Una vita senza amore e senza verità non sarebbe vita

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Nel corso del Tempo ordinario, che tra tutti gli altri periodi dell’anno liturgico potremo definire ‘privilegiato’, la Chiesa celebra ogni Domenica il Signore Risorto e, attraverso le pagine evangeliche che sono proposte, vuole contemplare il Cristo in uno degli episodi della sua vita terrena mentre insegna, opera oppure prega.

In questa Domenica Gesù insegna la dottrina del Regno di Dio, vestendo i panni di Profeta e di Maestro. Il Vangelo odierno (Mc 1,29-39), in continuità con quello di domenica scorsa, ci presenta un Gesù ‘taumaturgo’ che, dopo aver predicato di sabato nella sinagoga di Cafarnao, sana molti infermi, a cominciare dalla suocera di Pietro. Entrato in casa – narra l’evangelista – trova la donna a letto, inerme, con la febbre e, subito, prendendole la mano le restituisce la guarigione.

In Marco il racconto è inserito nel corso della famosa ‘giornata di Cafarnao’ e l’incontro con la famiglia di Pietro è collocato precisamente a metà della giornata, la cui durata è divisa in tre parti: la preghiera comunitaria e la predicazione nella sinagoga svolta al mattino; la vita ecclesiale presso la casa della suocera di Pietro a mezzogiorno e, infine, la preghiera personale e solitaria che il Maestro compie a sera. Ma prima di ritirarsi nel silenzio della preghiera Gesù ridona la salute ad altri ammalati. L’esperienza della guarigione degli ammalati ha impegnato gran parte della vita pubblica del Maestro, la cui voce ci esorta ancora una volta a ripensare il senso e il valore della malattia alla luce della fede in Dio.

Sappiamo bene che la sofferenza è parte integrante dell’esperienza umana e che al dolore non riusciamo proprio ad abituarci; a volte essa risulta essere pesante perché l’uomo nella sua struttura originaria è stato creato da Dio per abbracciare la vita e vivere in pienezza ogni gioia ad essa connessa. Quando il male bussa alle nostre porte e ci accorgiamo che le tante preghiere che facciamo risultano alquanto sterili ed inutili, sorge il dubbio della fede: “qual è la volontà di Dio?” La risposta è nel Vangelo.

Leggiamo, quindi, il brano odierno: “Gesù guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni” (Mc 1,34); oppure un altro passo di Matteo: “Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo” (Mt 4,23). Gesù, quindi, vuole chiarire ogni nostro dubbio: Dio – il cui volto ci è stato rivelato da Cristo stesso – è il Dio della vita, Colui che ci libera da ogni male. E i segni del suo amore per noi sono le tante guarigioni che Egli compie. Restituendo la salute del corpo e dello spirito, Gesù dimostra così che “il Regno di Dio è vicino”.

Carissimi, le guarigioni che il Maestro opera nel suo girovagare per città e villaggi sono chiaramente dei segni. È vero, se da una parte la sofferenza umana non si risolve in se stessa, dall’altra essa conduce l’ammalato sempre più vicino al Cristo sofferente, facendogli capire che la più crudele malattia è l’assenza di Dio dalla vita dell’uomo. Urge, quindi, soprattutto oggi, la riconciliazione con Dio, il solo che può restituirci la vera guarigione, la vita piena perché un’intera esistenza vissuta senza Dio risulta squallida e tormentata da fantasmi; una vita senza Dio ci chiude al Cielo e alle sue sublimi realtà, facendoci sprofondare, a volte anche a nostra insaputa, nell’abisso delle più sordide passioni. Una vita senza amore e senza verità non sarebbe vita. Riconciliamoci con Dio innanzitutto! e così potremo ottenere non solo la guarigione dalle nostre malattie ma anche quella di tutto il nostro essere; riconciliamoci con Dio e sperimenteremo l’integrità del corpo e dello spirito.

In Gesù, se facciamo attenzione, l’attività della predicazione e le opere di guarigione vanno sempre di pari passo, comunicandoci l’unico messaggio di speranza e di salvezza: Egli è disceso dal cielo in terra come medico dei peccatori, un medico che, per sanare le infermità e le malattie, le prende tutte su di sé, rivelandoci così il senso della sua Passione e della sua morte in croce. Mentre Giobbe non arriva a comprendere il senso della sua sofferenza (cfr Gb 7, 1-7), il cristiano è invitato a “completare nella sua carne ciò che manca alla sofferenze di Cristo” (Col 1,24). Perciò, così come fece Giobbe dopo aver tracciato un quadro piuttosto negativo della vita umana sulla terra, eleviamo al Padre la preghiera di far placare l’irrequietezza dei nostri animi, soprattutto negli istanti della malattia.

Acquistiamo sempre maggiore consapevolezza che Gesù è venuto a portarci un messaggio di salvezza e non è Colui che vuole soddisfare la nostra curiosità, il nostro entusiasmo, come se fosse un qualunque guaritore più o meno abile. È grazie all’azione invisibile dello Spirito Santo che la missione del Cristo si prolunga in quella della Chiesa, illuminandola di speciale luce. Mediante l’amministrazione dei Sacramenti è Cristo stesso che ci comunica la sua vita, la sua grazia che guarisce e risana.

Il nostro pensiero riconoscente e grato va, dunque, a tutti coloro che nelle vesti di sacerdoti, religiosi e laici hanno prestato e prestano al Signore Gesù in ogni parte del mondo le loro stesse mani, i loro occhi e i loro cuori. E la nostra preghiera, infine, si elevi alta per tutti gli ammalati, specialmente per i più gravi che non riescono a provvedere a se stessi: possano sperimentare questi, in coloro che hanno al loro fianco, la potenza dell’amore di Dio e la ricchezza della sua grazia che salva.

Fra’ Frisina

foto: donna.libero.it

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