Prima di inoltrarci nella riflessione sulla quinta domenica del tempo ordinario è doveroso fare un breve accenno alla “Giornata della vita” che la Chiesa celebra proprio in questa domenica. È ormai risaputa l’attenzione che il Papa usa nei suoi vari pronunciamenti, tutti a favore della vita umana che, sin dall’inizio del suo concepimento, va sempre difesa e tutelata. Essa, inoltre, è un grande dono da rispettare e da promuovere, soprattutto quando essa si presenta fragile e indifesa. Il nostro sentito ringraziamento arrivi, dunque, a quanti, con impegno e gioia, si fanno vicini agli anziani, ai disabili, ai fratelli e alle sorelle colpiti dalle nuove forme di povertà. Grazie a costoro che, in una società come la nostra, secolarizzata e relativista, oltre a rendere il cristianesimo sempre più credibile ed autentico sono immagine del “sale della terra e la luce del mondo” (Mt 5,13-14). Il Vangelo di questa domenica si apre in questi termini, ma noi, cristiani del nuovo millennio e della nuova evangelizzazione, vogliamo sapere “cosa dobbiamo fare per essere sale della terra e luce del mondo?”. Andiamo indietro nel tempo, fino alla creazione. L’uomo riceve gratuitamente da Dio la dignità di stare sempre in comunione con Lui. Una vocazione questa, unica, primaria e fondamentale. “Fin dal suo nascere – ricorda il Concilio Vaticano II – l’uomo è invitato al dialogo con Dio” (Gaudium et spes, 19) e cioè, l’uomo esiste perché è stato creato “per amore” e per essere, grazie a Cristo, come Dio. Ecco perchè la nostalgia del cielo è scritta in maniera indelebile nel cuore di tutti. “La gloria di Dio è l’uomo vivente” (S. Ireneo di Lione) e questa “divinizzazione dell’uomo” ci dice che solo in Dio l’uomo può trovare la verità del suo essere, la bellezza della sua filiazione, la felicità della sua condizione. Questa attrazione che Dio esercita su ogni creatura ha il nome di “vocazione”. Cosa dobbiamo fare per essere sale e luce? Oggi più che mai occorre vivere e testimoniare in prima persona la comunione con Dio. Proprio perché creati da Dio abbiamo ricevuto da Lui anche un altro dono, la libertà che, se viene esercitata in maniera errata, ci può condurre speditamente lontani da Dio e quindi, fuori dalla comunione con Lui e, in definitiva, immeritevoli dell’alta dignità con la quale Egli ci ha rivestito. Peccare significa quindi, esercitare in maniera cattiva quella libertà che Dio ci ha dato gratuitamente. Il male imperversa nel mondo per diverse cause, ma soprattutto perché la libertà e la dignità della persona sono confuse da libertine ed errate interpretazioni. Carissimi, “non è bello tutto ciò che piace”, “non è buono tutto ciò che è bello”, “non è vero tutto ciò che è bello”. Essere “sale della terra e luce del mondo” significa essere uomini e donne pienamente felici e realizzati, ma anche scoprire qual è la volontà di Dio, discernere attentamente e quindi aderirvi, con la mente e con il cuore. Ma senza una preghiera costante tutto ciò non può accadere! Molte sono le iniziative di preghiera che nelle nostre chiese, grazie a Dio, oggi vanno sempre più diffondendosi; mi riferisco soprattutto alla partecipazione attiva alla celebrazione dei sacramenti (Confessione e S. Messa), ma anche alla lectio divina, alla lettura personale del Vangelo, all’adorazione eucaristica silenziosa, strumenti efficaci ed efficienti per crescere nell’amore e nella fedeltà al Signore. Il sale, la luce, la città sul monte sono le immagini che Gesù propone in questo passo evangelico domenicale che è in continuità con la buona novella delle Beatitudini, proclamata domenica scorsa. Con tutti i suoi insegnamenti il Maestro vuol far comprendere ai suoi discepoli (e quindi anche a noi oggi) che ciascuno nella storia del mondo occupa una funzione particolare. E Gesù vuol renderli consapevoli di questo. E qual è, dunque la funzione che la Chiesa oggi occupa nella storia? È sempre la stessa! Oggi come allora la Chiesa è chiamata ad essere “sale della terra e luce del mondo”. Il sale. Esso dà sapore, depura, è il re della tradizione culinaria, protegge gli alimenti dalla decomposizione; ma può anche corrompersi perdendo, quindi, la funzione che gli è propria. Anche la Chiesa quindi, se perde la capacità di dare sapore alla vita degli uomini, se non sa sciogliersi, consumarsi, morire, proprio come fa il sale, allora fallisce la sua missione nella storia. Fallisce, ma non muore! perché lo Spirito Santo sempre la vivifica. La luce. I discepoli non emanano la luce da se stessi; la luce dei discepoli è un riflesso della luce di Dio. In questo senso si è espresso anche il Concilio Vaticano II, denominando la costituzione sulla Chiesa “Lumen gentium”, cioè la chiesa “Luce delle genti”. La consapevolezza di essere luce è stata spesso interpretata come una pretesa dei cristiani; purtroppo tanti malintesi che il profeta Isaia, nella prima lettura di questa Domenica (Is 58, 7-10), chiarisce bene: la luce del discepolo viene accesa quando è misericordioso e cioè, “quando spezza il pane per chi ha fame, dà un tetto a chi ne è privo, dà vestiti agli straccioni”; “quando egli smetterà di essere un oppressore, di puntare il dito e di parlare empiamente”. Un programma di vita questo, specifico e ben delineato, lo stesso che S. Paolo ci consegna nella seconda lettura (1 Cor 2, 1-5): “la nostra fede non sia fondata su discorsi umani, ma sulla potenza di Dio” che tutto può. Abbiamo una grande responsabilità, carissimi, soprattutto quando ci accorgiamo nel nostro piccolo che la società in cui viviamo purtroppo vuole rimanere ancora senza alcun sapore.
Frà Frisina
foto: ildireeilfare.it
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