Tria e la decrescita economica. Chi vuol mettersi nei suoi panni?

Il ministro Giovanni Tria (Forbes)

Crediamo che nessuno, in Italia, al momento attuale, desideri mettersi nei panni del ministro dell’economia Giovanni Tria. Nemmeno il suo collega Paolo Savona che, dopo aver mirato per mesi al suo posto, ha preferito farsi candidare alla presidenza della CONSOB. Questo perché Tria ha sempre saputo quale sarebbero state le conseguenze di una manovra come quella che gli hanno imposto. Stretto tra l’incudine dei vicepresidenti del consiglio e il martello del Presidente Mattarella (assolutamente contrario a farlo dimettere) ha dovuto firmarla. Ora, si trova addirittura a difenderla e a minimizzarne le conseguenze.

Così ha fatto martedì scorso alla Camera, rispondendo all’interrogazione del deputato Francesco Boccia. Il ministro ha affermato che qualsiasi considerazione in proposito sia ancora prematura e che nella prossima proposta di def (entro il 10 aprile) si provvederà soltanto ad aggiornare le previsioni economiche. Ciò alla luce dei recenti dati finali a consuntivo del 2018.

Se fosse solo ciò, significherebbe comunque che, anziché la prevista crescita dell’1% del pil il def dovrà prendere atto che, nell’anno passato si è raggiunto soltanto lo 0,8%. Il problema – e Tria lo sa benissimo – è che proprio riproponendo quell’1% anche per il 2019, l’Italia era riuscita a strappare il sì condizionato della Commissione europea. L’aggiornamento in senso peggiorativo di quel dato non potrà che rimettere in discussione il parere condizionato della UE.

La relazione del ministro Tria alla Camera sulla crescita economica

Infatti, il ministro, nella sua relazione alla Camera, ha aggiunto che se l’economia dovesse crescere meno del previsto, ”cosa che ci auguriamo non accada”, la proiezione del saldo di bilancio ”potrà essere rivista”. Ma, ha proseguito il ministro, nella legge di bilancio 2019 sono stati accantonati 2 miliardi e, per coprire il deficit che si andrà a formare a seguito del peggioramento della crescita 2018 tali margini di riserva “appaiono più che sufficienti”.

In realtà, oltre ai dati ufficiali 2018, nelle ultime settimane si sono registrate previsioni di crescita 2019, assolutamente inferiori a quelli presentati dall’Italia alla Commissione europea. La Banca d’Italia, infatti, preso atto della recessione registrata negli ultimi due semestri 2018, ha ottimisticamente dichiarato che non si andrà oltre una crescita dello 0,6% nel 2019. Subito ha risposto il Fondo monetario internazionale, sostenendo che la crescita dell’Italia si attesterà soltanto tra un +0,2% e un +0,4%. Rispetto all’1% previsto non è poco.

Ad aggravare la situazione si aggiungono i recenti dati ISTAT secondo cui Il fatturato dell’industria italiana, a dicembre 2018, è crollato su base annua del 7,3% (3,5% su novembre). Il calo è distribuito in maniera pressoché uguale sul mercato interno (-7,5%) e su quello estero (-7%). Si tratta della flessione più grave dal novembre del 2009 (quando, a fine anno, il PIl registrò un -5%).

Tria sa perfettamente che le previsioni governative di crescita 2019 sono assolutamente irreali

Tria sa bene, per averlo “predicato” in tempi non sospetti, che né il reddito di cittadinanza né quota 100 sono misure significative per la ripresa della produzione industriale. Per ottenere ciò servono gli investimenti. Nell’ultima manovra di bilancio, invece, gli investimenti sono stati ridotti per finanziare proprio quelle misure di cui si è fatto cenno. Inoltre, il blocco dei cantieri – TAV compresa – voluta dal ministro Toninelli sta facendo il resto.

Tria ha le mani legate perché le elezioni politiche incombono e qualsiasi misura correttiva sarebbe impopolare, con conseguenze per la base elettorale del governo. Dopo il test abruzzese di due settimane fa, domenica si replica in Sardegna, poi a marzo la Basilicata e, infine, il 26 maggio, le europee e le regionali del Piemonte.

Per la stesura del def 2020, Tria dovrà reperire anche altri 59 miliardi

Tutto, quindi, è rimandato a dopo il 26 maggio e – magari – il più tardi possibile. A settembre, tuttavia, il governo dovrà trovare circa quaranta miliardi solo per evitare il prospettato aumento dell’Iva e altri 19 miliardi per sostenere reddito di cittadinanza e quota 100. Tutto ciò per la definizione della manovra 2020.

Per finanziare il deficit di bilancio 2019, invece, bisognerà trovare le risorse necessarie, in quantità superiori a quanto previsto dal documento finanziario vigente. Emettendo titoli, perché i 2 miliardi del fondo di riserva sembrano proprio pochini. Purtroppo per il governo, infatti, lo spread non tende a diminuire, e continua a veleggiare intorno a quota 280. Ciò significa che il costo dell’indebitamento, come un gatto che si morde la coda, non potrà che crescere ulteriormente. Con buona pace per “i panni di Tria”.

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