Verità per Giulio Regeni

giulio regeniDa mesi in molte città italiane, sulle facciate dei palazzi storici e nelle piazze principali, si possono vedere grandi striscioni gialli di Amnesty International con la scritta “Verità per Giulio Regeni“. Alcune settimane fa degli amici tedeschi in visita in Italia ne hanno notato uno. Erano a Vicenza è lo striscione era appeso alla finestra di un palazzo di Palladio. Siccome ero con loro mi hanno chiesto spiegazioni. Gliele ho date e nel farlo mi sono reso conto che quello che in Italia è diventato il caso politico più noto, seguito e discusso, è praticamente sconosciuto in Germania come nel resto d’Europa.

Dispiace constatare che questa scarsa attenzione abbia riguardato e riguardi non solo la stampa, ma anche la politica. Dispiace perché è un ulteriore segno di quanta strada ci sia da fare perché l’Europa, quella della società civile in primis, si compia. Il caso Regeni riguarda, sì, un cittadino italiano, ma riguarda anche un cittadino europeo. Un europeo che si era messo a studiare il processo di democratizzazione di un paese come l’Egitto. Questione di non poca importanza per l’Europa, in un momento in cui terrorismo ed emergenza migratoria rischiano di sfasciarla.

Giulio Regeni era un ricercatore dell’università di Cambridge. Era in Egitto per fare ricerche sui sindacati indipendenti. Il 25 gennaio, giorno della sua scomparsa, era al Cairo. Quel giorno era il quinto anniversario della rivoluzione iniziata nel 2011, quando molti speravano che il vento della primavera araba potesse portare libertà e democrazia in una vasta area del mondo arabo. Sappiamo come sono andate le cose. Nel 2013 c’è stato il colpo di Stato del generale Al-Sisi. Alla fine del 2014 c’erano però stati pallidi segni di vitalità da parte dei sindacati indipendenti e Giulio, che conosceva l’arabo, aveva potuto partecipare a delle riunioni. Era dunque un testimone eccezionale e unico, unico perché nessun altro faceva quello che lui stava facendo.

Giulio è stato brutalmente ucciso agli inizi di febbraio. Qualche settimana dopo la famiglia ha potuto riavere il corpo. La madre ha denunciato la ferocia degli aguzzini affermando di aver visto, sul volto del figlio, “tutto il male del mondo”. E ha chiesto di sapere perché. Per rinnovare la sua richiesta il 15 giugno scorso insieme al marito è stata a Bruxelles davanti all’europarlamento.

Come italiano ed europeo provo affetto e riconoscenza per Giulio Regeni e per la famiglia. Nello stesso tempo provo indignazione per la mancanza di unità dell’Europa di fronte al suo omicidio. E trovo incomprensibile il comportamento di governi come la Francia che pur avendo in casa il terrorismo vendono armi al regine egiziano. L’UE non dovrebbe consentire che affari e interessi economici di singoli stati prevalgano sui principi dell’Unione. Ma questa è solo una delle tante contraddizioni che stanno minando le basi del progetto europeo.

Esigere la verità sul caso Regeni è un dovere morale che tutti i cittadini europei dovrebbero sentire. Per non dimenticare Giulio bisognerebbe che in tutte le grandi città del vecchio continente fossero esposti striscioni come quello di Vicenza. Almeno servirebbero a domandarsi chi fosse Giulio e, forse, conosciuta la risposta, stimolerebbero un sentimento condiviso di solidarietà.

di Pasquale Episcopo

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