Nell’ultimo film di Peter Bogdanovich (L’ultimo spettacolo, Paper moon, …e tutti risero, Dietro la maschera) il protagonista Owen Wilson interpreta un regista teatrale di successo, Arnold Albertson.
Un giorno, in una suite d’albergo, conosce Izzy Patterson (Imogen Poots), ragazza di Brooklyn che vuole diventare un’attrice ma nel frattempo si guadagna da vivere lavorando come squillo. Arnold, affascinato dalla ragazza e dalla sua storia, le dona 30.000 dollari per lasciare la sua attività di prostituta e dedicarsi esclusivamente alla carriera di attrice. Dopo poco tempo, per pura coincidenza, Izzy si presenta ad un provino (per il ruolo di uno squillo) proprio nella nuova piéce teatrale di Albertson: insieme a lei, troviamo la moglie di Albertson, attrice famosa, il suo storico partner sulla scena (nonché vecchio pretendente) e un giovane e timido sceneggiatore (fidanzato con la piscoterapeuta di Izzy, Jennifer Aniston). È l’inizio di una serie di equivoci e colpi di scena che ingarbuglieranno la situazione fino all’inevitabile happy end finale.
Peter Bogdanovich, 76 enne, torna alla macchina da presa, dopo dodici anni di silenzio, con una storia, scritta insieme alla ex moglie Louise Stratten, che è un omaggio alla commedia screwball americana, quella degli anni ’30 e ’40 di Lubitch, Capra e Hawks. Il regista newyorkese fa da sempre un cinema che ha come obiettivo quello di recuperare la tradizione cinematografica del glorioso passato, conscio che ormai il meglio è già stato scritto, diretto e realizzato e quindi non è più possibile aggiungere nulla di veramente nuovo: si tratta solo di aggrapparsi ai grandi classici, i grandi registi che hanno segnato la storia del 900 e cercare di cogliere la loro forza, interpretandoli in chiave contemporanea.
Bogdanovich, che iniziò da giovane a lavorare sotto l’ala di Roger Corman, amico di Wells, Cassavetes, Coppola e Friedkin, non è solo un regista, è anche sceneggiatore, produttore, attore, critico; è insomma quella figura di Autore completo, poliedrica professionalità unita a una vera passione per il cinema a 360 gradi che è propria solo dei più grandi.
In questo caso abbiamo la testimonianza di un genere di commedia che non è conosciuto ai più giovani, che però merita di essere recuperato e rivalutato, nonostante il pericolo di risultare anacronistica. È proprio la tradizione storica al centro di tutta la filmografia di Bogdanovich, e in questo specifico film si percepisce non solo lo spirito dei grandi commediografi americani del passato (Lubitch, Capra, Hawks, Wilder) ma anche di quello degli autori contemporanei che in una certa maniera ne hanno seguito le orme, come Woody Allen e Wes Anderson. Il ponte di collegamento è rappresentato da Owen Wilson, attore-feticcio di Anderson, che, dopo l’eccellente prova in Midnight in Paris di Allen, è stato presentato a Bogdanovich dallo stesso Anderson (che è tra i produttori del film). Il cerchio si chiude: la commedia screwball esige un protagonista di grande personalità, simpatico e belloccio il giusto, che non rubi la scena ma che faccia da raccordo tra tutti i personaggi e gli intrecci del plot. L’Arnold Albertson di Wilson è un uomo di altri tempi, un sognatore, incurabile romantico, a metà tra Cary Grant e il Richard Gere di Pretty Woman, seduce le donne citando una battuta-tormentone di Fra le mie braccia di Lubitch (<<la felicità è dare noci agli scoiattoli..>>), è innamorato di tutta la categoria femminile e poco adatto al matrimonio monogamo.
Bogdanovich conosce perfettamente i tempi comici e dirige gli attori con grande maestria: una nota di merito particolare al personaggio di Jennifer Aniston, psicologa pazza sopra le righe nel modo giusto. Nel finale c’è pure un simpatico cameo di Quentin Tarantino, grande amico del regista e, come lui, grande cinefilo e cultore enciclopedico del cinema di tutti i generi e di tutte le epoche.
Tutto può accadere a Broadway è l’esempio di come si possa fare intrattenimento piacevole di qualità, fatto alla vecchia maniera per il puro piacere di fare cinema, senza la paura di essere fuori moda. Orgogliosamente rètro.
di Fabio Rossi
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