(Un)fair play a Wimbledon

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Questo aprile è stato, per la Gran Bretagna, denso di eventi che saranno ricordati a lungo.

Anzi tutto, la Regina Elisabetta ha compiuto 96 anni e con la sua solita, regale sobrietà, si è limitata a trascorrere la giornata con i famigliari nella residenza di Sandringham House, in campagna.

Se i festeggiamenti della sovrana non hanno fatto gran notizia, le festicciole di Boris Johnson continuano a regalare momenti di imbarazzante ilarità: il primo ministro più chiacchierato di sempre è diventato anche il primo ed unico premier britannico ad essere multato per aver violato la legge. In più di un’occasione, infatti, Bojo ha partecipato a feste in violazione del lockdown e per questo ha pagato una multa di 50 sterline. 

Con britannica compostezza, Johnson si è scusato, ha detto che i festeggiamenti per il suo compleanno sono stati fatti per distrazione mentre, riguardo alle altre occasioni conviviali, era certo che si trattasse di incontri di lavoro. Deve essere bello lavorare con Boris, se si riesce a scambiare un party con un appuntamento di lavoro!

Quello che, però, ha fatto davvero scalpore è la decisione presa dalla All England Lawn Tennis and Croquet Club (il club che gestisce il torneo di Wimbledon), in linea con quella della LTA (ente governativo nazionale del tennis), di bandire i tennisti russi e bielorussi da tutte le competizioni, a cominciare proprio da Wimbledon.

Ian Hewitt, il presidente dell’All England Club, si è detto molto dispiaciuto ma, dopo essersi consultato con il governo, ha ritenuto che “sarebbe inaccettabile permettere al regime russo di ottenere benefici grazie al coinvolgimento dei suoi atleti nel torneo”. Decisone, pare, plaudita da tutti e certamente molto apprezzata dal ministro dello sport, Nigel Huddleston, che ha twittato “Russia e Bielorussia sono dei paria nel mondo e non devono poter utilizzare lo sport per legittimare la barbara invasione dell’Ucraina”.

Non era mai successo nulla di simile. È vero che nel 1948 gli atleti tedeschi e giapponesi non furono ammessi ai giochi olimpici che si svolgevano a Londra, ma le Olimpiadi sono cosa molto diversa: lì gli atleti rappresentano il paese cui appartengono e sono le nazioni a competere tra loro. Per questo anche durante il boicottaggio sportivo del Sudafrica per protestare contro l’apartheid, le esclusioni colpirono la squadra nazionale, che non venne ammessa ai giochi olimpici ed alla Coppa Davis, e non i singoli individui.  

A Wimbledon non competono nazioni ma singoli atleti ed il tennista è solo se stesso.

L’ATP (Associazione Tennisti Professionisti) e la WTA (corrispettivo femminile) hanno contestato la decisione dell’All England Club, dichiarando che escludere gli atleti sulla base della loro nazionalità è ingiusto e discriminatorio ed è anche una violazione degli accordi che intercorrono con le associazioni dei tennisti.

La questione è una di quelle che come fai sbagli. 

I britannici, che non conoscono vie di mezzo e che di sbagliare non hanno paura perché non lo ritengono possibile, non hanno avuto dubbi sul da farsi. 

Sulla scia della decisone d’oltremanica, anche il CIO (Comitato Olimpico Internazionale) ha invitato le federazioni nazionali ad escludere gli atleti russi e bielorussi dalle competizioni e Giovanni Malagò, presidente del Coni, ritiene che l’Italia debba seguirne l’indicazione, a cominciare dagli Internazionali di tennis in programma i primi di maggio.

Così, per citarne alcuni, Daniil Medvedev, che si è espresso a favore della pace e che in comune con Putin non ha niente, cittadinanza a parte, Viktoryja Azaranka, che in lacrime ha detto che la violenza non è mai giustificata, Andrej Rublëv, n.8 al mondo, che ha chiesto “no war please”, usando una parola, guerra, che in Russia può comportare l’arresto, saranno esclusi da Wimbledon e, probabilmente, anche da altri tornei europei. 

La colpa di questi tennisti è avere la nazionalità sbagliata, la stessa di colui che ha deciso di invadere l’Ucraina.

Un po’ come dire che le colpe dei padri ricadono sui figli.

Eppure questa guerra, come forse tutte le guerre, non è la lotta di un popolo contro un altro, non è la guerra dei russi contro gli ucraini, non è una nazione contro un’altra: è la guerra decisa da un despota del quale ucraini, russi e bielorussi sono vittime.

E allora non è un’ingiustizia bandire gli atleti russi e bielorussi dallo sport solo per via della loro cittadinanza? Lo è, certo che lo è. È ingiusto, come è ingiusto bombardare case, uccidere civili, violentare donne, ammazzare bambini. È ingiusto come è ingiusta la guerra, il cui prezzo altissimo è sempre pagato da innocenti. 

L’ingiustizia, cifra della guerra, sta dilagando e, in modi diversi, sta colpendo tutti, russi, ucraini, bielorussi, adulti e bambini, ricchi e indigenti, ferendo, umiliando, uccidendo.

La domanda è: sarà utile questa ennesima ingiustizia a porre fine a tutte le ingiustizie che compongono la guerra? È un dilemma per tutti, salvo che per i britannici i quali, beati loro, sanno anche qual è la cosa (in)giusta da fare.

Foto di Bessi da Pixabay

2 Risposte

  1. Dinah Craik

    Non so, il COI io non l’ho mai sentito.
    Il Comitato Olimpico Internazionale,
    noto anche come CIO
    (dalle iniziali del nome originale francese:
    Comité International Olympique).
    Tanto per dire, dal Corriere della Sera:
    Malagò e i tennisti russi
    agli Internazionali di Roma:
    «Io dico no, seguiamo il Cio»

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