Nella grande città possono germogliare a fatica piccoli semi, forse nascosti e sconosciuti, ma che mostrano la capacità di riflettere i bisogni di tante persone.
Intervista di Ulisse Speranza a Riccardo Peroni, Presidente dell’Associazione Polysieć.[1]
È una piccolissima, neonata, associazione, al cui presidente, Riccardo Peroni, abbiamo fatto alcune domande. Un’associazione che si è data come obiettivo di lavorare per valorizzare le relazioni tra le persone, le organizzazioni, le istituzioni e qualsiasi attore sociale in genere. Le relazioni quale patrimonio fondamentale per la qualità della vita. Un patrimonio inestimabile e dimenticato.
Presidente, parliamo di titoli e di nomi. Due cose: dato che la vostra associazione è veramente ai primissimi passi, forse il termine “presidente” suona altisonante. Ed ancora: il nome della vostra associazione: Polysieć Networking, Qualità, Sensemaking, Relazioni, perché?
La ringrazio della domanda. Andiamo con ordine. In primo luogo la questione del presidente. Certamente a me suona eccessivo (anche se giuridicamente corretto), in considerazione del fatto che stiamo iniziando ora l’opera di diffusione ed inoltre gli associati si contano sulla punta delle dita di una mano. Ma se intendiamo la parola presidente in senso etimologico (dalle mie vaghe reminiscenze scolastiche) di pre-siedere, stare prima, allora sì, perché in effetti siamo stati noi tre soci fondatori a costruire l’idea sottostante l’associazione.
Per quanto riguarda Polysieć (con la “c” accentata… cosa che spesso si dimentica o anche noi stessi tralasciamo) è una specie di divertimento linguistico. Una piccola paroletta strana. Nasce dall’unione dell’aggettivo greco πολύς, πολλή, πολύ molto, molti (mi scuso per eventuali errori dovuti ai miei studi classici arrugginiti) e sieć, che in polacco significa più o meno rete. Insomma un modo un po’ colorito per dire “multirete”. D’altronde niente di nuovo sotto il sole, se si pensa che usiamo automobili Volkswagen, senza ricordare o magari sapere che significa “macchina del popolo”, oppure mettiamo benzina Q8, senza pensare che si riferisce al Kuwait, trattandosi della compagnia petrolifera di quello Stato.
Allora, mi dica come posso chiamarla, presidente… Peroni?
Per me come desidera, ma per favore diamoci del lei…. riflette il fatto che non ci conosciamo, ma non esclude la possibilità di approfondire la reciproca conoscenza: presupposto fondamentale per la relazione. Invece, spesso, il tu non è veritiero, riflette una vicinanza che si può rivelare fittizia, ma nonostante questo i più credono che sia più amichevole.
Bene, allora Riccardo, torniamo al nome dell’associazione: una scelta linguistica un po’, come dire, articolata e bizzarra, ma spero proprio che porti fortuna. E sotto questo nome che sostanza c’è?
Per capire la sostanza di questo nome e gli intenti dell’associazione è importante la nostra storia personale. Alla fine del 1999 ed all’inizio del 2000, mio figlio frequentava l’asilo. In molte occasioni, mia moglie ed io, avevamo notato che proprio nell’ambito della scuola si dava poca attenzione alle relazioni e che ci si metteva poco in relazione tra genitori. Faccio degli esempi. Quando i bambini, e stiamo parlando di ragazzini di circa quattro anni, praticavano dei giochi o sport di gruppo, tra i genitori serpeggiava, più o meno latente, l’incitazione alla competizione. Nessuno faceva attenzione, invece, a far comprendere ai bimbi gli aspetti importanti del “giocare insieme” di saper stare insieme agli altri e di fare delle cose insieme. La stessa cosa poteva accadere in occasione della consueta rappresentazione scolastica di fine anno. Ancora, spessissimo tra gli stessi genitori si condividevano lamentele sui costi della scuola, dei figli…. e non eravamo ancora all’inizio della crisi. La cosa la notavamo tutti, ma chi aveva più figli, ovviamente, ne risentiva di più. Proponemmo, mia moglie ed io, di mettere in piedi dei gruppi di acquisto per materiale di studio come quaderni, penne, colori ed altre cose utili, ma nessuno aderì ed anzi ci guardarono con sospetto.
Qualche anno prima, eravamo approdati a Roma, dove avevamo pochi aiuti pratici per la gestione della quotidianità. Ogni volta che il bambino aveva un’influenza, si aprivano scenari organizzativamente terribili per i nostri impegni di lavoro. Nel palazzo dove abitavamo, ci si conosceva poco ad eccezione di una coppia di anziani signori, che invece vivevano ed ancora vivono il condominio come una comunità. Tutto iniziò con una minestra calda offerta a me dalla signora, il giorno della nascita di mio figlio. Oggi, per il ragazzo, queste persone sono dei nonni, cui far riferimento e noi per loro una presenza. Degli altri condomini abbiamo imparato i nomi, ma ancora c’è molta diffidenza e fretta nelle relazioni.
Nostalgia per il passato?
Assolutamente no. Consapevolezza che una relazione positiva tra persone può avere un valore letteralmente economico oltre che sociale, affettivo ed emotivo. Ma di questo spesso ce ne dimentichiamo, mentre siamo tutti pronti a dire (ed a lamentarci) che c’è egoismo, individualismo, nessuno si saluta ecc. ecc.
E questo atteggiamento si riscontra anche nell’ambito produttivo e lavorativo, proprio in un momento in cui ci sarebbe bisogno di cooperazione, collaborazione, solidarietà. Questo non ha soltanto un valore etico. Spesso noi colleghiamo proprio il concetto di solidarietà alla “bontà”. Da anni lavoriamo personalmente ed ora come associazione, anche per cambiare questa rappresentazione sociale. Il termine solidarietà ha la stessa radice di solidità: essere solidali significa essere più solidi. Ed oggi, in un’epoca di globalizzazione, essere più solidi non è certamente cosa da poco. Ma per far questo bisogna attrezzarsi per le relazioni, a trecentosessanta gradi. E questo è un lavoro che richiede tempo, risorse (spesso pochissime) e competenze. In molti ambiti le relazioni hanno ormai un ruolo centrale: i social networks sono solo un aspetto. Per esempio le imprese ormai progettano il loro marketing con un occhio attentissimo all’elemento sociale e relazionale.
Tutto questo che ha esposto riguarda le persone. Ma c’è dell’altro?
Da molto tempo mi interessa il rapporto/relazione uomo/persona e macchina/tecnologia. Non a caso infatti queste idee sono nate anche con un amico e collega, circa quindici anni fa, Stefano Gualdi, esperto di informatica. In quest’ottica abbiamo anche collaborato alla stesura di alcuni e-book sull’argomento. La tecnologia di per sè potrebbe non essere ne’ positiva, ne’ negativa, ma troppo spesso c’è un approccio dubbio. Tablet, iphone ecc. sono status symbol, e questo è comprensibile. Ma mai di essi si guardano gli aspetti operativi utili alla persona. Faccio un esempio: il mio telefono è un piccolo computer ed ha anche il vantaggio di poter agire sulle dimensioni delle immagini e dei testi. Per un cinquantenne non è un dettaglio da poco: mi evita di inforcare più volte i miei occhiali da lettura. Ma questo aspetto non è diffuso e connota una relazione con lo strumento che mi sembra molto significativa.
Ci sono anche altri esempi per altre “tecnologie”: l’automobile. Personalmente, da quando la crisi impera, ho provato molte volte a mettere in piedi un sistema di carpooling: condividere e razionalizzare l’uso dell’autovettura per tragitti comuni, come per esempio recarsi al lavoro. Niente da fare. Sembra che il sentimento imperante sia che se si condivide il mezzo di trasporto, vengano lese la nostra libertà, la riservatezza e forse altro ancora. E questo è letteralmente in contraddizione con la situazione socio-economico-culturale del momento.
Questo tema ci sta molto a cuore, perché a nostro avviso diventerà sempre più incalzante in una società, come la nostra, che sta invecchiando rapidamente. Anche un recentissimo libro di uno psicologo americano, Louis A. Sass[2], ha dato un’interessante interpretazione della schizofrenia, addirittura, come conseguenza di un rapporto non risolto con la modernità, di cui la tecnica e la tecnologia sono un elemento importante.
Il rapporto tra generazioni non significa solo che i “più vecchi” si “aggiornino” riguardo alla modernità, ma anche che i più giovani si interroghino su di essa. Anche qui si tratta di lavorare sulla dimensione della relazione: tra generazioni, nei confronti delle tecnologie. Credo che il nostro essere in relazione con il mondo, con gli altri sia un tema legato all’esistenza dell’uomo che prenderà sempre più piede. Ci dobbiamo rendere conto che in una società così globalizzata e complessa, la singola persona non può spiegarsi e rappresentarsi la realtà da sola. Guardi non mi meraviglia che recentissimamente in ambito filosofico e teologico, abbia trovato due testi che danno molto spazio proprio alla relazione. Il primo è il libro “Il principio passione” del teologo Vito Mancuso, pubblicato quest’anno da Garzanti. Mi sembra proprio che in questo testo appassionantissimo spesso si faccia riferimento alla relazione tra l’uomo e le cose, Dio, gli altri e su di essa ci si interroghi. Un altro testo, che ho trovato quasi casualmente, è la pubblicazione del 2012 della Pontificia Academia Theologica nella collana Itineraria “<<Relazione>>? Una categoria che interpella”, a cura dei teologi, Manlio Sodi e Lluís Clavell, il cui titolo è tutto un programma riguardo al tema della relazione.
Mi sembra che si tratti di obiettivi molto difficili e di argomenti molto complessi…
Assolutamente si, ma l’associazione è un punto di arrivo da un lato, perché è la logica conclusione di storie personali che anticipano questi temi, ma uno strumento con cui partire per cercare di mettere in pratica delle idee, che nella mia vita personale e degli altri soci fondatori hanno germogliato giorno dopo giorno, già molti anni fa, dal confronto con problemi concreti e quotidiani. I primi “fogli informativi” risalgono alla metà degli anni ’90. Ora stiamo soltanto cercando di mettere a punto degli strumenti e dei progetti. Sicuramente il tutto in modo “artigianale”, dato che facciamo dell’altro nella vita per guadagnarci da vivere, ma con decisione. Per esempio abbiamo da tempo messo su un sito disponibile: www.polysiec.org. Nel sito si possono trovare anche ulteriori chiarimenti sul nome dell’associazione ed i recapiti. Abbiamo poi progettato degli incontri, che sulla base di altre esperienze fatte, ho chiamato “laboratorio”, per lavorare sulle relazioni nell’ambito di piccoli contesti. Il prossimo anno stiamo pensando di proporre altri incontri di questo tipo collegati ai contesti lavorativi, sul tema dei rapporti intergenerazionali, dei conflitti (spesso si litiga malissimo!!!) ed altro ancora. Una particolare attenzione la vogliamo dare anche al tema del sorriso, inteso come comicità ed umorismo. Un interesse che è nato anni fa quando per un certo periodo, mia moglie, altri amici ed io, abbiamo portato negli ospedali pediatrici la versione teatrale di una favola africana. Abbiamo toccato con mano come si possa sorridere, sempre, anche nel dolore più grande e quanto questo sia utile e bello.
Un’esperienza importante?
Più che importante, rigenerativa, che in futuro vogliamo ripetere. Purtroppo è stata troppo breve.
Ma lei parlava di “laboratori”. Cosa sono esattamente?
Si tratta di momenti di incontro, alla presenza di un facilitatore, finora in gruppi di dieci/quindici persone, su temi che riguardano le relazioni. Per esempio quello che abbiamo realizzato era destinato ad operatori shiatzu ed al loro approccio ai clienti/pazienti. Vogliamo realizzare altre attività di questo tipo, mirate a piccoli contesti di varia natura e lavorativi. In particolare crediamo che proprio le piccole imprese siano un ambito su cui lavorare molto a livello relazionale, per poter avere dei risultati sociali ed economici. Ma non solo: anche nell’ambito condominiale, scolastico, familiare, sportivo, sanitario, commerciale, ecc..
Avete un organo d’informazione?
In realtà è in piedi una sorta di “bollettino” informativo, ma lavora con molta fatica. Sul sito sono scaricabili delle “lettere informative” e ci stiamo lavorando.
Allora molte idee sul tavolo?
Si molte idee e direi che uno dei capisaldi della visione che stiamo elaborando è proprio questo: bisogna saper collegare insieme le idee, saper connettere (per usare un termine in voga) dimensioni diverse. Non ci dimentichiamo che Galileo Galilei ha messo in relazione due mondi fino ad allora non così contigui: l’astronomia e l’uso di strumenti ottici. Questo ha permesso, come sappiamo, grandi passi avanti.
Comunque resta anche un fatto: la prima relazione su cui lavorare è quella su se stessi. Solo interrogandosi e cercando di guardarsi si possono ottenere dei risultati.
Ed in questo senso cosa fate?
Ma dott. Ulisse Speranza, la prima cosa è questa intervista. Lei infatti non esiste. Io, noi, ci stiamo interrogando. Anche la ricerca e lo studio sono obiettivi dell’associazione. Ed il Suo nome la dice lunga: Ulisse, un instancabile viaggiatore che ha il suo senso non nella meta, ma nel viaggio stesso, e la Speranza, un “seme” spesso dimenticato. Due presupposti indispensabili per le relazioni che, oggi, ci sembrano davvero un lungo viaggio che ha bisogno di una grande speranza. Buone feste a tutti.
[1] Ulisse Speranza è un nome ad hoc
E’ un articolo molto bello e molto vero. Scritto con sapienza e cultura ed in un linguaggio accessibile a tutti se pur di grande scrittura. Complimenti
Articolo molto interessante che rispecchia la società in cui viviamo
Conosco Riccardo
Ulisse Speranza è un nome di grande impatto
Grazie