Il 24 Febbraio 2022 il governo russo guidato dal presidente Vladimir Putin decide di inviare il proprio esercito e invadere l’Ucraina. Una scelta che ha preso alla sprovvista numerosi analisti politici e segna un nuovo cambiamento storico di portata mondiale. Cerchiamo di capire a come siamo arrivati a questo punto, quali sono state le contromisure prese e come il conflitto stia mettendo in luce aspetti forti e deboli della nostra società.
Breve storia recente dell’Ucraina
Il 24 Agosto 1991 il parlamento ucraino approva l’Atto d’indipendenza dell’Ucraina e dichiara lo stato come indipendente e democratico. Il 1 Dicembre un referendum popolare vota al 90% l’indipendenza dall’Unione Sovietica, la quale già da diversi mesi stava avanzando nella sua dissoluzione. L’8 Dicembre i capi di stato di Russia, Bielorussia e Ucraina si accordano per la nascita della Comunità degli Stati Indipendenti, il CSI, al quale in pochi giorni si uniscono anche altri paesi prima facenti parte dell’Unione Sovietica. Il loro fine è creare una forte rete di scambio commerciale, politico e sociale. I primi anni del governo ucraino sono soprasseduti dal presidente Leonid Kravchuk a cui segue, dal 1994 al 2004, il filo-russo Leonid Kuchma. Quest’ultimo mantenne buoni rapporti con la Russia ma anche con gli stati europei: fu lui ad avanzare la prima richiesta formale di adesione alla NATO nel 2002. Le elezioni del 2004 sono un momento turbolento per la nazione: vengono denunciati brogli alla prima votazione, con in testa Viktor Janukovych (designato dal presidente uscente Kuchma). Le proteste di piazza, in quella che sarebbe poi stata definita Rivoluzione arancione, portano la Corte Suprema a intervenire: le elezioni vennero rifatte assegnando la vittoria all’avversario filo-occidentale e moderato, Viktor Jushchenko. Questo periodo si caratterizza come piuttosto caotico per la politica ucraina con elezioni anticipate nel 2007 e poi nel 2008 (causa la guerra in Ossezia fra Russia e Georgia), entrambe vinte ancora da Jushchenko. Nel 2010 vince il già citato filo-russo Viktor Janukovych che sconfigge la ex-primo ministro Julija Tymoshenko. Durante la presidenza di Janukovych emergono forti opposizioni popolari contro le decisioni di politica estera prese dal governo: nel 2013 il paese vessa in una situazione finanziaria critica e il presidente, invece di firmare un accordo preparato da mesi di associazione politica e commerciale con l’Unione Europea, preferì prendere un prestito concesso dal presidente Putin; quest’ultimo aveva avvertito l’Ucraina che se avesse accettato l’accordo con l’Europa sarebbe andata incontro al collasso finanziario dello stato. Questa decisione dà il via alle proteste popolari, dette dell’Euromaidan, che diventano particolarmente violente a Gennaio e Febbraio con morti e feriti sia fra i cittadini che fra le forze dell’ordine; diversi edifici governativi vengono occupati o messi a ferro e fuoco. Il 22 Febbraio 2014 il presidente Janukovych e altri ministri fuggono dalla capitale, Kiev, mentre in parlamento viene votata la richiesta di impeachment. Nello stesso giorno in Crimea avvengono manifestazioni filo-russe e tra il 26 e il 27 Febbraio militari russi entrano nella regione e prendono controllo delle istituzioni politiche. L’11 Marzo la leadership filo-russa in Crimea dichiara l’indipendenza e il 16 Marzo, tramite un referendum (non certificato dall’OCSE), sancisce l’annessione alla Russia. Tale decisione non è mai stata riconosciuta dall’Ucraina che definisce la regione “territorio temporaneamente occupato”; in più il 27 Marzo l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dichiarò il referendum non valido. Questo è il frangente che spinge l’Ucraina ad allontanarsi dal CSI, cosa che avverrà effettivamente nel 2018. In Ucraina si tengono le elezioni per sostituire il presidente fuggito e sono vinte da Petro Poroshenko che il 27 Giugno 2014 firma l’Accordo di associazione tra Ucraina e Unione Europea. Questo è il primo passo per far entrare l’Ucraina nel mercato dell’UE dando una spinta a lungo termine all’economia della nazione. Il sentimento filo-europeo è evidente nel 2019 quando viene eletto Volodymyr Zelensky, il quale rinnova le sue intenzioni di stringere sempre più il suo paese alla comunità Europea.
Precedenti nel Donbass
Oltre alle proteste dell’Euromaidan e la separazione della Crimea, perno rilevante del conflitto attuale è l’inizio della guerra nel Donbass. Il 6 Aprile 2014 forze separatiste filo-russe prendono il controllo di alcuni edifici governativi nelle regioni di Donetsk e Lugansk che, come in Crimea, dichiarano la propria indipendenza dall’Ucraina (anche qui tramite un referendum non verificato indipendentemente). Inizia quasi subito un conflitto che vede coinvolti l’esercito ucraino più battaglioni ultra-nazionalisti contro le milizie delle repubbliche autoproclamate sostenute a livello militare e logistico dalla Federazione Russa. Secondo stime ONU del 2018 la guerra ha causato la morte di 3.300 civili, 4000 fra soldati e milizie ucraine, 5500 militanti filo-russi, e il ferimento di circa 30.000 persone, con violenze perpetuate da tutte le parti in causa. Stime dell’UNHCR, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, riportano che già nel 2014 più di un milione di persone aveva lasciato la propria casa sita nel Donbass: 814.000 si sono diretti verso la Russia e 260.000 verso altre zone dell’Ucraina. Nel Settembre 2014 si giunge al Protocollo di Minsk, un accordo redatto da Ucraina, Russia e i rappresentanti delle due Repubbliche, più l’OCSE. Questo accordo sancisce: la tregua fra le parti, più potere alle regioni di Donetsk e Lugansk, rilascio di ostaggi e prigionieri, rimozione di gruppi militari illegali, ritiro delle brigate straniere, l’apertura di un dialogo continuo, la presenza dell’OCSE come organo supervisore. L’accordo ha ridotto le violenze ma il conflitto è proseguito fino a essere indicato un mese fa come uno dei casus-belli dell’invasione russa.
Escalation
A partire dalla Primavera del 2021 la Russia inizia a stanziare sempre più truppe lungo i confini ucraini, nello stesso periodo i combattimenti nel Donbass aumentano di numero. Il 21 Aprile la Russia diserta un incontro fra le parti con Ucraina e OCSE in merito alle azioni belliche nella zona. A Novembre Russia e Ucraina si accusano a vicenda dell’uso di droni da guerra nel Donbass. In Dicembre soldati e carri russi sono avvistati nelle repubbliche indipendenti. Il 21 Gennaio alla Duma (il parlamento russo) arriva la prima proposta di riconoscere l’indipendenza della regione dall’Ucraina. In questi giorni sia l’Ucraina che l’intelligence statunitense avvertono che le truppe russe stanziate lungo i confini potrebbero invadere il paese da un momento all’altro; la Russia ritiene queste affermazioni delle paranoie e accusa invece l’Ucraina di avere intensificato gli attacchi nel Donbass. È il 21 Febbraio quando i leader delle repubbliche di Donetsk e Lugansk chiedono formalmente a Putin di riconoscere la loro indipendenza e sottoscrivere un trattato di collaborazione militare. Il presidente accetta la richiesta, violando così il Protocollo di Minsk. L’Unione Europea e l’America comunicano che verranno apportate sanzioni alla Federazione Russa in risposta alla sua violazione del diritto internazionale. Le milizie filo-russe nel Donbass obbligano i residenti a lasciare le loro case e a dirigersi in Russia mentre l’esercito russo attraversa i confini. Ma non è ancora la guerra. Il 23 Febbraio il Pentagono avverte che l’80% delle forze russe sono situate sul confine ucraino e a Kiev viene dichiarato lo stato di emergenza nazionale. Lo stesso giorno le due repubbliche autoproclamate e appena riconosciute dalla Russia chiedono aiuto contro l’Ucraina. Il 24 Febbraio alle 4:50 della mattina, il presidente Putin in un comunicato alla televisione dà il via a un’operazione militare speciale in difesa delle repubbliche del Donbass. Aggiunge che il suo fine sia denazificare il paese e proteggerne il popolo; inoltre chiede la resa a tutte le truppe ucraine. Infine, mette in guardia tutti coloro che lo ostacoleranno: andranno in contro a ritorsioni mai viste prima.
La guerra
L’invasione è iniziata con le forze militari russe che attraversano il confine ucraino da Est, Nord, e Sud (dalla Crimea). Nello stesso momento colpi di artiglieria colpiscono città ucraine e velivoli da combattimento sono avvistati nei cieli. Pare che l’azione bellica sarebbe dovuta consumarsi in pochi giorni con l’arrivo delle truppe a Kiev e la sostituzione dell’attuale governo di Zelensky con uno filo-russo. Tuttavia le disposizioni si sono incagliate quasi subito, trasformando una rapida incursione in una battaglia di logoramento e assedio.
La Russia si è presentata con una forza militare più grande di quella ucraina, contando su un alto numero di uomini, mezzi terrestri e aerei. Tuttavia i soldati ucraini, avvisati con largo anticipo di un possibile attacco, si sono dimostrati preparati all’arrivo dei nemici. In battaglia per loro si sono rivelati molto utili i missili anticarro Javelin, NLAW e gli Stinger contro l’aviazione, più i droni turchi Bayraktar TB2. Senza contare la loro conoscenza del terreno. Non solo. Sembra che l’avanguardia russa inviata in Ucraina fosse formata da numerosi coscritti (uomini in servizio di leva dai 18 ai 27 anni), i quali non sapevano che stavano andando in guerra e si aspettavano, a causa della propaganda del Cremlino, un’altra accoglienza da parte dei civili ucraini. Inoltre nel tempo sono emersi molti problemi logistici per l’esercito russo: in primis, la mancanza di carburante per i mezzi pesanti, comprovati da diversi carri armati e camion abbandonati. Secondariamente, la chiusura delle vie di comunicazione, con ponti e ferrovie che vengono fatti saltare in aria dagli stessi ucraini per complicare lo spostamento dei veicoli nemici. Si suppone anche che dietro le file russe non ci siano cooperazione e comunicazione ottimali fra i vari comandanti e le forze in campo. Altro tassello è la presenza dei civili ucraini che intervengono in supporto dell’esercito o imbracciando direttamente le armi. Più di 150.000 ucraini sarebbero rientrati in patria, molti proprio per unirsi ai combattimenti. Ricordiamo anche che nel paese è stata imposta la legge marziale e tutti gli uomini fra i 18 e i 60 anni sono obbligati a unirsi all’esercito.
Dopo circa dieci giorni l’avanzata dei russi subisce un rallentamento. La prima grande città a cadere è Kherson mentre altrove l’azione si sposta soprattutto sugli assedi. Iniziano i bombardamenti a tappeto e l’isolamento dei centri. L’artiglieria russa punta a infrastrutture pubbliche o verso i civili che cercano di lasciare la zona. Città come Kharkiv e Mariupol stanno venendo conosciute a livello mondiale per i missili sparati sulle zone residenziali, sulle scuole e sugli ospedali. La capitale Kiev è al centro della pressione russa: a pochi chilometri di distanza è giunta una colonna di mezzi militari lunga circa 60 Km e gli scontri nella zona periferica della città sono quotidiani fin dal terzo giorno dell’invasione. Altre città, come Odessa, Lviv (Leopoli), Ivano-Frankivsk, in data odierna (24 Marzo) sono state meno interessate da colpi diretti ma si stanno preparando ai bombardamenti proteggendo edifici civili, musei e chiese.
Nel frattempo sono subentrate anche altre forze in campo. Il 25 Febbraio il leader della Cecenia fa sapere che si unirà all’invasione a fianco dei russi con alcune migliaia di soldati. L’11 Marzo si riporta di decine di migliaia di volontari siriani desiderosi di unirsi al conflitto per la Russia, e lo stesso vale per soldati provenienti da paesi africani in passato aiutati da Mosca. Tuttavia, vi sono volontari provenienti da tutto il mondo (anche da Cecenia e Africa) che decidono invece di ingrossare le file ucraine. Qui le cifre parlano di circa 20.000 volontari. Si noti che tutti questi dati sono da prendere con le pinze poiché vengono gonfiati dalla propaganda dei rispettivi stati che vogliono sottolineare il sostegno alla loro causa. Si noti anche che in Italia è illegale prendere parte alla guerra come volontario armato (si guardi a coloro che sono andati a combattere l’ISIS in Siria o in Iraq e una volta tornati a casa sono stati sottoposti a regimi di sorveglianza).
Le città occupate
Le città occupate dai russi sono finora un numero piuttosto contenuto, tuttavia non vi mancano i drammi che la guerra porta con sé. Nei primi video inviati dai borghi occupati assistiamo a proteste dei civili lungo le piazze principali: pacifiche, ma quotidiane e inflessibili, persino di fronte a carri armati e uomini in arme. In alcuni casi sono già subentrate dure repressioni: il sindaco di Melitopol, Ivan Fedorov, è stato rapito l’11 Marzo da soldati russi e poi rilasciato il 16 Marzo in uno scambio di prigionieri. Il 13 Marzo è arrestato Serhii Priyma, presidente del consiglio distrettuale di Melitopol. Il 17 Marzo è stato arrestato Viktor Tereshchenko, sindaco del comune ucraino di Velykoburlutska. Il 20 Marzo è arrestato il vice-sindaco di Enerhodar, Ivan Samoidiuk. Il caso di Melitopol è stato peculiare poiché dopo il rapimento del sindaco è stato imposto al comune una sostituta filo-russa, Galina Danilchenko, la quale ha subito condannato le proteste ucraine dichiarandole come estremiste. Il Kiev Independent ha riportato che nelle regioni del Donbass i cittadini là residenti sono obbligati dai russi a imbracciare le armi e andare al fronte a combattere gli ucraini mentre donne e bambini vengono spostate in Russia. Lo stesso è riportato succedere a Mariupol durante la sua conquista. Qui, il 22 Marzo, dei convogli con aiuti umanitari diretti verso la città vengono dirottati dai russi. Stanno venendo riportate anche testimonianze di stupri di donne ucraine residenti nei territori occupati e violenze e omicidi di soldati e soldatesse presi prigionieri. Dal 21 Marzo sono segnalati spari sui civili che protestano nei centri controllati dai russi. In alcuni villaggi vicini alle zone dei combattimenti i sindaci ucraini invitano la popolazione a lasciare, se possono, le loro case per cercare rifugio in centri più protetti.
La No-fly-zone
L’Ucraina ha chiesto ripetutamente che venisse istituita sui loro cieli una no-fly-zone. “No-fly-zone” significa che nessun aereo può sorvolare l’area. Se un velivolo si introducesse in questa zona verrebbe abbattuto quanto prima. Zelensky ha quindi chiesto alla NATO di istituirla per i cieli ucraini, ma ciò avrebbe significato per la NATO l’invio dei propri velivoli a protezione dello spazio aereo e quindi un contatto armato diretto con le forze russe. Questa azione sarebbe un’aperta azione di guerra fra la NATO e la Russia che coinvolgerebbe direttamente tutti i paesi dell’Alleanza Atlantica. Per tale motivo, la NATO ha sempre rifiutato di garantire una no-fly-zone sull’Ucraina la quale per questo rimane con protezioni limitate da tutti gli attacchi provenienti dal cielo. Di contrario il 17 Marzo la Russia ha imposto una no-fly-zone sopra le regioni del Donbass.
Le centrali nucleari
A mettere in allarme sono oltretutto i combattimenti vicino alle centrali nucleari presenti nel paese. Qui gli eventi in successione sono due: perdere/prendere il controllo della struttura evitando che vengano sparati colpi nelle vicinanze, quindi mantenere le strutture in funzionamento e in sicurezza. Si notano diverse difficoltà che hanno colpito la centrale di Chernobyl (catturata dai russi già il 24 Febbraio), fra mancanze di corrente elettrica e il non rinnovamento del personale tecnico che ha lavorato interrottamente dall’inizio dell’invasione; in ogni caso la AIEA, Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, sta supervisionando costantemente la situazione. Il 21 Marzo è finalmente stato registrata la sostituzione di diversi dipendenti turnisti della centrale; tuttavia l’agenzia statale competente, la SAEZM, riporta come dei soldati russi abbiano saccheggiato il centro di analisi e portato via alcuni campioni altamente radioattivi. L’altra centrale sotto la lente di ingrandimento è quella di Zaporizhzhia che è passata in mano russa il 6 Marzo. Qui è stato segnalato un bombardamento che ha coinvolto alcune sue strutture e delle sparatorie nei pressi (il 4 Marzo). Lo stesso giorno un cordone di civili si era posizionato di fronte ai cancelli a protezione. Anche in questo caso la AIEA ha consigliato la calma: ogni tipo di perdita radioattiva verrebbe individuata immediatamente.
I profughi
Prima dell’invasione in Ucraina vi erano circa 42 milioni di abitanti. Il 22 Marzo la UNHCR riporta che il numero di cittadini che hanno lasciato il paese ammonta a 3 milioni e mezzo e sono destinati ad aumentare ancora: Amnesty International stima che 150.000 persone lascino il paese ogni giorno, per lo più donne, bambine e anziani (ricordiamo che gli uomini non possono andarsene a causa della legge marziale). Il 20 Marzo l’ONU stima che i rifugiati totali, interni più emigrati, siano circa 10 milioni. In questo scenario si noti come sia più difficile passare il confine per coloro precedentemente immigrati in Ucraina da paesi africani o asiatici o che siano parte delle minoranze LGBTQ+. Coloro che invece non hanno lasciato le città si trovano bloccati sotto i bombardamenti. In alcuni centri vengono organizzati “corridoi umanitari”, cioè percorsi dove mezzi e persone possono lasciare le città in sicurezza. Ciò a cui abbiamo assistito (emblematico è il caso di Mariupol), è il raggiungimento di un cessate-il-fuoco fra ucraini e russi per permettere di far uscire i civili ed entrare beni di prima necessità. Purtroppo il più delle volte queste tregue non durano e in molti trovano la morte proprio mentre stanno cercando di allontanarsi dal campo di battaglia. Gli ucraini che lasciano il paese stanno trovando largo sostegno da tutti gli stati della comunità europea, prima fra tutti la Polonia che in data 12 Marzo, a due settimane dell’inizio della guerra, già ospitava più di un milione di persone. Comunque, l’Unione Europea ha previsto un visto rinnovabile di un anno per tutti i rifugiati ucraini.
La risposta Europea
Nell’intervenire a difesa della popolazione Ucraina la comunità europea si è rivelata piuttosto rapida e unita; cosa non scontata date le varie anime e culture che compongono il nostro continente. Già il 1 Marzo all’europarlamento è stata approvata la condanna dello stato russo da un insieme di 637 eurodeputati, un enorme maggioranza, alla quale sono seguite le prime pesanti sanzioni. Le sanzioni sono misure economiche mirate a colpire aziende, gruppi o persone. Tali misure intervengono soprattutto sui beni in entrata o in uscita rispetto al paese preso di mira, oppure colpiscono la liquidità di personaggi e compagnie congelandone i conti bancari o requisendogli beni mobili e immobili (ville e yacht per esempio). I vari stati si sono mossi anche singolarmente a supporto dell’Ucraina inviando aiuti militari o beni di primo soccorso. Si notino anche altri atteggiamenti che prima dell’invasione sarebbero stati ritenuti impossibili: la non neutralità della Svizzera che il 28 Febbraio si è allineata alle sanzioni decise dall’Unione Europea; la decisione della Germania di aumentare il suo investimento interno pari al 2% di PIL da destinare all’esercito (dopo decenni di lavoro al disarmo); Finlandia e Svezia che valutano di entrare nella NATO; la richiesta di entrare nell’Unione Europea di Moldavia e Georgia. Altro provvedimento è stato bloccare, in data 4 Marzo, le trasmissioni di media russi, come Russia Today e Sputnik (che erano tradotti e diffusi in più lingue) i quali non possono più essere raggiunti in Europa. Tale misura è nata per evitare la propaganda del governo russo che già da molti anni andava diffondendo disinformazione all’interno delle istituzioni europee. Dall’inizio del conflitto, è stato limitato lo spazio aereo di diverse compagnie nazionali: molti voli europei ora non possono atterrare né transitare nei territori di Russia e Bielorussia, mentre le compagnie di questi due stati non possono più raggiungere destinazioni europee. Questo provvedimento, portato avanti indipendentemente da singole aziende o da governi nazionali, segna un limite agli spostamenti da-e-verso la Russia e un ridisegno di tutte le tratte che prima transitavano sopra quelle aree (ora un aereo che parte da Londra per arrivare in India avrà circa un’ora di viaggio in più). Ciò significa un sostanziale aumento di carburante che si rispecchierà nell’aumento dei prezzi di biglietti verso privati e nell’aumento del costo di materie prime avio-trasportate. La Gran Bretagna, che non fa più parte dell’Unione Europea, si è mossa con misure simili a quelle prese dalla comunità: con sanzioni sia generali che mirate a singole aziende e oligarchi (molto si è parlato in tal senso delle misure prese verso l’oligarca russo Abramovich, proprietario della squadra di calcio Chelsea).
Il Gas
Queste non sono le prime sanzioni che l’Europa indirizza alla Russia. Tuttavia non ha mai potuto o voluto prendere misure troppo pesanti perché vi sono legami economici e di dipendenza che legano l’Ovest con l’Est, in particolare per quanto concerne l’approvvigionamento di varie materie prime, prime fra tutti petrolio, carbone e gas. È da notare come gli stati europei siano allacciati in modo diverso alle dipendenze dei combustibili fossili provenienti dalla Russia. Per esempio, Macedonia del Nord, Bosnia e Erzegovina, Moldavia sono fra le nazioni che dipendono quasi esclusivamente da Mosca per la fornitura di materiale per l’energia, mentre il nostro paese importa il 46% del proprio fabbisogno. La scelta di dipendere così tanto dalle importazioni russe è dovuta in particolare all’idea di avvicinare il mercato europeo a quello di Mosca in modo che entrambe le parti ne abbiano benefici, auspicando dunque un successivo miglioramento generale dei rapporti e del benessere dei cittadini. Promotrice di questa idea è stata la ex-cancelliera tedesca Angela Merkel. Inoltre tale ottica si andava a inserire ottimamente con una presa di coscienza green sempre più diffusa nel mondo occidentale desideroso di smarcarsi progressivamente dai combustibili fossili: prima di tutto evitando di estrarli in terra europea. È uno dei motivi per cui l’Italia possiede delle riserve di gas proprie ma ne estrae solo per pari al 5% del suo uso interno. E si noti che nel breve periodo non è possibile estrarne di più poiché le infrastrutture proposte non possono gestire un aumento del carico. Le alternative quindi sono rivolgersi ad altri paesi fornitori, fra cui Azerbaijan, Algeria, Qatar, Norvegia, USA, Canada, i quali però non sono esclusi dalle dinamiche mondiali di approvvigionamento. Per esempio, l’8 Marzo gli USA hanno deciso di interrompere tutte le importazioni di combustibili fossili dalla Russia; dunque non è affatto scontato che avranno gas da vendere in Europa. Tuttavia si ricordi la legge fondamentale del mercato: se la richiesta aumenta allora il prezzo sale e chi offre il prodotto sarà incentivato a vendere dove può ricavare di più. In questo scenario il prezzo aumenta in Europa e i fornitori stranieri saranno incentivati a vendere lì il loro prodotto, spesso a discapito di altri paesi che hanno bisogno di quelle stesse materie ma non possono competere con i prezzi occidentali. Il rischio è che i paesi più poveri del mondo si troveranno in difficoltà per la mancanza di gas, petrolio e carbone dirottati sui mercati nostrani.
L’economia
Le sanzioni imposte da Europa, America ma anche Giappone, Australia, sono mirate a colpire e indebolire l’economia russa, la quale neppure prima della guerra era una delle più forti del mondo (si stima posizionata al 11° posto). Ricordiamo che la nazione dipende fortemente dalle esportazioni di materie prime. È stato inoltre notato l’alto livello di corruzione ai vertici: gli oligarchi al potere infatti investono i loro liquidi soprattutto all’estero e non sul mercato interno (non è da meravigliarsi visti gli yacht e le ville in loro possesso che valgano milioni). Prima dell’invasione la Russia poteva vantare riserve per 638 miliardi di cui, però, dai 315 ai 463 miliardi (le stime discordano) in capitali posseduti all’estero e denominati in dollaro e che ora non possono più essere attinti dai lori possessori. Ciò ha portato alla svalutazione del rublo e quindi all’inflazione, cioè un aumento dei prezzi; così ora uno stesso prodotto costerà di più ai cittadini russi rispetto inizio Febbraio. Alcune banche russe sono state escluse dal Sistema Swift, cioè quel sistema di messaggistica che serve per comunicare e trasferire denaro fra diversi enti finanziari. La Russia ha cercato di intervenire impedendo i pagamenti in valuta estera e cercando di convincere investitori e creditori stranieri ad accettare i pagamenti in rubli (che valgono sempre meno), nonché mettendo un tetto al contante disponibile ai prelievi per i cittadini. Il 23 Marzo Putin ha ordinato che tutti i pagamenti per i combustibili fossili dovranno essere effettuati in rubli; tuttavia non si sa se ciò sarà così eseguito dai compratori europei. La borsa di Mosca è stata chiusa quasi un mese, fino al 24 Marzo, per evitarne un possibile crollo a causa delle prime importanti sanzioni. Gli indici finanziari internazionali decretano i titoli di credito come Junk (spazzatura), ciò significa che il debito del paese è «altamente vulnerabile al non-pagamento», e ricordiamo che il mancato pagamento di debiti internazionali metterebbero la nazione nella posizione di default (cosa già successa in Russia nel 1998). Un default significa il fallimento dello Stato: le entrate non bastano a coprire le uscite; il governo non riesce a garantire i pagamenti dei propri debiti e potrebbe trovarsi impossibilitato a pagare gli stipendi ai dipendenti statali e, di conseguenza, aumentare le tasse per far fronte alla crisi. Tale eventualità è considerata ufficialmente «non-improbabile» per l’attuale situazione russa, poiché la nazione possiede in effetti grandi capitali ma questi sono stati congelati. Le sanzioni europee sanciscono pure la sospensione dei rapporti con sette banche russe, mentre servizi di pagamento come Visa, Mastercard e PayPal sospendono le loro attività in Russia. Contemporaneamente grandi marchi di moda, generi alimentari, automobilistiche, ecc… lasciano la nazione (il che significa ulteriori perdite di import-export e disoccupazione).
Il mercato è connesso a livello mondiale. Le sanzioni colpiscono Russia e Bielorussia ma indirettamente anche tutti quegli attori esterni che hanno rapporti commerciali e diplomatici con queste nazioni. Tuttavia, diversi analisti ritengono che le misure colpiranno in maniera lieve l’economia internazionale poiché preparata all’evoluzione in corso: le sanzioni colpiranno la Federazione Russa soprattutto sul lungo periodo, nel frattempo gli investitori, le banche, i mercati (che non sono entità immaginarie e statuarie ma processi fluidi composti da persone) avranno il tempo per strutturare nuove strategie economiche.
A livello economico non si dimentichi la situazione Ucraina che in questo momento vede la maggior parte delle sue infrastrutture ferme e gran parte delle sue città colpite da bombardamenti. L’economia interna è stata frenata e già si prevedono costi ingenti per la ricostruzione; sebbene anche in questo caso diverse nazioni europee stiano già garantendo il loro sostegno per il futuro.
Un’altra nota amara che si inserisce in questo conflitto è il blocco delle esportazioni di materie prime dai paesi del CSI mentre in Ucraina la semina e la raccolta di generi agro-alimentari dovrebbe considerarsi non praticabile per il 2022. L’Unione Europea sarà in difficoltà nel supplire l’importazione di grano, semi di girasole, zucchero, ma il vero contraccolpo lo subiranno alcuni paesi dell’Africa e dell’Asia che ogni anno importano grandi quantità di questi prodotti dai paesi slavi. Ciò potrebbe costituire una nuova crisi alimentare in alcune zone di questi continenti.
E la NATO?
La NATO, fondata nel 1949, è un’organizzazione internazionale a scopo difensivo che coinvolge 30 stati (l’Italia è uno dei paesi fondatori). Per accedervi occorre essere un paese europeo e avere una capacità militare minima, inoltre deve esserci il benestare degli altri paesi membri. Per esempio, la Grecia aveva impedito l’entrata della Repubblica Macedonia del Nord, e la Turchia bloccato l’entrata di Cipro. La NATO è uno strumento utile a quegli stati sprovvisti di una forza militare competitiva e che temono di essere invasi facilmente da potenze straniere. C’è chi ritiene che parte della responsabilità della decisione del governo russo sia ascrivibile anche (o addirittura solo) alla possibile presenza di truppe NATO a pochi chilometri dal confine russo. Tuttavia, la presa di posizione russa di occupare uno stato vicino in modo da renderlo “neutrale” e non soggetto all’influenza NATO è un atto aggressivo non giustificabile. Senza contare che l’occupazione del suddetto paese non lo rende “neutrale” ma soggetto in quel caso all’influenza russa. È certamente il caso della Bielorussia dove il presidente Lukashenko ha concesso il pieno appoggio a Putin a cui evidenzia la sua fedeltà, ma è anche il caso di Kazakistan, Azerbaigian, Kyrgyzstan che rientrano nell’associazione di stati CSI. Infatti, la decisione del 10 marzo di chiudere le esportazioni di grano, zucchero, orzo e cereali è presa di concerto fra queste nazioni che non possono quindi essere insigniti di una totale neutralità. Senza contare che se l’Ucraina è stata invasa sotto la causale della minaccia NATO, niente potrebbe evitare che la stessa sorte tocchi alla Finlandia o alla Georgia (già occupata militarmente dai russi nel 2008), e questo è uno dei motivi per cui proprio questi due stati, assieme a Svezia e Moldavia, stanno prendendo in considerazione di unirsi all’Alleanza.
La neutralità dell’Ucraina, inoltre, era già stata prevista con il Momerandum di Budapest del 1994. Quell’anno Stati Uniti, Inghilterra, Russia e Ucraina si incontrarono per disporre dell’arsenale atomico in terra Ucraina: quest’ultima avrebbe restituito alla Federazione Russa tutte le armi presenti nel suo territorio in cambio di una neutralità riconosciuta a livello internazionale. Se è vero che in Ucraina si iniziò a parlare dell’entrata della NATO già all’inizio del 2000 è anche vero che nel 2009 America e Russia sottoscrissero congiuntamente il rispetto del Memorandum durante il loro incontro sul progressivo disarmo nucleare di entrambi (START Treaty). Non è stato l’unico scambio pacifico fra NATO e Federazione Russa in quanto cooperazioni ed esercitazioni congiunte militari sarebbero avvenute fin dal 1995 quando prese il via un programma di dialogo e cooperazione che incluse sia nazioni occidentali non facenti parte della NATO che stati ex-URSS.
In ogni caso, l’idea della NATO come responsabile ultima delle paure del governo russo è solo uno dei tasselli del conflitto, il quale però è stato pesantemente caricato dalla propaganda in funzione anti-occidentale o filo-russa: immagine che rimbalza nelle discussioni nostrane spesso proprio in prospettive anti-americane ma dimenticandosi che noi siamo parte attiva dell’Alleanza Atlantica. Questa adesione potrebbe avere portato un beneficio fondamentale che pare non venire considerato: non essere mai stati invasi da un altro paese dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi, preservando così democrazia e stabilità. I paesi dell’Europa dell’Est che si sono uniti all’Alleanza (volontariamente, non perché obbligati) stavano sicuramente ricercando gli stessi benefici che già godevano gli stati dell’Ovest. Allontanarsi dall’influenza russa alla caduta dell’Unione Sovietica deve essere sembrata l’opzione migliore in un’ottica di prosperità e sicurezza dopo anni di controllo totalitario. Se gli ucraini resistono così fortemente all’invasione è anche perché ambiscono a quella libertà di cui godono i paesi occidentali e che preservano proprio perché protetti dal sistema NATO, ed è anche lo stesso motivo per cui molto russi lasciano il proprio paese. In questo scenario la guerra non può essere considerata come una battaglia anacronistica fra America e Russia ma come una valutazione ideologica degli ucraini di avvicinarsi alla sfera europea con tutti i vantaggi che ciò porta, perché dall’altra parte la proposta russa è la presenza imperitura di uno stato di controllo dove qualsiasi libertà di espressione, parole e opinione viene bandita e gli oppositori bollati come «traditori e feccia».
E il resto del mondo?
L’Assemblea Generale dell’ONU che raccoglie rappresentanti di tutti gli stati del mondo ha votato il 2 Marzo (e il 24 Marzo) a favore della risoluzione contro la Russia. Andando al dettaglio: le nazioni a condannare la Federazione Russia sono 141, più 35 astenute, e infine 5 che marcano il loro sostegno a Mosca. Quest’ultime sono la Federazione Russa, la Bielorussia, la Corea del Nord, l’Eritrea, la Siria. Fra gli stati che si sono astenuti vi sono molte nazioni africane, queste hanno avuto negli anni passati supporto e aiuti proprio dalla Federazione Russa. Nel gruppo degli astenuti c’è anche la grande incognita: la Cina. Questa nazione si è dimostrata fin da subito ambigua nella sua condanna, affermando di rispettare la sovranità dell’Ucraina ma senza mai usare la parola “guerra” o “invasione” nelle dichiarazioni pubbliche o nell’informazione giornalistica. Potrebbe essere il mediatore migliore o potrebbe unirsi alla Russia in avversità al potere occidentale. Del resto gli intrecci fra Russia e Cina sarebbero consolidati sin dall’invasione della Crimea quando lo stato asiatico entrò in soccorso del vicino per fronteggiare le sanzioni economiche all’epoca imposte dagli stati occidentali. Sarebbe proprio l’antagonismo che i due regimi nutrono verso le democrazie occidentali uno dei motivi che ha portato a un’alleanza non formale fra le due potenze. Uno dei campanelli d’allarme a supporre l’intesa fra Mosca e Pechino è stato l’incontro del 10 febbraio fra Putin e il presidente cinese Xi Jiping. In quel frangente Xi Jiping avrebbe chiesto a Putin di aspettare la fine delle olimpiadi prima di iniziare l’invasione. Non è possibile provare se ciò sia vero o no, ciononostante è possibile sottolineare la posizione di debolezza nella quale il presidente russo si trovi nei confronti della controparte cinese: ora più che mai ha bisogno del suo sostegno, o almeno che non si allinei alle sanzioni occidentali. In ogni caso, nel commercio interconnesso contemporaneo mondiale, la Cina potrebbe rimetterci esattamente alla pari di tutti gli altri stati colpiti indirettamente dalle sanzioni. Per questo la sua posizione e le sue dichiarazioni rimangono piuttosto ambigue (come ancora nell’incontro con il presidente americano Biden del 18 Marzo).
Rimanendo nella condanna dell’ONU, è interessante notare anche posizioni più particolari di alcuni paesi. Gli Emirati Arabi Uniti, per esempio, hanno condannato l’invasione ma lo stesso giorno bloccavano il visto ai cittadini ucraini. La Serbia ha votato contro la Federazione Russa, ma questa nazione, spesso sostenuta proprio da Mosca, ha visto il 7 Marzo una partecipata manifestazione a Sarajevo pro-Russia.
La cultura e lo sport
In seguito all’invasione della Ucraina il mondo culturale e sportivo si è attivato in risposta a questa esercitazione di forza. Il 25 Febbraio l’organizzazione del festival musicale Eurovision esclude la partecipazione di artisti russi dalla competizione. Il mondo della Formula 1 decide di cancellare il Gran Premio di Russia previsto per il 23-25 Settembre, mentre il 5 Marzo la scuderia Haas licenzia il suo pilota russo Nikita Mazepin e cessa il suo contratto con lo sponsor russo Uralkali. Sempre il 25 Febbraio la UEFA decide di spostare la finale di Champions League, prevista per il 28 Maggio, da San Pietroburgo a Parigi; vengono anche spostate di location tutte le partite precedentemente previste in suolo russo e ucraino. Ancora, il 25 Febbraio la Russia viene sospesa dal Consiglio d’Europa, che è un’istituzione nata nel 1949 col fine di promuovere e diffondere la democrazia e i diritti umani. Il 15 Marzo la Russia notifica il proprio ritiro dal Consiglio ritenendolo uno strumento politico ostile nei suoi confronti. Il 26 Febbraio anche la WTCR – FIA World Touring Car Cup, decide di sospendere le loro gare automobilistiche previste nel territorio russo. Il 1 Marzo la Scala di Milano cessa la sua collaborazione col direttore d’orchestra Valery Gergiev poiché costui non prende le distanze dalla decisione russa di invadere l’Ucraina. Sempre il 1 Marzo FIFA e UEFA sospendono tutte le squadre russe dalle competizioni internazionali, compresi i mondiali del Qatar (le altre squadre del girone avevano già reso noto che si sarebbero rifiutate di giocare contro la nazionale russa). Sempre il 1 Marzo anche l’Euroleague Basketball ha deciso per la sospensione delle squadre di pallacanestro della Federazione Russa. Il 2 Marzo si rende noto che le finali della Coppa del mondo di Sci di fondo vengono annullate, avrebbero dovuto tenersi a Tjumen in Russia dal 18 al 20 Marzo. Il 3 Marzo il Comitato Paralimpico Internazionale ha escluso gli atleti di Russia e Bielorussia dalle paralimpiadi invernali di Pechino. Come nel caso dei mondiali di calcio, molti atleti già dichiaravano di rifiutarsi di gareggiare contro gli atleti dei paesi aggressori. Il 5 Marzo la federazione locale russa si auto-esclude dai Mondiali di Volley 2022. Il 6 Marzo la Federazione Internazionale di Motociclismo decide per l’esclusione di atleti russi e bielorussi, tale allontanamento è applicato anche ad altre figure ufficiali interne all’organizzazione della FIM. Sempre il 6 Marzo Tugan Sokhiev, direttore del teatro Bolshoi di Mosca, annuncia le sue dimissioni in protesta alle decisioni del suo governo, seguendo la decisione del coreografo Alexei Ratmansky. Il giorno dopo, per lo stesso teatro, anche il primo ballerino Jacopo Tissi si dimette. L’8 Marzo la Federazione Internazionale degli Shooting Sport decidono per il bando degli atleti russi e bielorussi da qualsiasi competizione ufficiale. Ad Agosto sarebbero dovuto essere organizzati gli Europei di Tiro a Segno e Tiro al Volo a Mosca ma verranno spostati altrove. Il 10 Marzo la Russia viene esclusa dalle qualificazioni per la Coppa del Mondo di Rugby. Il 12 Marzo viene decisa l’esclusione della Russia dalla World League 2022 per la pallanuoto femminile. Il 14 Marzo Russia e Bielorussia vengono escluse dagli eventi tennistici di Coppa Davis & Billie Jean King Cup 2022. Il 17 Marzo Olga Smirnova, prima ballerina del teatro Bolshoi di Mosca, decide di lasciare il paese. Il 17 Marzo viene sospesa la missione su Marte ExoMars, pianificata di concerto dall’agenzia spaziale europea, ESA, e quella russa, Roscosmos. Altri sport potrebbero avere deciso di non bandire atleti russi o bielorussi ma di farli gareggiare senza bandiera e inno, come nel Badminton, Taekwondo, Scacchi, nonché negli E-Sport.
Queste prese di posizioni non sono troppo dissimili dalle sanzioni imposte: il mondo sportivo e culturale prende quindi una posizione, sottolineando la sua contrarietà all’azione bellica perpetuata dai paesi aggressori. Comunque, le motivazioni possono in realtà essere diverse: si vuole portare avanti un sostegno reale verso l’Ucraina, la volontà di opporsi effettivamente all’atteggiamento russo, il tentativo di spingere per la pace a tutti i costi. A volte sono le associazioni sportive o gli organizzatori degli eventi che vietano la partecipazione ad atleti russi, altre volte sono gli avversari che si rifiutano di competere se sono posti contro una squadra russa. In ogni caso ciò che risulta è la Russia isolata in un modo non dissimile da quello avvenuto con la Corea del Nord. La mancanza di eventi internazionali nel suolo russo (e bielorusso) marcano anche una mancanza di possibili guadagni che queste attività portano con sé: piloti, sostenitori, fan e turisti non parteciperanno e gli sponsor ritirano i loro sostegni ad atleti e squadre. È un danno di immagine e anche un danno economico.
Si presti attenzione, però, che il mancato sostegno a eventi sportivi o culturali russi sono soprattutto un simbolo per colpire il governo russo, ma non sono, e non devono essere, un mezzo per screditare il suo popolo. La volontà dell’università Bicocca di rinviare il corso su Dostoevskij di Paolo Nori (decisione poi ripensata ma ormai era troppo tardi) si va a inserire in una linea confusa dove “bisogna” attaccare la Russia in tutte le sue espressioni. Ma forse non sarebbe una misura davvero legittima in quanto lo scrittore Dostoevskij, come il compositore Sostakovic, o l’inventore Termen, non sono ascrivibili alle azioni perpetuate dall’attuale governo. È quindi necessario scindere la cultura e la politica e in nessun modo cadere nella tentazione del razzismo culturale che certamente non è una risposta sensata agli avvenimenti in corso.
La religione
Diversi capi religiosi hanno esternato il loro posizionamento rispetto alla guerra. Il Dalai-Lama il 28 Febbraio aveva espresso la sua voce per la pace ritenendo la guerra una strada obsoleta del 20° secolo e mettendo al centro, piuttosto, il dialogo. La figura a noi più vicina, Papa Francesco, condanna quotidianamente il conflitto e invoca la pace a tutte le parti, le sue parole più riprese sono probabilmente quelle del 13 Marzo: «In nome di Dio fermate questo massacro»; inoltre il 16 Marzo ha intrattenuto un colloquio telefonico con il capo della chiesa ortodossa di Russia, il patriarca di Mosca Kirill I. Quest’ultimo, in realtà, è allineato alle decisioni del governo russo, dicendosi (sermone del 6 Marzo) favorevole all’invasione dell’Ucraina in quanto il fine è di eradicare il depravatismo che degenera nella nazione portato dai paesi occidentali. Il patriarca di Mosca, seppur pregando che la pace giunga al più presto, mostra la sua solidarietà soprattutto ai credenti che vivono nel Donbass e collega l’azione politica del suo governo con la salvezza dell’umanità che è minacciata dal peccato di omosessualità. Questa ostilità verso l’Ucraina, però, si inserisce come un problema per le diocesi ucraine poiché è in atto uno scisma interno con chiese allineate al patriarca di Mosca, Kirill I, e quelle indipendenti dai dettami russi (un’autonomia delle parrocchie ucraine decisa e acquisita fin dal 2014 a causa dell’invasione russa della Crimea). La guerra contribuisce a marcare questa separazione fra la fede e potrebbe far spostare molti fedeli ucraini seguaci della chiesa di Mosca verso le diocesi “autonome”, data anche la condanna diretta lanciata proprio dal capo della chiesa russa ortodossa nei loro confronti. Questo smarcarsi dal patriarca di Mosca sta coinvolgendo pure altre parrocchie ortodosse a livello internazionale, decise a sostenere la pace senza se e senza ma. Il 15 Marzo è pubblicato un messaggio dal titolo: Una dichiarazione dei teologi ortodossi sulla dottrina del “Russkij mir (mondo russo)” firmato da 342 fra teologi e ortodossi che sottolinea la distanza dalle dichiarazioni del patriarca di Mosca e [cit]: «Condanniamo inoltre come non ortodossi e respingiamo ogni insegnamento che demonizzi o incoraggi la demonizzazione di coloro che lo stato o la società considerano “altri”, compresi gli stranieri, i dissidenti politici e religiosi e altre minoranze sociali stigmatizzate».
La propaganda
Ogni forma governativa nel mondo, dal più piccolo comune al più grande impero, cerca di massimizzare la comunicazione dei propri successi e minimizzare o tacere perdite e sconfitte. La propaganda si inserisce in questo contesto. Soprattutto durante una guerra il controllo delle informazioni è attuato per diversi scopi: colpire e demonizzare il nemico, elogiare i soldati, sollevare il morale dei propri cittadini e alleati. In questo fiume comunicativo, però, saranno presenti sia esagerazioni dei fatti che falsità, sempre con l’obbiettivo di aumentare il consenso e denigrare l’avversario. La propaganda è sia interna che esterna e spesso in tempo di guerra viene indirizzata e diffusa anche fra file avversarie (per un esempio casalingo si pensi al Volantinaggio su Vienna di dannunziana memoria del 1918).
Informazione in Ucraina e Russia
Alcune delle informazioni che giungono alle nostre orecchie partono dai governi di Russia o Ucraina e spesso non sono comprovate da valutazioni esterne che possano sancirne la veridicità. L’Ucraina si muove soprattutto in una logica di massimizzare le vittorie militari e sottolineare le perdite avversarie. Non solo, sono evidenziate anche le proprie perdite di civili. In questo modo viene puntata l’attenzione sulla brutalità delle azioni russe che portano alla morte di persone anche lontane dalla linea del fronte (per esempio con gli assedi delle città a cui seguono mancanze di beni di prima di necessità ed energia elettrica).
La Russia, invece, cerca di minimizzare le proprie perdite di uomini e mezzi e tenta di far passare il messaggio che non hanno nemmeno invaso il paese. Per fare ciò il governo di Mosca chiama la guerra: «operazione militare speciale», e marca la volontà di «denazificare» l’Ucraina e intervenire a difesa delle due neo-nate repubbliche del Donbass. Nello stesso momento, il governo russo attiva una politica sull’informazione interna mettendo al bando tutti i media che si oppongono alla macchina bellica, tanto che chi nomina anche solo la parola “guerra” rischia fino a 15 anni di reclusione. Contemporaneamente i giornali di stato eclissano sulla vicenda mentre quelli indipendenti lasciano il paese. Vengono inoltre chiusi tutti i media stranieri in quanto divulgatori di disinformazione: dal 14 Marzo Twitter, Facebook, Instagram non sono più raggiungibili dal territorio russo. Durante il conflitto, inoltre, si fanno emergere tutte le contromisure militari e violente dell’Ucraina verso la Russia e verso le repubbliche del Donbass. Quindi, la comunicazione russa si muove in modo differito fra le informazioni da non far trapelare ai propri cittadini e una serie di considerazioni che vengono diffuse per le agenzie governative straniere col fine di evidenziare una situazione di risposta vittimistica e difensiva. In altre parole: i cittadini russi non devono sapere che il loro governo è un aggressore che sta invadendo un paese considerato amico, mentre i paesi stranieri devono sapere che lo sta facendo per difendere i deboli e che non devono intromettersi o ne pagheranno le conseguenze.
Attivismo
Per avere notizie di prima mano sul conflitto le prime testimonianze che ci arrivano provengono da foto e video caricate da cittadini ignoti sulle pagine Social. Sono loro che fin dall’inizio dell’invasione hanno trasmesso le immagini di carri armati russi, soldati ucraini e palazzi in fiamme, tutto materiale poi ripreso dai giornali nazionali. Giornalmente alcuni blogger, instagrammer e tik-toker aggiornano le loro pagine spesso mostrando la vita in città assediate da dentro i bunker. Questo è uno dei motivi per il quale la Federazione Russa ha deciso di limitare l’uso di alcuni Social all’interno del paese. Ciononostante, diversi cittadini russi erano già entrati in contatto con immagini e video riguardanti la guerra in Ucraina (ricordiamo che ucraino e russo sono lingue diverse ma, soprattutto nell’Ucraina dell’est e del sud, la maggior parte della popolazione usa più il secondo che non il primo). In diversi negozi russi vengono segnalate banconote con la scritta «no alla guerra». In numerose città russe si tengono proteste civili contro l’invasione ma queste mobilitazioni vengono silenziate in poco tempo. L’Ong russa per i diritti umani, Ovd-info, riporta (in data 24 Marzo) 15096 detenzioni di manifestanti dal 24 Febbraio, questi hanno protestato in circa 37 città fra cui Mosca, San Pietroburgo, Saratov, Ekaterinburg, per citarne alcune. Particolarmente noto è stato l’intervento nella TV di stato russa della giornalista Marina Ovsyannikova che il 14 Marzo, durante la diretta, ha mostrato un cartello contro la propaganda e lanciato alcuni slogan contro la guerra. Altri giornalisti, soprattutto quelli di reti indipendenti critiche da tempo verso l’operato del governo, stanno lasciando il paese.
I giornalisti che stanno operando nelle zone del conflitto sono un elemento importante delle informazioni che giungono fino a noi. Questa guerra è sicuramente quella meglio seguita e illustrata degli ultimi anni, sia data la vicinanza geografica, ma anche per la possibilità di trasmettere da-e-per il paese. Si noti infatti come solitamente durante un conflitto l’aggressore cerchi di bloccare qualsiasi comunicazione per evitare di dare un’immagine chiara degli eventi all’opinione pubblica coinvolta (è successo nel 2021 in Sudan e in Myanmar dove i rispettivi eserciti, assunto il controllo, hanno bloccato l’accesso internet alla popolazione). La figura del giornalista diventa quindi centrale perché invia notizie dirette dal fronte ed è a volte in grado di interagire con le parti coinvolte tentando di verificare le varie informazioni spesso diffuse dalle propagande. Anche a costo della vita: il 13 Marzo muore il reporter americano Brent Renaud colpito durante uno scontro a fuoco, il 14 Marzo viene bersagliato il team di Fox News, muoiono il cameraman americano Pierre Zakrzewski e la giornalista ucraina Oleksandra Kuvshynova; il 12 Marzo la giornalista ucraina Victoria Roshchyna viene arrestata dai servizi segreti russi mentre documentava le città occupate, viene rilasciata il 22 Marzo; non si sa niente dei due giornalisti ucraini Oleg Baturin e Serhiy Tsyhypa, entrambi scomparsi nelle città occupate di Kakhovka e Nova Kakhovka. Il 23 Marzo muore a Kiev la giornalista russa Oksana Baulina, del The Insider, colpita da un bombardamento.
Cyber front
In questa guerra assistiamo per la prima volta anche a un altro tipo di attacco legato all’informazione: le incursioni digitali. Veniamo a conoscenza soprattutto dell’attivismo virtuale operato sotto il nome di Anonymous, ma si tratta in realtà di vari individui o gruppi di hacker che lavorano nell’anonimato colpendo infrastrutture più o meno importanti vicine al controllo governativo. Gruppi di hacker son presenti in tutti e due gli schieramenti: i siti istituzionali ucraini erano già stati presi di mira prima dell’invasione a Gennaio e Febbraio, ma una volta iniziata la guerra diverse associazioni più o meno note di hacker hanno dichiarato la propria discesa in campo a fianco dell’Ucraina o della Russia. Le azioni che più emergono sono quelle che danno qualche problema alla Federazione Russa: già dal 24 Febbraio diversi siti governativi russi sono irraggiungibili (solo per qualche ora). Il 26 Febbraio sarebbe stato bucato il sito del ministero della difesa russo, che smentisce, con la sottrazione di diversi dati. Lo stesso giorno il collettivo Anonymous fa breccia nel palinsesto televisivo mandando a tutti i canali di stato un video a ripetizione con immagini della guerra in Ucraina. Il 28 febbraio i siti di compagnie petrolifere russe vengono resi inaccessibili e vengono attaccati anche i siti governativi della Bielorussia. Lo stesso giorno viene hackerata l’agenzia di stampa russa Tass: per qualche ora nella sua pagina principale è apparso un messaggio per la pace. In questi giorni Twitter e Meta cercano di fare pulizia di account che diffondono propaganda russa. Meta, inoltre, autorizza gli utenti a usare toni violenti e insulti quando si riferiscono alla Russia [forse non considerando questioni etiche e morali: il rischio è quello di incoraggiare il razzismo e indirizzarlo verso tutto il popolo russo; cosa assolutamente da evitare]nda. Proprio questo provvedimento ha dato la motivazione al Cremlino di chiudere questi Social nel suolo russo a partire dal 14 Marzo; decisione confermata il 21 Marzo dal tribunale di Mosca. Dal 4 Marzo Tik-Tok marca tutti i post che sono sponsorizzati e promossi dal Cremlino e il 6 Marzo sospende le live-stream dal territorio russo. Il 1 Marzo viene colpito lo yacht da 87 milioni di euro di Putin: sono modificati i dati della navigazione (direzione: Inferno) e il nome virtuale dell’imbarcazione è stato cambiato in un insulto verso il suo proprietario. Di contrario il 2 Marzo la Russia apre un sito contro le fake news: un altro modo per cercare di avere il controllo di tutte le informazioni in entrata e che si diffondono fra l’opinione pubblica. Un metodo che viene usato per evitare la censura è quello di lasciare recensioni su Tripadvisor o su Google Maps dove, invece di parlare di piatti e servizio, vengono postate immagini della guerra con descrizioni degli avvenimenti. Il 4 Marzo Anonymous diffonde i dati personali di migliaia di soldati russi assegnati in Ucraina. Non solo, durante la settimana invia a milioni di telefoni di privati continui messaggi SMS con notizie sull’invasione chiedendo che il popolo intervenga per la pace. Il 7 Marzo è violata di nuovo la TV di stato russa, come in precedenza vengono trasmessi filmati della guerra. Il 14 Marzo vengono colpite le stampanti governative e militari che stampano in automatico: «Questa non è la tua guerra. Questa è la guerra del tuo governo.» Durante il conflitto anche alcune celebrità hanno dimostrato gesti di solidarietà verso l’Ucraina tramite la tecnologia: Elon Musk ha messo a disposizione il suo sistema di connessione Internet satellitare, Starlink, che riesce a far arrivare la banda ultra-larga a tutto il paese; mentre il 21 Marzo il calciatore David Beckham ha affidato le sue pagine Social a una dottoressa dell’ospedale di Kharkiv in modo da tenere aggiornati tutti i suoi follower su questa struttura sanitaria vicino al fronte della guerra.
Disinformazione
Come detto sopra, gli stati in guerra utilizzano la propaganda per evidenziare le vittorie e per minimizzare le sconfitte. Tuttavia, la comunicazione governativa cerca anche di diffondere molte notizie false, sempre nel tentativo di migliorare la propria immagine o peggiorare quella del nemico agli occhi dei propri cittadini o dei governi stranieri, nonché di creare confusione e divisione fra l’opinione pubblica internazionale. Durante questa guerra lo si è visto fin dall’inizio quando Putin ha dichiarato l’intervento russo come necessario per salvare le repubbliche del Donbass dal genocidio perpetuato dagli ucraini. Il termine “genocidio” si riferisce a una sistematica e totale distruzione di un gruppo etnico, religioso o razziale, mentre ciò che si consumava nel Donbass da otto anni era un conflitto fra tre territori (Ucraina, Donetsk e Lugansk). Putin ha dichiarato la sua operazione finalizzata a «denazificare» il paese, il quale è invece retto da un governo democratico eletto con una regolare elezione. Nel ciclone della disinformazione vi sono anche i bombardamenti che riguardano i civili e che la Russia continua a negare rispondendo invece che siano colpa proprio degli ucraini. Frase famosa è diventata quella del ministro degli esteri russo Lavrov che all’incontro di Antalya del 10 Marzo ha dichiarato che «la Russia non ha attaccato l’Ucraina». Il ché non combacia con le foto dei bombardamenti. Come quello del 9 Marzo, dove sono stati colpiti i reparti di pediatria e maternità dell’ospedale di Mariupol, e che le agenzie governative russe accusano di falsità con attori e scenografie preparate. Una delle notizie più circolate è quella della presenza di laboratori di ricerca in terra Ucraina con i diplomatici russi che mettono tutti in guardia: ritengono che qui vengano preparati agenti patogeni che potrebbero essere poi diffusi nel mondo. Di ciò, però, abbiamo solo la loro parola senza nessuna prova a sostegno di tale asserzione. Altra notizia che era stata fatta circolare parecchio dalla Russia (e dalla Cina) all’inizio dell’invasione era la fuga del presidente ucraino Zelensky, il quale invece ha dato prova di essere sempre stato al suo posto a Kiev. La disinformazione ucraina invece interviene sui numeri: probabilmente esagerando il numero di mezzi nemici distrutti e soldati russi uccisi e catturati.
Razzismo
Questo conflitto sta facendo emergere posizioni ideologiche che sfociano in attacchi contro le parti in causa. A volte si tratta di atteggiamenti violenti perpetuati da civili sconosciuti, altre volte da entità più o meno autoritarie che esprimono decisioni senz’altro discutibili. Emergono quindi degli episodi che sfilano sulla zona grigia che c’è fra accusare il governo russo e insultare la sua popolazione. In Georgia, una delle mete di destinazione degli esuli russi, starebbero aumentando i casi di razzismo verso i russi, visti come invasori ancora dal conflitto che ha riguardato i due paesi nel 2008 (guerra in Ossezia del Sud con il paese invaso dalla Russia in aiuto delle repubbliche autoproclamate di Ossezia e Abcasia). In Irlanda un camionista sfonda il cancello dell’ambasciata russa a Dublino e in Italia ignoti lanciano bombe carta contro l’ambasciata bielorussa. È invece un falso il caso di rifugiati ucraini che picchiano un russo in Germania, si teme sia una di quelle notizie preparate dalla Russia per ammonire gli europei dei profughi in arrivo descrivendoli come violenti. Oltre al Razzismo perpetuato verso le persone russe fuori dai confini, assistiamo anche a una repressione interna. Il 16 Marzo, in un comunicato diretto ai propri connazionali, il presidente Putin ha parlato delle fughe dei cittadini dal paese definendoli come «traditori» ma ritenendo così la nazione purificata dalla loro presenza, in più saranno previste ritorsioni per tutti gli oppositori e gli attivisti che negli ultimi anni hanno contestato il governo. Non si tratta solo di giustificare la repressione operata dalle forze di polizia ma si mettono anche i russi contro altri russi: «ogni russo deve essere capace di distinguere fra i veri patrioti e la feccia, e semplicemente sputare quest’ultimi via come un moscerino che è accidentalmente volato in bocca». Dall’altra parte anche nel sentimento ucraino sta crescendo un’insofferenza e un odio verso non solo il presidente russo ma anche verso il suo popolo, accusato di non fare nulla per fermare la guerra voluta dal loro governo (la frustrazione arriva all’estremo con gli ucraini che hanno parenti e amici in terra russa che non credono alle loro storie sui bombardamenti e sulle vittime civili).
Fiducia
Questa guerra sta portando all’attenzione pubblica una quantità di informazioni enorme: ci sono le agenzie governative dei rispettivi paesi coinvolti, ci sono le testimonianze diffuse dai civili che stanno vivendo sulla loro pelle il conflitto, infine ci sono tutte le notizie riportate prima dai giornalisti operanti sul posto e poi da quelli presenti nelle redazioni. Oltre a tutto ciò, si aggiungono le analisi, le opinioni e le previsioni di innumerevoli personaggi pubblici, più o meno esperti delle vicende in atto. Ciò che spetta al fruitore ultimo, al lettore in questo caso, è a chi dare la sua fiducia. In Russia non tutti credono che il conflitto in Ucraina esista davvero perché la loro possibilità di informarsi è stata limitata e i canali ufficiali non ne danno rilevanza. In Italia i cittadini solo liberi di potersi creare una propria idea proprio data la gran mola di informazioni che giunge nel nostro paese. Proprio per la libertà di informazione, però, non sempre vengono filtrati i dati comprovati da quelli falsi. Il rischio è che un individuo allinei il proprio punto di vista con quello veicolato dalla disinformazione (arrivando all’estremo sintetizzato dalla frase di Lavrov: “Non abbiamo attaccato l’Ucraina”). Da una parte l’Unione Europea ha deciso di mettere un freno al propagarsi della disinformazione russa chiudendo alcuni dei suoi canali principali (Russia Today e Sputnik), dall’altra ognuno di noi deve decidere su quale mezzo comunicativo riporre la propria fiducia, prestandosi a evidenze reali, obiettive, statistiche comprovate, capaci di disegnare un immagine reale di una situazione complicata e in evoluzione.
L’informazione in Italia
Attenzione però! È anche importante preservare un certo pragmatismo e analizzare la situazione del caso senza voli pindarici o facili soluzioni: l’argomento è complesso, riguarda eventi storici, culture e modi di vedere il mondo che sono lontani dal nostro punto di vista italocentrico. Sarebbe utile avere uno sguardo non basato su parallelismi storici non inerenti, fonti false, benaltrismo, o cherry-peaking (cioè prendendo solo le informazioni che supportano il nostro punto di vista e ignorare tutte le altre). La scelta di diversi programmi italiani di creare un dibattito fra personaggi che non sono titolati a dare la propria opinione sul conflitto potrebbe essere comparabile a un sistema di disinformazione, tant’è che le giornaliste ucraine Iryna Matviyishyn e Olga Tokariuk hanno dichiarato il loro rifiuto di partecipare a trasmissioni italiane dove potrebbero confrontarsi con attivisti, professori di filosofia e cantanti i quali non hanno le conoscenze per avere un reale confronto su un tema così delicato. Questa critica non intende in nessun modo andare contro la libertà di pensiero e parola degli individui, quanto piuttosto opporsi a quella pratica televisiva di dare microfono e pubblico a personaggi molto divisivi e poco competenti nel merito. Questa è l’etica dello storico: l’importanza spetta prima di tutto all’autorità delle fonti e solo dopo alle opinioni personali, prediligere le seconde alle prime rischia di fare danni alla società. E questo sunto riguarda la guerra in Ucraina, come la Pandemia, o le idee che promuove qualsiasi partito politico. Senza contare che rimangono fuori una moltitudine di approfondimenti che sarebbero quanto mai preziosi per avere un quadro completo della questione: quali sono gli interessi economici russi nella conquista? Perché Cina e India non prendono una posizione netta? Perché la Cecenia offre il suo supporto militare all’esercito russo? Perché la guerra sta creando una crisi nell’approvvigionamento dei fertilizzanti a livello mondiale? Perché c’è un contenzioso fra Giappone e Russia? Quali sono davvero le armi a disposizione dei rispettivi eserciti? E l’oppositore Navalny? Invece gran parte della comunicazione mainstream rimane in superficie e ciò non contribuisce a delineare un’immagine concreta degli eventi. Diventa difficile cercare di capire cosa ci potrebbe aspettare in futuro se nemmeno sappiamo come siamo arrivati a questo punto.
Foto di Andrea Demetrio Rampin
un articolo davvero ben fatto ed esaustivo che affronta ogni aspetto sia storico che di cronaca di guerra. Complimenti.
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