Un primato per tutti

primato

Il barone De Coubertin (fondatore delle Olimpiadi moderne) coniò il famoso motto “l‘importante non è vincere ma partecipare”.

Un motto “politicamente corretto” ma del tutto estraneo alla natura umana e al sogno degli sportivi. Lo Sport è competizione, il traguardo è la vittoria e che tale fine ispiri il condomino Rossi che vuol battere a tennis il condomino Verdi o i campioni mitici come Coppi, Owens o Maradona, nulla cambia: la connotazione è comune.

Intorno a questo mito del successo si impegnano le Nazioni, i mercati e le più disparate associazioni, si spendono miliardi, si muovono le folle, impazzano i media.

Eppure in questo fenomeno complesso non privo di aspetti negativi si nasconde un dato di fondo che a suo modo ha un valore etico e cioè il fatto che la competizione insegue un traguardo simbolico che sostituisce i traguardi tragici della guerra, della prevaricazione, dello sfruttamento, del razzismo.

Lo sport imita la natura

Perché lo Sport è anche un gioco; un gioco che imita la natura e il passato evolutivo e incanala in forme innocue i primordiali istinti e quella che gli antropologi chiamano l’aggressività intraspecifica.

L’avversario non è più un nemico o una preda, è un altro da sé da superare in un confronto che non porta né sofferenza, né dolore, né perdita della libertà, né umiliazione.

E non si dimentichi che per milioni di sportivi il denaro è l’ultimo dei compensi.

Viva dunque il condomino Rossi e viva il miliardario Federer.

La fiera delle vanita’

Tutti dunque vogliono gareggiare e vincere

Ma come si fa a garantire a tanti una posizione che sarebbe riservata a pochi?

Come si fa a soddisfare un’affermazione personale, un trionfo effimero, non solo a pochi eletti ma ad una folla di velleitari?

E qui entrano in scena l’astuzia della Storia o la saggezza del caso o la follia del sistema.

La soluzione è stata la proliferazione non solo dei vari tipi di sport ma anche delle categorie e sottocategorie.

Gli sport, cento anni fa, si contavano si e no a decine, oggi sono una miriade.

Cento anni fa si modellavano sulla natura, erano la corsa, la lotta, l’uso degli strumenti per colpire un bersaglio o superare l’ostacolo.

Oggi si praticano discipline impensabili

Nel biathlon, un atleta dopo chilometri di sci di fondo si ferma per sparare contro una sagoma.

Il curling ha trasformato le vecchie semplici bocce in una specie di striscia-piattella che si pratica sul ghiaccio stando praticamente sdraiati mentre due collaboratori secondari scopettano il percorso.

Lo snooker è una complicata sfida al biliardo che inchioda in un teatrino buio e senz’aria due giocatori, per giornate o notti intere.

L’inventore della corsa nei sacchi e dell’albero della cuccagna ha di che trasalire.

Pur non raggiungendo l’inserimento nelle gare olimpiche, hanno ormai riconoscimento ufficiale balordaggini come Chess boxing (pugilato più scacchi), il ciclismo subacqueo, il pingpong con i piedi, il car soccer (un polo con le auto), l’hockey e il basket su monociclo.

La moltiplicazione delle opportunità

Ulteriori opportunità vengono poi offerte dalla creazione di scomparti nell’ambito dello stesso sport.

Ad esempio, nel calcio ci sono il campionato e la coppa nazionali, il campionato è diviso in serie A, B, C, regionale e d’eccellenza. Poi ci sono le coppe internazionali.

Insomma il più scadente dei giocatori vincendo l’ultimo fra i tornei può sollevare un trofeo di latta cantando l’inno fra lacrime di gioia.

Nei tour e i giri d’una volta c’erano solo la maglia gialla e quella rosa; ora le maglie sono cinque, sette: a colori, a pallini, a strisce. Si premiano il più combattivo, lo scalatore, il velocista, il più sfortunato, il cronoman, perfino la maglia nera (cioè l’ultimo) per la sua tenacia.

Le medaglie sono ancora tre: oro, argento e bronzo, ma poi ci sono i premi speciali.

Ricordo che in una corsa fu premiato il quarto “per aver sfiorato il podio”.

Le categorie

Poi ci sono le categorie, previste, ufficiali, inventate, contrabbandate.

Le più diverse professioni sfornano i loro rappresentanti in questo o quello sport.

Un pio sacerdote teologo, amante del ciclismo, non resse al richiamo dell’immaginario traguardo e si cimentò in pista scandendo il primato dell’ora per ecclesiastici.

Un serio giudice ha ceduto alla vanità e io stesso ho partecipato al campionato di ciclismo su strada per magistrati, categoria over 70 (cioè pensionati) vestendo la maglia del primo classificato, in assenza di secondo o di terzo perché gli altri due iscritti non parteciparono per cause di salute.

Dunque c’è gloria per tutti.

Come insegna la lapide del cimitero di un piccolo paese del Sud “qui riposa Mario Tonetti e con lui le carte dello scopone in cui fu imbattibile”.

P.S.

Parlando di speciali categorie non ho incluso quelle rappresentate dagli atleti disabili.

Essi gareggiano contro sé stessi, si misurano con le proprie menomazioni e il proprio coraggio.

Su di essi non si fa ironia ma verso di essi si manifesta ammirazione e se ne accetta la lezione morale.

Foto di 0fjd125gk87 da Pixabay

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