La Trattativa Stato-Mafia coninua a riempirsi di ombre e non è un caso se la Consulta ha disposto un “salvacondotto” piuttosto strategico culminato con la distruzione delle intercettazioni telefoniche tra Napolitano e Mancino (accusato di falsa testimonianza).
Intanto, il 27 maggio prenderà il via il processo sulla presunta Trattativa e fra i nomi convocati come testimoni dai Pm Di Matteo, Del Bene, Tartaglia e Teresi, spuntano quelli di personaggi eccellentissimi (ammesso che si presentino).
Si tratta di 180 personaggi chiamati alla sbarra. Citiamo solo alcuni di essi: i Napolitano, l’ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, il procuratore generale della Cassazione Gianfranco Ciani “in ordine alle richieste proveniente dall’imputato Nicola Mancino aventi a oggetto l’andamento delle indagini sulla cosiddetta trattativa, l’eventuale avocazione delle stesse e /o il coordinamento investigativo delle procure interessate”, il suo vice Pasquale Ciccolo, l’ex pg di Cassazione Vitaliano Esposito, gli ex ministri Claudio Martelli, Giovanni Conso, Vincenzo Scotti, Giuliano Amato e Pietro Grasso, quest’ultimo (allora procuratore antimafia, oggi seconda carica dello Stato) è stato chiamato in ballo durante una delle “chiacchierate” tra Mancino (all’epoca dei fatti ministro degli Interni) e Napolitano.
Adesso la Corte presieduta da Montalto, dovrà valutare l’ammissibilità dei teste. La richiesta dei pm non riguarda le intercettazioni, (nulla sarà detto riguardo al contenuto delle telefonate tra il Capo dello Stato e Mancino) ma è relativa allo scambio epistolare con il Consigliere giuridico del Colle, Loris D’Ambrosio, morto improvvisamente la scorsa estate, proprio nei giorni caldi delle indagini sulla presunta trattativa.
Riguardo alle telefonate, sappiamo soltanto che l’ex Ministro degli Interni Mancino chiamò Loris D’Ambrosio, manifestando le sue paure circa le scelte investigative dei magistrati siciliani e sollecitandolo a intercedere con Napolitano.
Per tali intercettazioni, 19 aprile 2012, il pg della Cassazione Gianfranco Ciani convocò l’allora procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, chiedendogli di coordinare il lavoro delle procure, ma ricevette un secco no.
Grasso il 22 maggio ha giustificato il diniego specificando che “ nessun potere di coordinamento può consentire al Pna di dare indirizzi investigativi e ancor meno influire sulle valutazioni degli elementi di accuse acquisiti dai singoli uffici giudiziari”.
Nelle lettere incriminate invece D’Ambrosio, garantiva di non aver mai fatto ingerenze, né pressioni a favore di Mancino. Colpisce soprattutto una frase tratta da una lettera pubblicata nel volume: “Sulla Giustizia. Interventi del capo dello Stato e del Presidente del consiglio superiore della magistratura-2006-2011”
In riferimento agli episodi avvenuti tra il 1989 e il 2011, D’Ambrosio scriveva “ I fatti di questi giorni mi hanno profondamente amareggiato personalmente.
Poi aggiunge “ Come il Procuratore di Palermo ha già dichiarato e come sanno anche tutte le autorità giudiziarie a qualsiasi titolo coinvolte nella gestione e nel coordinamento dei vari procedimenti sulle stragi di mafia del 1992 e del 1993, non ho mai esercitato pressioni o ingerenze che anche minimamente tendessero a favorire il senatore Mancino o qualsiasi altro rappresentante dello Stato comunque implicato nei processi di Palermo, Caltanissetta e Firenze “ aggiunge altresì, di aver temuto di “ essere considerato solo un ingenuo e un inutile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi”.
Per l’occasione Napolitano rispondeva “Colpiscono lei per colpire me”. Ovvio chiedersi a cosa si riferisse D’Ambrosio.
Al di la di ogni cosa, suscita rabbia il fatto che vi siano personaggi sopra ogni giudizio, soprattutto se la loro testimonianza può realmente fare chiarezza su episodi tristi e angosciosi della storia del nostro Paese e su questioni di enorme impatto pubblico.
”Del resto gli italiani, almeno una parte di essi, non credono che possa esistere alcun “Segreto di Stato” superiore o tale da giustificare il silenzio sui massacri efferati perpetrati, in questo caso, a partire dagli anni ’90.
Ricordiamo per chi non lo sapesse, che la Trattativa riguardava il patteggiamento del carcere duro e l’applicazione del 41 bis per i boss mafiosi, in cambio della sospensione delle stragi.
A osteggiare tali patti vi erano magistrati del calibro di Falcone e Borsellino, uccisi rispettivamente il 23 maggio e il 19 luglio del 92. La loro morte, inutile, ha portato a un’effettiva riduzione del 41 bis e il passaggio, in molti casi, a una detenzione, non solo “normale”, ma addirittura di lusso.
di Simona Mazza
foto: iconfronti.it
Scrivi