Ho trentasei anni, sposato e padre di due figli, sono nato e cresciuto in Trentino. Nel 2003 ho avuto una grande occasione, di quelle che ti cambiano la vita: un’offerta di lavoro a Dublino. Già da tempo sentivo la necessità di ampliare i miei orizzonti, migliorare la conoscenza dell’inglese e vivere in una capitale europea, quindi non ci è voluto molto per decidere di accettare.
Dopo pochi mesi mi resi conto che vivere e lavorare all’estero era molto più semplice di quanto pensassi, decisi quindi di trasferirmi nella città con cui sentivo maggiore affinità: Copenaghen. Da allora sono passati otto anni, e ho imparato a ammirare la cultura ed il modo di vivere dei danesi.
Se potessimo importare dalla Danimarca all’Italia una sola cosa, sceglierei il rapporto tra Stato e cittadini. Grazie ad un profondo mutuo rispetto i danesi si sentono parte integrante dello Stato, pertanto sono responsabili nei suoi confronti e percepiscono la cosa pubblica non come un entità astratta e lontana ma come qualcosa che gli appartiene e di cui prendersi cura.
Chi come me vive all’estero da molti anni si accorge che quello che può funzionare in un Paese non necessariamente ha gli stessi risultati in un altro. Tuttavia dalla mia esperienza danese ho tratto alcune idee e concetti che credo possano essere applicabili anche all’Italia. Penso che questi cambiamenti di rotta siano necessari per il futuro dell’Italia e delle sue nuove generazioni, ecco alcuni esempi.
Sistema fiscale
Vedo come i miei amici che vivono in Italia e che gestiscono una piccola attività siano costretti a spendere moltissime ore del loro lavoro ed energie per “stare dietro” alle regole fiscali vigenti. Questo, chiaramente, non gli permette di concentrarsi sul loro core business.
In Danimarca, il sistema fiscale è molto rigido, ma anche semplice. Come ogni residente sul territorio danese, possiedo il mio numero fiscale privato che, unito ad un semplice ma efficiente sistema di identificazione online, permette di aprire la mia partita iva ed iniziare la mia attività.
Poco prima di fine anno, visito il sito dell’Agenzia delle Entrate danese dove dichiaro quanto penso di guadagnare l’anno successivo e l’ammontare approssimativo delle spese che penso di dover sostenere. In tempo reale ottengo il calcolo di quanto mensilmente dovrò versare.
Se durante l’anno fiscale dovessi accorgermi che sto fatturando molto di più o molto di meno rispetto a quanto avevo previsto, non faccio altro che entrare nel sito, aggiornare i dati e, sempre in tempo reale, viene calcolato il conguaglio.
A fine anno quando effettivamente so quanto ho fatturato e quante spese ho sostenuto, aggiorno i dati e nel caso avessi versato più del dovuto ricevo un bonifico o un assegno entro il mese successivo. Se incontro delle difficoltà o ho dei dubbi basta chiamare l’Agenzia delle Entrate al numero preposto e vengo (cortesemente) aiutato ad adempiere ai miei doveri di cittadino.
A differenza degli stipendi per i dipendenti, che in base al reddito, subiscono una tassazione compresa tra il 30 e il 60%, l’aliquota per le aziende in Danimarca si aggira intorno al 25%. Come conseguenza moltissimi cittadini, sopratutto giovani, riescono a diventare imprenditori e – nei casi più felici – a creare prodotti di successo. Skype (uno degli ideatori è danese) è solo uno degli esempi più eclatanti, ma quello che è conta davvero è che possa nascere quel tessuto sociale e imprenditoriale di grafici, stilisti, consulenti o gestori di siti per il commercio online che, grazie alla semplicità del sistema, sono riusciti a crearsi un lavoro.
Una riforma che semplifichi gli adempimenti fiscali, unita ad uno Stato che assiste i contribuenti in modo efficace – anziché reprimere e punire – forse non è la soluzione a tutti i problemi, ma di sicuro è uno dei tanti ingredienti che può favorire la crescita a lungo termine, una delle cose di cui l’Italia ha più bisogno.
Scuola
In Danimarca la scuola chiude a luglio e riapre a metà agosto. Quando ai miei amici danesi racconto che in Italia la scuola chiude attorno alla meta di giugno per riaprire verso la meta di settembre, mi vengono poste molte domande, la principale: chi si occupa dei figli in questi tre mesi?
Al giorno d’oggi le famiglie sono organizzate in maniera diversa rispetto a trent’anni fa ed una pausa così lunga non può che essere un problema. Un problema, proprio come il fatto che i ragazzi debbano andare a scuola il sabato mattina. In molti non lavorano il sabato e il fatto che i figli debbano andare a scuola ruba il tempo alle famiglie che potrebbero invece passare più tempo insieme.
Possono apparire misure scontate o dall’impato ridotto, ma quando sento parlare di politica per le famiglie nessuno sembra prendere in considerazione questo tipo di migliorie fattibili, capaci di incrementare il benessere delle famiglie, e il tempo passato insieme.
Cittadinanza
Non è tutto oro quel che luccica, e lo stato Danese non è certo perfetto. Vorrei infatti concludere parlando di quello che penso sia uno dei grandi errori della politica danese. In questo momento, in Danimarca stiamo assistendo ad un triste fenomeno: l’avvento di una generazione priva di identità e che non si sente accettata dal proprio Paese.
Sono i figli degli immigrati, che sono nati, cresciuti ed hanno conseguito i loro studi in Danimarca. Nonostante siano parte integrante della società non hanno il diritto di cittadinanza, quindi di voto, e vengono chiamati con l’assurda dicitura di “immigrati di seconda generazione”, ma loro non hanno mai preparato una valigia per cambiare paese nella loro vita.
Negli Stati Uniti sarebbero giustamente definiti “americani di prima generazione”. Ma non qui, in Danimarca. Vedo che in Italia stiamo ripetendo lo stesso errore. Credo che i nuovi italiani siano il sangue della nostra nazione e sarebbe giusto istituire un rito civico, ad esempio all’età di 15 anni, per dare la cittadinanza italiana a tutti quelli che sono nati e hanno iniziato un percorso scolastico in Italia. Il senso di appartenenza e il legame con la nazione sarebbero così sanciti in modo ufficiale, e si scongiurerebbe – almeno parzialmente – il rischio di avere una generazione di giovani scoraggiati, perché non accettati dal paese in cui sono nati e cresciuti.
L’Italia ha tutte le carte in regola per rialzare la testa e tornare grande, ma di certo non succederà se le nuove generazioni non faranno altro che lamentarsi di quello che non va, invece di impegnarsi per ideare e applicare nuove soluzioni. Forse per chi vive all’estero, avendo un punto di vista distaccato, è più facile mettere a fuoco i problemi e proporre delle alternative. Certo, il lavoro da fare è molto e sarà duro. Tuttavia il prossimo futuro potrebbe rivelarsi uno dei periodi più dinamici ed eccitanti per la vita del nostro Paese. In greco la parola crisi significa “il tempo delle decisioni”, quelle che dobbiamo prendere, nel minor tempo possibile.
Io ci sono, armato di ottimismo e pronto ad impegnarmi. (noodls)
fonte italiafutura.it
Davide Bonavida Ha lasciato l’Italia nel 2003 e oggi vive e lavora a Copenaghen. Si è iscritto a IF perché “fino ad ora è l’unico movimento che si propone con un approccio pratico e fattibile per risolvere i problemi concreti del paese”
foto: propostalavoro.com
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