Maggio, questo mese l’ispirazione ci offre un omaggio a Jackson Pollock, espressionista astratto, un geniale artista, con la notissima tela “Pali Blu”, ispirata agli indiani d’America, in particolare al popolo dei Navajo. In effetti sembrano slittare sul dipinto ben sei totem indiani.
L’arte dei Navajo, che subiì l’influenza della cultura ispanica, era incentrata su tre differenti ambiti: pittura con la sabbia appunto, tessitura dei tappeti e fusione di argento, lavorazione dei monili con la pietra turchese.
Pollock ne era molto affascinato; l’artista dipinge per terra, inginocchiato, alla maniera pellerossa, grande avanguardia, nel dipinto si ispira al metodo Navajo di dipingere a terra, facendo scorrere tra le dita delle mani granelli di sabbia (o terra) colorati.
Gli anni del secondo dopoguerra sono pervasi da profonde inquietudini, le cui radici vanno ricercate in un altalenante cinquantennio, di cui ci sono note le alterne vicende politiche, economiche e sociali. Le trepidazioni che scuotono l’Europa del periodo hanno la loro origine nella rovina materiale di tutto il “Vecchio Continente” che porta con sé la caduta della fiducia nel mondo liberale. L’inquietudine, la paura del futuro e la depressione si riflettono sull’arte. Pollock era rimasto molto colpito, a suo tempo, da Guernica, il celeberrimo dipinto di Picasso contro la guerra civile, con il carico di morte e distruzione che la guerra aveva portato con sé, denunciando nella tela la distruzione totale di anime e corpo, la violenza.
In tal senso, Pollock dipingeva alla maniera Navajo ( le sorti degli indiani d’America erano oggetto di grande sensibilità da parte del pittore, l’estinzione totale di un popolo fiero e coraggioso), utilizzando i più svariati materiali: vernice d’auto, alluminio, stracci, vernici colorate, pezzi di legno o strofinacci che immergeva nel colore e dipingeva, spandendo il colore, materiali diversissimi tra loro e destinati anche ad usi diversi. Crudo, vero, immediato. Proprio come gli Indiani che disegnavano per terra “ Sul pavimento sono più a mio agio, mi sento vicino al dipinto, mi sento dentro al quadro ed a ciò che voglio trasmettere, ci posso girare intorno e lavorare su tutti e quattro i lati”, affermava l’artista.
A volte lasciava colare il colore dal bastone, sulla tela, oppure usava delle grandi “pipette” come quelle utilizzate in pasticceria; in altre, utilizzava dei materiali da “lanciare” letteralmente sul quadro, materiali come sabbia, sabbiolina cristallizzata, pagliuzze, polveri minuscole sgretolate da sassi o rocce, l’opera prendeva forma quasi magicamente, da sola, come nel caso di Blue Poles, da cui emergono sei pali di Totem indiani. Un omaggio ad un popolo oltraggiato, distrutto. Un omaggio, un grido e un urlo, per non dimenticare, contro ogni guerra e violenza.
di Alessandra Paparelli
Il quadro che avete inserito non é “Blue Poles number 11” di Jackson Pollock bensì un quadro di Robert Weingarten del 2007 intitolato “Jackson Pollock #1”.
Il quadro che avete inserito non é “Blue Poles number 11” di Jackson Pollock bensì un quadro di Robert Weingarten del 2007 intitolato “Jackson Pollock #1”.