interno della cosiddetta “Sala Oscura”. Le domande erano state stilate dai membri del pool antimafia: Vittorio Teresi, Antonino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia.
Tre gli interrogati ai quali la Corte sembrava essere più interessata: ovvero cosa intendesse dire il suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio, quando nella sua lettera di dimissioni, poi respinte, gli scrisse di essersi sentito usato nei primi anni 90, quando lavorava al ministero della Giustizia insieme a Giovanni Falcone e parlò di “indicibili accordi”; se fosse a conoscenza dei patti con la Mafia e se fosse stato a conoscenza dell’attentato che in quegli anni Cosa nostra aveva progettato contro di lui, all’epoca presidente dalla Camera, e Giovanni Spadolini che ricopriva lo stesso incarico istituzionale al Senato.
Alla prima domanda Napolitano ha risposto di non conoscere gli “indicibili accordi” e di non essere mai sceso nei dettagli della lettera, puntualizzando che “D’Ambrosio era una persona di una tale correttezza e lealtà che se avesse avuto altro che un’ipotesi sarebbe andato all’autorità giudiziaria a denunciare tutto”.
Per quanto riguarda gli attentati del 1990 inclusa la strage in cui morì Paolo Borsellino che secondo la procura di Palermo avrebbero indotto lo Stato a scendere a patti con la Mafia tanto da revocare più di 300 provvedimenti di 41 bis, Napolitano ha negato con forza che le istituzioni si siano divise sulla necessità di dare una risposta forte al “nemico mafioso”. “La strage di via D’Amelio accelerò la conversione del decreto legge dell’8 giugno 1992 che introduceva il carcere duro per i mafiosi”, ha affermato Napolitano. Ha altresì sottolineato che all’epoca era presidente della Camera e quindi non entrava nel merito dei provvedimenti legislativi. Parlando invece della strage di Capaci ha detto che sarebbe stato un fatto talmente forte da essere da stimolo a trovare un accordo politico sulla nomina di Oscar Luigi Scalfaro a capo dello Stato.
Di Matteo ha poi chiesto a Capo dello Stato se sapesse della richiesta di Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo, considerato uno dei principali attori della Trattativa, di essere ascoltato dall’antimafia. “Me lo disse Violante, ma non mi spiegò mai perché poi non lo convocarono” ha risposto Napolitano.
I Pm hanno tra le altre cose acquisito il documento del Sisde del 20 agosto ’93, successivo quindi all’allarme lanciato dal servizio militare e firmato dall’allora direttore Domenico Salazar, in cui veniva ribadita la preoccupazione per il rischio attentati. Sulla relazione dei servizi si legge“I mafiosi ormai certi di dover trascorrere il resto della loro vita scontando durissime pene detentive, non più annullabili in Cassazione e in un regime carcerario rigido, ben diverso da quello a cui erano abituati fino a qualche tempo fa, avrebbero raggiunto la convinzione che solo dal caos istituzionale (generato dalla ribellione della società civile esasperata dal terrore degli attentati, possibilmente, domata da successivi eventi golpisti) sia possibile ricavare nuove forme di trattativa miranti ad ottenere forti sconti di pena nell’ambito di una più vasta e generale pacificazione sociale necessaria all’instaurazione del nuovo ordine costituzionale”.
In merito agli attentati progettati contro di lui e Spadolini, Napolitano ha confermato di essere stato informato dall’allora capo della polizia Vincenzo Parisi. I due si sarebbero incontrati prima delle ferie estive e per l’occasione Parisi, gli disse anche che “gli 007 la consideravano con cautela, ma aggiunse anche che l’attendibilità della fonte era tale per cui non era necessario annullare programmi o partenze: bastava una maggiore cautela”. In realtà sarebbero stati programmati una serie di attentati, con l’obiettivo di colpire inizialmente un gran numero di civili e poi le alte cariche dello Stato. I nomi di Napolitano e Spadolini sarebbero emersi proprio per dare l’idea dell’importanza degli obiettivi scelti. Napolitano rifiutò inizialmente un rafforzamento della scorta e andò in vacanza a Stromboli.
Poiché il processo era bandito ai cronisti, sono stati i legali a tenere le conferenze stampa fuori dal Quirinale. Avvocatura di Riina. Per l’avvocato di Totò Riina, Luca Cianferoni “al 51% è stata un’udienza interessante, al 49% abbiamo perso tempo”. Il legale ha soprattutto evidenziato la mancata ammissione di una sua domanda sulla frase del defunto Presidente Oscar Luigi Scalfaro “Io non ci sto!”, che probabilmente si riferiva alla stagione delle bombe del ’93. Poi ha espresso la sua opinione sulla frase “ utile scriba per indicibili accordi” scritta da D’Ambrosio a Napolitano. Per Cianfarone non è stata del tutto “generica”. Il legale ha considerato irrilevanti le dichiarazioni di Napolitano sulle sue valutazioni relative alle stragi del ’93. A tal proposito ha dichiarato “Quando il colonnello De Donno riferì il 24 gennaio del ’98 a Firenze del colloquio con Vito Ciancimino disse testualmente che questi, dialogando sulla causale della stragi del ’92, gli spiegò: “Avete tolto le ruote alla macchina, la macchina deve girare. O le indagini su Tangentopoli finiscono o le stragi non finiranno”.
E’ scomodo mettere i politici vicino ai mafiosi, è facile far fare a Riina il parafulmine! In aula a Firenze ho detto: “il colonnello Mori ha cantato e portato la croce”, intendevo dire che l’Arma dei Carabinieri in quel periodo aveva un ruolo particolare. Malgrado la Corte insista sui Carabinieri Mori ne esce bene da questa udienza, di fatto l’unica domanda che ha fatto la Corte era per sapere se Violante avesse parlato a Napolitano anche dei Carabinieri percepisco che la Procura di Palermo pensa male del generale Mori e questo mi dispiace perché lo reputo un bell’ufficiale che non ha mai trattato con il mio cliente. Questo è un Paese che non vuole la verità. Per il momento diciamo che non è stato Provenzano a vendere Riina allo Stato, poi si vedrà”.
Avvocatura di Massimo Ciancimino. I legali di Massimo Ciancimino, Roberto D’Agostino e Francesca Russo hanno definito “importante” la testimonianza di Napolitano in quanto “ha corroborato molte delle ipotesi investigative che sono state fatte dai pubblici ministeri”soprattutto sulla “percezione diretta da parte dei vertici istituzionali del ’93 di trovarsi a seguito delle stragi davanti ad un attacco frontale da parte di Cosa Nostra nei confronti dello Stato”. Avvocatura del Generale Mori.
Basilio Milio, avvocato del Generale Mori ha dichiarato “Sgombriamo il campo da equivoci le domande che non sono state ammesse non è che fossero imbarazzanti, semplicemente non sono state ammesse perché aveva già risposto, oppure erano domande che non attenevano al capitolato di prova. Che si sia verificato un attacco allo Stato, a parte l’ammissione del Presidente della Repubblica, è un dato di fatto. Credo proprio che non aggiunga nulla rispetto a quello che era già emerso. Il Presidente non ha fatto alcun cenno ad un attacco legato ad un ‘accordo’, si è limitato a evidenziare che questo attacco poteva sembrare finalizzato a una destabilizzazione, a un colpo di Stato”.
Milio ha poi letto ai cornisti la sua trascrizione della deposizione di Napolitano e risposto alle domande a raffica a lui rivolte.
1)Gli accordi?
“Napolitano li ha esclusi”.
2)La lettera di D’Ambrosio?
“Dovuto ad uno stato di tensione, di fermento e travaglio”.
3)Violante che parla a Napolitano di Vito Ciancimino?
“Ricorda vagamente, apparve anche qualche notizia di stampa sul fatto che Ciancimino aveva chiesto di essere sentito, dice: ‘probabilmente me ne parlò anche Violante…’, ma così generico, sono passati 22 anni”.
4)La lettera dei familiari dei detenuti a Scalfaro?
“Non ricorda particolari su Pianosa e l’Asinara, non ricorda, non ha avuto particolari informazioni della lettera dei detenuti a Scalfaro”.
5)Gli attentati del ’93?
“La valutazione degli attentati era quella di un sussulto della fazione oltranzista di Cosa Nostra finalizzata a dare degli aut-aut ai pubblici poteri per fare pressioni di tipo destabilizzante”
Ufficio stampa del Quirinale.
L’ufficio stampa del Quirinale ha declamato “Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha risposto a tutte le domande con la massima trasparenza e serenità.
Il capo dello Stato ha risposto alle domande senza opporre limiti di riservatezza connessi alle sue prerogative costituzionali né obiezioni riguardo alla stretta pertinenza ai capitoli di prova ammessi dalla Corte stessa”.
Adesso dovremo attendere qualche giorno per avere conferma delle risposte date dal Presidente della Repubblica si dovranno attendere circa 4-5 giorni.
Si tratta dei tempi tecnici necessari per trascrivere l’intera deposizione, che poi verrò messa a disposizione di Pm, legali e giornalisti.
di Simona Mazza
foto: art-news.it
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